Isher Posted April 11, 2012 Share Posted April 11, 2012 Omero, Iliade, canto XVI, vv. 1-19, trad. di Rosa Calzecchi Onesti E Patroclo giunse da Achille pastore d'eserciti, versando lacrime calde, come una polla acqua bruna, che versa l'acqua scura da una roccia scoscesa. Vedendolo n'ebbe pietà Achille glorioso, piede veloce, e a lui si volse e gli disse parole fuggenti: «Perché sei in pianto, Patroclo, come una bimba piccina, che dietro la madre correndo, la forza a prenderla in braccio, le afferra la veste, la tira mentre cammina, la guarda piangendo per essere presa in braccio? Simile a questa, Patroclo, spandi tenere lacrime; forse annunci qualcosa ai Mirmìdoni o a me? forse udisti tu solo qualche messaggio da Ftia? Dicono che ancora vive Menezio, figlio d'Attore, vive fra i Mirmìdoni l'Eacide Peleo, i due che molto noi piangeremmo, se fossero morti. Oppure hai pietà degli Argivi, come son massacrati presso le concave navi per la loro arroganza? Parla, non chiuderlo in cuore, che entrambi sappiamo». Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Azthok Posted April 11, 2012 Share Posted April 11, 2012 "Prima d’allora non avevo conosciuto che il deserto e le piste delle carovane. Quella mattina a Dorotea sentii che non c’era bene nella vita che non potessi aspettarmi. nel seguito degli anni i miei occhi sono tornati a contemplare le distese del deserto e le piste delle carovane; ma ora so che questa è solo una delle tante vie che mi si aprivano quella mattina a Dorotea”. Nel mio bell'iPod ho la registrazione del mio maschione che me lo legge :-) Italo Calvino, Le città invisibili Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
wasabi Posted April 11, 2012 Share Posted April 11, 2012 Sempre dall'Iliade di Omero, canto VIII, vv. 27-34, trad. di Rosa Calzecchi Onesti Disse così; e una nube di strazio, nera, l'avvolse. con tutte e due le mani prendendo la cenere arsa se la versò sulla testa, insudiciò il volto bello; la cenere nera sporcò la tunica nettarea; e poi nella polvere, grande, per gran tratto disteso, giacque, e sfigurava con le mani i capelli, strappandoli. e ancora canto VIII vv. 103-109, trad. di Vincenzo Monti Con un forte sospir rispose Achille: O madre mia, ben Giove a me compiacque Ogni preghiera: ma di ciò qual dolce Me ne procede, se il diletto amico, Se Pátroclo è già spento? Io lo pregiava Sovra tutti i compagni; io di me stesso Al par l’amava, ahi lasso! e l’ho perduto. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Mercante di Luce Posted April 11, 2012 Share Posted April 11, 2012 Disse Siddharta "Che dovrei mai dirti, io, o venerabile? Forse questo, che tu cerchi troppo? Che tu pervieni a trovare per il troppo cercare?" "Come dunque?" chiese Govinda "Quando qualcuno cerca, " rispose Siddharta "allora accade facilmente che il suo occhio perda la capacità di vedere ogni altra cosa, fuori da quella che cerca, e che egli non riesca a trovar nulla, non possa assorbir nulla, in sé, perché pensa sempre unicamente a ciò che cerca, perché ha uno scopo, perché è posseduto dal suo scopo. Cercare significa: avere uno scopo. Ma trovare significa: esser libero, restare aperto, non aver scopo. Tu, venerabile, sei forse di fatto uno che cerca, poiché, perseguendo il tuo scopo, non vedi tante cose che ti stanno davanti agli occhi." Siddharta - Hermann Hesse Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
misterbaby Posted April 11, 2012 Share Posted April 11, 2012 Che importa se il campo è perduto? Non tutto è perduto; la volontà indomabile, il disegno della vendetta, l'odio immortale e il coraggio di non sottomettersi mai, di non cedere: che altro significa non essere sconfitti? Una simile gloria mai la potranno estorcere da me nè la sua rabbia nè la sua potenza. Mi dovrei inchinare, implorare pietà con le ginocchia supplici, e forse deificare il potere che per paura di questo mio braccio dubitò fino a ieri del suo impero? Sarebbe davvero troppo basso e vergogna e ignominia peggiori della caduta; poichè per destino la forza divina e questa empirea sostanza non possono venire meno, e poichè l'esperienza di questo grande evento non ci rese più deboli nell'armi, e casomai più avanti in preveggenza, con maggiore speranza di successo ci possiamo risolvere a muovere con forza o con astuzia una guerra eterna e inconciliabile al nostro grande Nemico, che ora con gioia smodata trionfa e regna solo, tenendo il cielo nella sua tirannide. John Milton-Paradiso perduto Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Stanley Posted April 11, 2012 Share Posted April 11, 2012 Forse, pensò, la radice d'ogni arte, e fors'anche d'ogni spirito, è la paura della morte. Noi la temiamo, abbiamo orrore della caducità, vediamo con tristezza i fiori appassire e le foglie cadere e sentiamo nel nostro cuore la certezza che anche noi siamo caduchi e presto avvizziremo. Se dunque come artisti creiamo figure o come pensatori cerchiamo leggi e formuliamo pensieri, lo facciamo per salvare qualche cosa della grande danza macabra, per stabilire qualche cosa che abbia una durata più lunga di noi stessi. Hermann Hesse, Narciso e Boccadoro. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
wasabi Posted April 13, 2012 Share Posted April 13, 2012 Paul Verlaine, da: Parallèlement - Ces Passions, vv. 17-32. La plénitude! Ils l'ont superlativement: Baisers repus, gorgés, mains privilégiées Dans la richesse des caresses repayées, Et ce divin final anéantissement! Comme ce sont les forts et les forts, l'habitude De la force les rend invaincus au déduit. Plantureux, savoureux, débordant, le déduit! Je le crois bien qu'ils l'ont la pleine plénitude! Et pour combler leurs voeux, chacun d'eux tour à tour Fait l'action suprême, a la parfaite extase - Tantôt la coupe ou la bouche et tantôt le vase - Pâmé comme la nuit, fervent comme le jour. Leurs beaux ébats sont grands et gais. Pas de ces crises: Vapeurs, nerfs. Non, des jeux courageux, puis d'heureux Bras las autour du cou, pour de moins langoureux Qu'étroits sommeils à deux, tout coupés de reprises. Queste Passioni, traduzione di Mauro Terzi La pienezza! Costoro l’hanno superlativamente: baci sazi, ingozzati, mani privilegiate nella ricchezza delle carezze ripagate, e questo divino finale annientamento! Così sono i forti e i forti, l’abitudine della forza li rende invitti al diletto. Copioso, gustoso, debordante, il diletto! Lo credo bene che loro l’abbiano, la piena pienezza! E per esaudire i loro voti, ciascuno di loro, a turno, compie l’azione suprema, ha la perfetta estasi - talvolta la coppa o la bocca e talvolta il vaso - estatico come la notte, fervente come il giorno. I loro bei sollazzi sono grandi e gai. Niente crisi di quelle: svenimenti, nervi. No: giochi coraggiosi, poi felici braccia stanche attorno al collo, per meno languidi che stretti sonni a due, tutti interrotti per ricominciare. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Hosni Posted April 13, 2012 Share Posted April 13, 2012 Qualsiasi cosa, del resto, è una perdita e spreco di tempo: tranne fottere di gusto o creare qualcosa di buono o guarire o correr dietro a una specie di fantasma amore-felicità. tanto tutti finiamo nel mondezzaio della sconfitta: chiamala morte, chiamala errore. io non son bravo con le parole, direi però, dato che tutti ci s'adatta alle circostanze, che certe cose accrescono la tua esperienza, anche se magari non si tratta di saggezza è possibile peraltro che uno resti per tutta la vita nell'errore, vivendo in uno stato come d'intontimento o di paura. ne avrete viste, di queste facce. Io ho visto la mia. Bukowski Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
misterbaby Posted April 16, 2012 Share Posted April 16, 2012 "... Non vogliate negar l'esperienza di retro al sol, del mondo sanza gente. Considerate la vostra semenza fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza" (Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno canto XXVI, 116-120) Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Azthok Posted April 18, 2012 Share Posted April 18, 2012 "- Noi aspettiamo il compenso senor. - - Quanto? - chiese Medardo, e si sarebbe detto che ridesse. L'uomo con la treccia disse: - Voi sapete qual è il prezzo per il trasporto di un uomo in lettiga... - Mio zio si sfilò una borsa dalla cintola e la gettò tintinnante ai piedi del portatore. Costui la soppesò appena ed esclamò: - Ma questo è molto meno della somma pattuita senor! - Medardo, mentre il lembo gli sollevava il lembo del mantello, disse: - La metà -. Italo Calvino - Il visconte dimezzato Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Nau Posted April 19, 2012 Share Posted April 19, 2012 Tratto da "The Cattywampus", racconto breve di Borden Deal. Sarei tornato nella valle e avrei detto, per fugare le loro paure, che avevo ucciso lo strano animale. Ma avrei anche detto che il suo corpo era finito nel fiume e non ero stato capace di identificarlo. Perché ora sapevo. L'umanità ha bisogno dei suoi animali strani, dei suoi miti, e di leggende e di favole, per oggettivare le paure dell'uomo fuori da sé, là dove si possono combattere con il coraggio e la fede. Perché l'uomo è il più strano tra tutti gli animali. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
CutHere Posted April 20, 2012 Share Posted April 20, 2012 questa e' di un libro che sto leggendo in questi giorni in realta' non credo sia il pezzo piu' significativo ne magari il piu' eccelso ma in qualche modo mi ha colpito :\ "Una ragazza si butta dal quarto piano; lascia pulita ed in ordine la cucina; e' pagata per questo. Una signora, prima di gettarsi dalla tromba delle scale si toglie le scarpe nuove e le lascia sul pianerettolo : perche' sciuparle? Un'altra signora si spara nella vasca da bagno : inutile sporcare i pavimenti. Un soldato si uccide, gli trovano in tasca un biglietto :" signor capitano, mi uccido e non so il perche',scusi il disturbo". Cio' che commuove di queste uscite e' la delicatezza dei protagonisti, che sfiora il ridicolo, nella presunzione di evitare un piccolo fastidio a quelli che restano. Insomma : sono i migliori che se ne vanno" (diario notturno_e. flaviano) Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Fra86 Posted April 20, 2012 Share Posted April 20, 2012 "Dentro questo brutto guscio che è la mia testa, dentro questa gabbia che non mi piace, dovrò mostrarmi e andarmene in giro; attraverso questa griglia dovrò parlare, guardare, essere guardato, dentro questa pelle dovrò marcire. Il mio corpo è il luogo a cui sono condannato senza appello. Credo che, in fondo, sia contro di esso e come per cancellarlo che nascono tutte questa utopie. Il prestigio, la bellezza, la meraviglia dell'utopia, a che cosa sono dovuti? L'utopia è un luogo fuori da ogni luogo, ma è un luogo in cui io avrò un corpo senza corpo, un corpo bello, limpido, trasparente, luminoso, veloce, colossale nella potenza, infinito nella durata, sciolto, invisibile, protetto, sempre trasfigurato; ed è ben possibile che l'utopia prima, quella più impossibile da sradicare dal cuore degli uomini, sia proprio l'utopia di un corpo incorporeo." (Michel Foucault - Utopie Eterotopie) Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
GlassOnion Posted April 21, 2012 Share Posted April 21, 2012 "La morale di chi possiede bellezza è di potersi sottrarre a ogni dovere. La bellezza non ha tempo di assumersi le sue responsabilità ogni volta che si manifesti l'influenza della sua imprevedibile forza. La bellezza non ha tempo di pensare alla felicità. Ancor meno alla felicità degli altri... Ma è proprio per questo che la bellezza ha il potere di rendere felici chi ne muore tra atroci tormenti." Yukio Mishima, Colori Proibiti Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
D. Posted April 22, 2012 Share Posted April 22, 2012 Ettore e Andromaca alle porte Scee, Omero, Iliade, trad. Vincenzo Monti Finito non avea queste parole la guardïana, che veloce Ettorre dalle soglie si spicca, e ripetendo il già corso sentier, fende diritto del grand'Ilio le piazze: ed alle Scee, onde al campo è l'uscita, ecco d'incontro Andromaca venirgli, illustre germe d'Eezïone, abitator dell'alta Ipoplaco selvosa, e de' Cilìci dominator nell'ipoplacia Tebe. Ei ricca di gran dote al grande Ettorre diede a sposa costei ch'ivi allor corse ad incontrarlo; e seco iva l'ancella tra le braccia portando il pargoletto unico figlio dell'eroe troiano, bambin leggiadro come stella. Il padre Scamandrio lo nomava, il vulgo tutto Astïanatte, perché il padre ei solo era dell'alta Troia il difensore. Sorrise Ettorre nel vederlo, e tacque. Ma di gran pianto Andromaca bagnata accostossi al marito, e per la mano strignendolo, e per nome in dolce suono chiamandolo, proruppe: Oh troppo ardito! il tuo valor ti perderà: nessuna pietà del figlio né di me tu senti, crudel, di me che vedova infelice rimarrommi tra poco, perché tutti di conserto gli Achei contro te solo si scaglieranno a trucidarti intesi; e a me fia meglio allor, se mi sei tolto, l'andar sotterra. Di te priva, ahi lassa! ch'altro mi resta che perpetuo pianto? Orba del padre io sono e della madre. M'uccise il padre lo spietato Achille il dì che de' Cilìci egli l'eccelsa popolosa città Tebe distrusse: m'uccise, io dico, Eezïon quel crudo; ma dispogliarlo non osò, compreso da divino terror. Quindi con tutte l'armi sul rogo il corpo ne compose, e un tumulo gli alzò cui di frondosi olmi le figlie dell'Egìoco Giove l'Oreadi pietose incoronaro. Di ben sette fratelli iva superba la mia casa. Di questi in un sol giorno lo stesso figlio della Dea sospinse l'anime a Pluto, e li trafisse in mezzo alle mugghianti mandre ed alle gregge. Della boscosa Ipoplaco reina mi rimanea la madre. Il vincitore coll'altre prede qua l'addusse, e poscia per largo prezzo in libertà la pose. Ma questa pure, ahimè! nelle paterne stanze lo stral d'Artèmide trafisse. Or mi resti tu solo, Ettore caro, tu padre mio, tu madre, tu fratello, tu florido marito. Abbi deh! dunque di me pietade, e qui rimanti meco a questa torre, né voler che sia vedova la consorte, orfano il figlio. Al caprifico i tuoi guerrieri aduna, ove il nemico alla città scoperse più agevole salita e più spedito lo scalar delle mura. O che agli Achei abbia mostro quel varco un indovino, o che spinti ve gli abbia il proprio ardire, questo ti basti che i più forti quivi già fêr tre volte di valor periglio, ambo gli Aiaci, ambo gli Atridi, e il chiaro sire di Creta ed il fatal Tidìde. Dolce consorte, le rispose Ettorre, ciò tutto che dicesti a me pur anco ange il pensier; ma de' Troiani io temo fortemente lo spregio, e dell'altere Troiane donne, se guerrier codardo mi tenessi in disparte, e della pugna evitassi i cimenti. Ah nol consente, no, questo cor. Da lungo tempo appresi ad esser forte, ed a volar tra' primi negli acerbi conflitti alla tutela della paterna gloria e della mia. Giorno verrà, presago il cor mel dice, verrà giorno che il sacro iliaco muro e Priamo e tutta la sua gente cada. Ma né de' Teucri il rio dolor, né quello d'Ecuba stessa, né del padre antico, né de' fratei, che molti e valorosi sotto il ferro nemico nella polve cadran distesi, non mi accora, o donna, sì di questi il dolor, quanto il crudele tuo destino, se fia che qualche Acheo, del sangue ancor de' tuoi lordo l'usbergo, lagrimosa ti tragga in servitude. Misera! in Argo all'insolente cenno d'una straniera tesserai le tele. Dal fonte di Messìde o d'Iperèa, (ben repugnante, ma dal fato astretta) alla superba recherai le linfe; e vedendo talun piovere il pianto dal tuo ciglio, dirà: Quella è d'Ettorre l'alta consorte, di quel prode Ettorre che fra' troiani eroi di generosi cavalli agitatori era il primiero, quando intorno a Ilïon si combattea. Così dirassi da qualcuno; e allora tu di nuovo dolor l'alma trafitta più viva in petto sentirai la brama di tal marito a scior le tue catene. Ma pria morto la terra mi ricopra, ch'io di te schiava i lai pietosi intenda. Così detto, distese al caro figlio l'aperte braccia. Acuto mise un grido il bambinello, e declinato il volto, tutto il nascose alla nudrice in seno, dalle fiere atterrito armi paterne, e dal cimiero che di chiome equine alto su l'elmo orribilmente ondeggia. Sorrise il genitor, sorrise anch'ella la veneranda madre; e dalla fronte l'intenerito eroe tosto si tolse l'elmo, e raggiante sul terren lo pose. Indi baciato con immenso affetto, e dolcemente tra le mani alquanto palleggiato l'infante, alzollo al cielo, e supplice sclamò: Giove pietoso e voi tutti, o Celesti, ah concedete che di me degno un dì questo mio figlio sia splendor della patria, e de' Troiani forte e possente regnator. Deh fate che il veggendo tornar dalla battaglia dell'armi onusto de' nemici uccisi, dica talun: Non fu sì forte il padre: E il cor materno nell'udirlo esulti. Così dicendo, in braccio alla diletta sposa egli cesse il pargoletto; ed ella con un misto di pianti almo sorriso lo si raccolse all'odoroso seno. Di secreta pietà l'alma percosso riguardolla il marito, e colla mano accarezzando la dolente: Oh! disse, diletta mia, ti prego; oltre misura non attristarti a mia cagion. Nessuno, se il mio punto fatal non giunse ancora, spingerammi a Pluton: ma nullo al mondo, sia vil, sia forte, si sottragge al fato. Or ti rincasa, e a' tuoi lavori intendi, alla spola, al pennecchio, e delle ancelle veglia su l'opre; e a noi, quanti nascemmo fra le dardanie mura, a me primiero lascia i doveri dell'acerba guerra. Raccolse al terminar di questi accenti l'elmo dal suolo il generoso Ettorre, e muta alla magion la via riprese l'amata donna, riguardando indietro, e amaramente lagrimando. Giunta agli ettorei palagi, ivi raccolte trovò le ancelle, e le commosse al pianto. Ploravan tutte l'ancor vivo Ettorre nella casa d'Ettòr le dolorose, rivederlo più mai non si sperando reduce dalla pugna, e dalle fiere mani scampato de' robusti Achei. Non producea gl'indugi in questo mezzo dentro l'alte sue soglie il Prïamìde Paride: e già di tutte rivestito le sue bell'armi, d'Ilio folgorando traversava le vie con presto piede. Come destriero che di largo cibo ne' presepi pasciuto, ed a lavarsi del fiume avvezzo alla bell'onda, alfine rotti i legami per l'aperto corre stampando con sonante ugna il terreno: scherzan sul dosso i crini, alta s'estolle la superba cervice, ed esultando di sua bellezza, ai noti paschi ei vola ove amor d'erbe o di puledre il tira; tale di Priamo il figlio dalla rocca di Pergamo scendea tutto nell'armi esultante e corrusco come sole. Sì ratti i piedi lo portâr, ch'ei tosto il germano raggiunse appunto in quella che dal tristo parlar si dipartìa della consorte. Favellò primiero Paride, e disse: Alla tua giusta fretta fui di lungo aspettar forse cagione, venerando fratello, e non ti giunsi sollecito, tem'io, come imponesti. Generoso timor! rispose Ettorre; null'uom, che l'opre drittamente estimi, darà biasmo alle tue nel glorioso mestier dell'armi; ché tu pur se' prode. Ma, colpa del voler, spesso s'allenta la tua virtude, e inoperosa giace. Quindi è l'alto mio duol quando de' Teucri per te solo infelici odo in tuo danno le contumelie. Ma partiam, ché poscia comporremo tra noi questa contesa, se grazia ne farà Giove benigno di poter lieti nelle nostre case ai Celesti immortali offrir la coppa dell'alma libertà, vinti gli Achei. J. L. Borges, Giovanni, I, 14 Non sarà questa pagina enigma minore di quelle dei Miei libri sacri o delle altre che ripetono le bocche inconsapevoli, credendole d’un uomo, non già specchi oscuri dello Spirito. Io che sono l’È, il Fu e il Sarà accondiscendo ancora al linguaggio che è tempo successivo e simbolo. Chi giuoca con un bimbo giuoca con ciò che è prossimo e misterioso; io volli giocare coi Miei figli. Stetti fra loro con stupore e tenerezza. Per opera di un incantesimo nacqui stranamente da un ventre. Vissi stregato, prigioniero di un corpo e di un’umile anima. Conobbi la memoria, moneta che non è mai la medesima. Il timore conobbi e la speranza, questi due volti del dubbio futuro. Ed appresi la veglia, il sonno, i sogni, l’ignoranza, la carne, i tardi labirinti della mente, l’amicizia degli uomini, la misteriosa devozione dei cani. Fui amato, compreso, esaltato e sospeso a una croce. Bevvi il calice fino alla feccia. Gli occhi Miei videro quel che ignoravano: la notte e le sue stelle. Conobbi ciò ch’è terso, ciò ch’è arido, quanto è dispari o scabro, il sapore del miele e della mela e l’acqua nella gola della sete, il peso d’un metallo sulla palma, la voce umana, il suono di passi sopra l’erba, l’odore della pioggia in Galilea, l’alto gridio degli uccelli. Conobbi l’amarezza. Ho affidato quanto è da scrivere a un uomo qualsiasi; non sarà mai quello che voglio dire, ne sarà almeno un riflesso. Dalla Mia eternità cadono segni. Altri, non questi ch’è il suo amanuense, scriva l’opera. Domani sarò tigre fra le tigri e dirò la Mia legge nella selva, o un grande albero in Asia. Ricordo a volte, e ho nostalgia, l’odore di quella bottega di falegname. Franz Kafka - Il silenzio delle sirene Dimostrazione del fatto che anche mezzi inadeguati, persino puerili, possono servire alla salvezza. Per difendersi dalle Sirene, Odisseo si tappò le orecchie con la cera e si lasciò incatenare all'albero maestro. Naturalmente tutti i viaggiatori avrebbero potuto fare da sempre qualcosa di simile, eccetto quelli che le Sirene avevano già sedotto da lontano, ma era risaputo in tutto il mondo che era impossibile che questo potesse servire. Il canto delle Sirene penetrava dappertutto e la passione dei sedotti avrebbe spezzato ben più che catene e albero. Odisseo non ci pensò, benché forse lo sapesse. Confidava pienamente in quel poco di cera e in quel fascio di catene, e, con innocente gioia per i suoi mezzucci, andò direttamente incontro alle Sirene. Ora, le Sirene hanno un'arma ancora più terribile del canto, cioè il silenzio. Non è certamente accaduto, ma potrebbe essere che qualcuno si sia salvato dal loro canto, ma non certo dal loro silenzio. Al sentimento di averle sconfitte con la propria forza, al conseguente orgoglio che travolge ogni cosa, nessun mortale può resistere. E, in effetti, quando Odisseo arrivò, le potenti cantatrici non cantarono, sia che credessero che solo il silenzio potesse vincere quell'avversario, sia che, alla vista della beatitudine nel volto di Odisseo, che non pensava ad altro che a cere e a catene, si dimenticassero proprio di cantare. Ma Odisseo tuttavia, per così dire, non udì il loro silenzio, e credette che cantassero e di essere lui solo protetto dall'udirle. Di sfuggita vide sulle prime il movimento dei loro colli, il respiro profondo, gli occhi pieni di lacrime, le bocche socchiuse, ma credette che questo facesse parte delle arie che non udite risuonavano intorno a lui. Ma tutto ciò sfiorò appena il suo sguardo fisso nella lontananza, le Sirene sparirono davanti alla sua risolutezza e, proprio quando era più vicino a loro, non seppe più niente di loro. Quelle - più belle che mai - si stirarono e si girarono, fecero agitare al vento i loro tremendi capelli sciolti e tesero le unghie sulle rocce. Non volevano più sedurre, volevano solo carpire il più a lungo possibile lo sguardo dei grandi occhi di Odisseo. Se le Sirene avessero coscienza, quella volta sarebbero state annientate. Ma sopravvissero, e solo Odisseo sfuggì a loro. A questo punto, si tramanda ancora un'appendice. Odisseo, si dice, era così astuto, era una tale volpe, che neppure la Parca del destino poteva penetrare nel suo intimo. Egli, benché questo non si possa capire con l'intelletto umano, forse si è realmente accorto che le Sirene tacevano e ha, per così dire, solo opposto come scudo a loro e agli dèi la suddetta finzione. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Isher Posted April 25, 2012 Author Share Posted April 25, 2012 T.S. Eliot (1888–1965). The Waste Land. 1922. The Burial of the Dead APRIL is the cruellest month, breeding Lilacs out of the dead land, mixing Memory and desire, stirring Dull roots with spring rain. Winter kept us warm, covering Earth in forgetful snow, feeding A little life with dried tubers. [...] That corpse you planted last year in your garden, Has it begun to sprout? Will it bloom this year? Or has the sudden frost disturbed its bed? [...] Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
SaintJust Posted April 25, 2012 Share Posted April 25, 2012 Tyger ! Tyger! Burning bright In the forests of the night, What immortal hand or eye Could frame thy fearful symmetry? In what distant deeps or skies Burnt the fire of thine eyes? On what wings dare he aspire? What the hand dare seize the fire? And what shoulder, and what art, Could twist the sinews of thy heart? And when thy heart began to beat, What dread hand? And what dread feet? What the hammer? What the chain? In what furnace was thy brain? What the anvil? What dread grasp Dare its deadly terrors grasp? When the stars threw down their spears, And water’d heaven with their tears Did he smile his work to see? Did he who made the Lamb make thee? Tyger! Tyger! Burning bright In the forests of the night, What immortal hand or eye, Dare frame thy fearful symmetry? The tyger - William Blake (mi spiace, ma non la trovo in una traduzione che non sia di Ungaretti... e Blake tradotto da Ungaretti non lo reggo proprio...) Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Altair Posted April 25, 2012 Share Posted April 25, 2012 "Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com'è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio di infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto". J. D. Salinger, Il giovane Holden (The Catcher in the Rye) Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Azthok Posted April 25, 2012 Share Posted April 25, 2012 "Io sono la madre terra / donde nascono tutti gli orrori" H P Lovecraft, il titolo non lo ricordo e in rete non l'ho trovato, è la fine di una sua poesia Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Jack0.1 Posted April 26, 2012 Share Posted April 26, 2012 In quel momento apparve la volpe. "Buon giorno", disse la volpe. "Buon giorno", rispose gentilmente il piccolo principe, voltandosi: ma non vide nessuno. "Sono qui", disse la voce, "sotto al melo... " "Chi sei?" domandò il piccolo principe, "sei molto carino... " "Sono una volpe", disse la volpe. "Vieni a giocare con me", le propose il piccolo principe, sono così triste... " "Non posso giocare con te", disse la volpe, "non sono addomesticata". "Ah! scusa", fece il piccolo principe. Ma dopo un momento di riflessione soggiunse: "Che cosa vuol dire "addomesticare"?" "Non sei di queste parti, tu", disse la volpe, "che cosa cerchi?" "Cerco gli uomini", disse il piccolo principe. "Che cosa vuol dire "addomesticare"?" "Gli uomini" disse la volpe, "hanno dei fucili e cacciano. È molto noioso! Allevano anche delle galline. È il loro solo interesse. Tu cerchi delle galline?" "No", disse il piccolo principe. "Cerco degli amici. Che cosa vuol dire "addomesticare?" "È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami... "Creare dei legami?" "Certo", disse la volpe. "Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno l'uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo". "Comincio a capire" disse il piccolo principe. "C'è un fiore... credo che mi abbia addomesticato..." "È possibile", disse la volpe. "Capita di tutto sulla Terra... " "Oh! non è sulla Terra", disse il piccolo principe. La volpe sembrò perplessa: "Su un altro pianeta?" "Si". "Ci sono dei cacciatori su questo pianeta?" "No". "Questo mi interessa. E delle galline?" "No". "Non c'è niente di perfetto", sospirò la volpe. Ma la volpe ritornò alla sua idea: "La mia vita è monotona. Io do la caccia alle galline, e gli uomini danno la caccia a me. Tutte le galline si assomigliano, e tutti gli uomini si assomigliano. E io mi annoio perciò. Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà illuminata. Conoscerò un rumore di passi che sarà diverso da tutti gli altri. Gli altri passi mi fanno nascondere sotto terra. Il tuo, mi farà uscire dalla tana, come una musica. E poi, guarda! Vedi, laggiù in fondo, dei campi di grano? Io non mangio il pane e il grano, per me è inutile. I campi di grano non mi ricordano nulla. E questo è triste! Ma tu hai dei capelli color dell'oro. Allora sarà meraviglioso quando mi avrai addomesticato. Il grano, che è dorato, mi farà pensare a te. E amerò il rumore del vento nel grano... " La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe: "Per favore... addomesticami", disse. "Volentieri", disse il piccolo principe, "ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli amici, e da conoscere molte cose". "Non ci conoscono che le cose che si addomesticano", disse la volpe. "Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami!" "Che cosa bisogna fare?" domandò il piccolo principe. "Bisogna essere molto pazienti", rispose la volpe. "In principio tu ti siederai un po' lontano da me, così, nell'erba. Io ti guarderò con la coda dell'occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po' più vicino... " Il piccolo principe ritornò l'indomani. "Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora", disse la volpe. "Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro,dalle tre io comincerò ad essere felice. Col passare dell'ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità! Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore. Ci vogliono i riti". "Che cos'è un rito?" disse il piccolo principe. "Anche questa è una cosa da tempo dimenticata", disse la volpe. "È quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un'ora dalle altre ore. C'è un rito, per esempio, presso i miei cacciatori. Il giovedi ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedi è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti, e non avrei mai vacanza". Così il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l'ora della partenza fu vicina: "Ah!" disse la volpe, "... piangerò". "La colpa è tua", disse il piccolo principe, "io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi... " "È vero", disse la volpe. "Ma piangerai!" disse il piccolo principe. "È certo", disse la volpe. "Ma allora che ci guadagni?" "Ci guadagno", disse la volpe, "il colore ...del grano". Poi soggiunse: "Và a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo. Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto". Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose. "Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente", disse. "Nessuno vi ha addomesticato, e voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo". E le rose erano a disagio. "Voi siete belle, ma siete vuote", disse ancora. "Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perchè è lei che ho innaffiata. Perchè è lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perchè è lei che ho riparata col paravento. Perchè su di lei ho uccisi i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perchè è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perchè è la mia rosa". E ritornò dalla volpe. "Addio", disse. "Addio",...disse la volpe. "Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale è invisibile agli occhi". "L'essenziale è invisibile agli occhi", ripetè il piccolo principe, per ricordarselo. "È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante". "È il tempo che ho perduto per la mia rosa... " sussurrò il piccolo principe per ricordarselo. "Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa... " "Io sono responsabile della mia rosa... " ripetè il piccolo principe per ricordarselo. Antoine de Saint-Exupéry Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Isher Posted April 26, 2012 Author Share Posted April 26, 2012 Paul Valéry. 1871-1945. Le cimetière marin Ce toit tranquille, où marchent des colombes, Entre les pins palpite, entre les tombes; Midi le juste y compose de feux La mer, la mer, toujours recommencée O récompense après une pensée Qu'un long regard sur le calme des dieux! Quel pur travail de fins éclairs consume Maint diamant d'imperceptible écume, Et quelle paix semble se concevoir ! Quand sur l'abîme un soleil se repose, Ouvrages purs d'une éternelle cause, Le temps scintille et le songe est savoir. Stable trésor, temple simple à Minerve, Masse de calme, et visible réserve, Eau sourcilleuse, Oeil qui gardes en toi Tant de sommeil sous une voile de flamme, O mon silence ! . . . Édifice dans l'âme, Mais comble d'or aux mille tuiles, Toit ! Temple du Temps, qu'un seul soupir résume, À ce point pur je monte et m'accoutume, Tout entouré de mon regard marin; Et comme aux dieux mon offrande suprême, La scintillation sereine sème Sur l'altitude un dédain souverain. Comme le fruit se fond en jouissance, Comme en délice il change son absence Dans une bouche où sa forme se meurt, Je hume ici ma future fumée, Et le ciel chante à l'âme consumée Le changement des rives en rumeur. Beau ciel, vrai ciel, regarde-moi qui change ! Après tant d'orgueil, après tant d'étrange Oisiveté, mais pleine de pouvoir, Je m'abandonne à ce brillant espace, Sur les maisons des morts mon ombre passe Qui m'apprivoise à son frêle mouvoir. L'âme exposée aux torches du solstice, Je te soutiens, admirable justice De la lumière aux armes sans pitié ! Je te tends pure à ta place première, Regarde-toi ! . . . Mais rendre la lumière Suppose d'ombre une morne moitié. Ô pour moi seul, à moi seul, en moi-même, Auprès d'un coeur, aux sources du poème, Entre le vide et l'événement pur, J'attends l'écho de ma grandeur interne, Amère, sombre, et sonore citerne, Sonnant dans l'âme un creux toujours futur ! Sais-tu, fausse captive des feuillages, Golfe mangeur de ces maigres grillages, Sur mes yeux clos, secrets éblouissants, Quel corps me traîne à sa fin paresseuse, Quel front l'attire à cette terre osseuse ? Une étincelle y pense à mes absents. Fermé, sacré, plein d'un feu sans matière, Fragment terrestre offert à la lumière, Ce lieu me plaît, dominé de flambeaux, Composé d'or, de pierre et d'arbres sombres, Où tant de marbre est tremblant sur tant d'ombres; La mer fidèle y dort sur mes tombeaux ! Chienne splendide, écarte l'idolâtre! Quand solitaire au sourire de pâtre, Je pais longtemps, moutons mystérieux, Le blanc troupeau de mes tranquilles tombes, Éloignes-en les prudentes colombes, Les songes vains, les anges curieux ! Ici venu, l'avenir est paresse. L'insecte net gratte la sécheresse; Tout est brûlé, défait, reçu dans l'air A je ne sais quelle sévère essence . . . La vie est vaste, étant ivre d'absence, Et l'amertume est douce, et l'esprit clair. Les morts cachés sont bien dans cette terre Qui les réchauffe et sèche leur mystère. Midi là-haut, Midi sans mouvement En soi se pense et convient à soi-même Tête complète et parfait diadème, Je suis en toi le secret changement. Tu n'as que moi pour contenir tes craintes! Mes repentirs, mes doutes, mes contraintes Sont le défaut de ton grand diamant ! . . . Mais dans leur nuit toute lourde de marbres, Un peuple vague aux racines des arbres A pris déjà ton parti lentement. Ils ont fondu dans une absence épaisse, L'argile rouge a bu la blanche espèce, Le don de vivre a passé dans les fleurs! Où sont des morts les phrases familières, L'art personnel, les âmes singulières? La larve file où se formaient les pleurs. Les cris aigus des filles chatouillées, Les yeux, les dents, les paupières mouillées, Le sein charmant qui joue avec le feu, Le sang qui brille aux lèvres qui se rendent, Les derniers dons, les doigts qui les défendent, Tout va sous terre et rentre dans le jeu ! Et vous, grande âme, espérez-vous un songe Qui n'aura plus ces couleurs de mensonge Qu'aux yeux de chair l'onde et l'or font ici ? Chanterez-vous quand serez vaporeuse ? Allez ! Tout fuit ! Ma présence est poreuse, La sainte impatience meurt aussi ! Maigre immortalité noire et dorée, Consolatrice affreusement laurée, Qui de la mort fais un sein maternel, Le beau mensonge et la pieuse ruse ! Qui ne connaît, et qui ne les refuse, Ce crâne vide et ce rire éternel ! Pères profonds, têtes inhabitées, Qui sous le poids de tant de pelletées, Êtes la terre et confondez nos pas, Le vrai rongeur, le ver irréfutable N'est point pour vous qui dormez sous la table, Il vit de vie, il ne me quitte pas ! Amour, peut-être, ou de moi-même haine ? Sa dent secrète est de moi si prochaine Que tous les noms lui peuvent convenir ! Qu'importe ! Il voit, il veut, il songe, il touche ! Ma chair lui plaît, et jusque sur ma couche, À ce vivant je vis d'appartenir ! Zénon! Cruel Zénon ! Zénon d'Êlée ! M'as-tu percé de cette flèche ailée Qui vibre, vole, et qui ne vole pas ! Le son m'enfante et la flèche me tue ! Ah! le soleil . . . Quelle ombre de tortue Pour l'âme, Achille immobile à grands pas! Non, non ! . . . Debout ! Dans l'ère successive ! Brisez, mon corps, cette forme pensive! Buvez, mon sein, la naissance du vent ! Une fraîcheur, de la mer exhalée, Me rend mon âme . . . O puissance salée ! Courons à l'onde en rejaillir vivant. Oui ! grande mer de délires douée, Peau de panthère et chlamyde trouée, De mille et mille idoles du soleil, Hydre absolue, ivre de ta chair bleue, Qui te remords l'étincelante queue Dans un tumulte au silence pareil. Le vent se lève ! . . . il faut tenter de vivre ! L'air immense ouvre et referme mon livre, La vague en poudre ose jaillir des rocs ! Envolez-vous, pages tout éblouies ! Rompez, vagues ! Rompez d'eaux réjouies Ce toit tranquille où picoraient des focs ! Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
privateuniverse Posted April 27, 2012 Share Posted April 27, 2012 Traccio una rotta, ma non so di quanto la devo rettificare, e dopo un po' non sono più sicuro della mia correzione. Si chiama navigazione stimata, signor Defoe, quando si procede soltanto con l'aiuto del solcometro e della bussola. Lo sapevate? Ad ogni modo è cosi', il racconto della mia vita non è altro che una navigazione stimata. Si sa dove si è, ma più ci si allontana dal punto di partenza, più la posizione diventa incerta. Il cerchio entro il quale ci si dovrebbe trovare diventa sempre più grande. E cosa si fa in questi casi? Si raddoppiano i turni di vedetta, nella speranza di avvistare terra prima che sia troppo tardi. Si consulta il giornale di bordo, e si valutano i vari fattori, l'errore strumentale del solcometro, la deriva causata dal vento e dalla corrente, i timonieri che poggiano o orzano per una raffica improvvisa. Ma si raggiunge mai una qualsiasi certezza? No, al contrario. Il navigatore esperto è quello che allarga sempre piu' il cerchio, che capisce che l'incertezza è l'unica certezza a disposizione. Ho riletto il mio giornale di bordo per vedere dov'ero, e mi sono accorto che ho soltanto calcolato le dimensioni del mio cerchio, senza mettere nessuno di vedetta. Perché una cosa almeno l'ho capita: era solo un'illusione, una presunzione e un desiderio scambiato per realtà, credere di aver navigato tutta la vita con la terra in vista e dei rilevamenti precisi. No, la mia vita non è stata che una navigazione stimata, ma forse, chi lo sa, arriverò a trovare la mia posizione, prima di affondare." Björn Larsson, "La vera storia del pirata Long John Silver", Milano, Iperborea, 1998, pag. 226. Se non un capolavoro, un'opera che vi si avvicina molto. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Christopher Posted April 29, 2012 Share Posted April 29, 2012 Alessandro Baricco - Novecento "Io, che non ero stato capace di scendere da questa nave, per salvarmi sono sceso dalla mia vita. Gradino dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio. Per ogni passo, un desiderio a cui dicevo addio. Non sono pazzo, fratello. Non siamo pazzi quando troviamo il sistema per salvarci. [...] I desideri stavano strappando l'anima. Potevo viverli, ma non ci son riuscito. Allora li ho incantati. E a uno a uno li ho lasciati dietro di me. [...] Ho disarmato l'infelicità. Ho sfilato la mia vita dai miei desideri. Se tu potessi risalire il mio cammino, li troveresti uno dopo l'altro, incantati, immobili, fermati lì per sempre a seguire la rotta di questo viaggio strano che a nessuno mai ho raccontato se non a te." Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Michicant Posted May 1, 2012 Share Posted May 1, 2012 (edited) Dal finale de La coscienza di Zeno di Italo Svevo: "La vita attuale è inquinata alle radici. L’uomo s’è messo al posto degli alberi e delle bestie ed ha inquinata l’aria, ha impedito il libero spazio. Può av-venire di peggio. Il triste e attivo animale potrebbe scoprire e mettere al proprio servizio delle altre forze. V’è una minaccia di questo genere in aria. Ne seguirà una grande ricchezza... nel numero degli uomini. Ogni metro quadrato sarà occupato da un uomo. Chi ci guarirà dalla mancanza di aria e di spazio? Solamente al pensarci soffoco! Ma non è questo, non è questo soltanto. Qualunque sforzo di darci la salute è vano. Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo. Allorché la rondinella comprese che per essa non c’era altra possibile vita fuori dell’emigrazione, essa ingrossò il muscolo che muove le sue ali e che divenne la parte più considerevole del suo organismo. La talpa s’interrò e tutto il suo corpo si conformò al suo bisogno. Il cavallo s’ingrandì e trasformò il suo piede. Di alcuni animali non sappiamo il progresso, ma ci sarà stato e non avrà mai leso la loro salute. Ma l’occhialuto uomo, invece, inventa gli ordigni fuori del suo corpo e se c’è stata salute e nobiltà in chi li inventò, quasi sempre manca in chi li usa. Gli ordigni si comperano, si vendono e si rubano e l’uomo diventa sempre più furbo e più debole. Anzi si capisce che la sua furbizia cresce in proporzione della sua debolezza. I primi suoi ordigni parevano prolungazioni del suo braccio e non potevano essere efficaci che per la forza dello stesso, ma, oramai, l’ordigno non ha più alcuna relazione con l’arto. Ed è l’ordigno che crea la malattia con l’abbandono della legge che fu su tutta la terra la creatrice. La legge del più forte sparì e perdemmo la selezione salutare. Altro che psico-analisi ci vorrebbe: sotto la legge del possessore del maggior numero di ordigni prospereranno malattie e ammalati. Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie. FINE" Edited May 1, 2012 by Michicant Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
GlassOnion Posted May 2, 2012 Share Posted May 2, 2012 Eugenio Montale, A K. (la famosa poesia con cui qualche anno fa agli esami di maturità il ministero fece una grandissima gaffe scrivendo, nella consegna dell'analisi del testo per la prima prova, che era dedicata ad una donna.) Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un’acqua limpida scorta per avventura tra le pietraie d’un greto, esiguo specchio in cui guardi un’ellera e i suoi corimbi; e su tutto l’abbraccio di un bianco cielo quieto. Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano, se dal tuo volto si esprime libera un’anima ingenua, vero tu sei dei raminghi che il male del mondo estenua e recano il loro soffrire con sé come un talismano. Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie sommerge i crucci estrosi in un’ondata di calma, e che il tuo aspetto s’insinua nella memoria grigia schietto come la cima di una giovane palma… Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Fra86 Posted May 3, 2012 Share Posted May 3, 2012 (edited) Poche letture mi hanno divertita come questa. :) Picasso di Gertrude Stein (tratto da Flirtare ai grandi magazzini) "Qualcuno che certamente aveva alcuni seguaci era un tipo davvero incantevole. Qualcuno che certamente aveva alcuni seguaci era un tipo incantevole. Qualcuno che aveva alcuni seguaci era un tipo davvero incantevole. Alcuni erano certamente seguaci ed erano certi che colui che seguivano allora fosse uno che lavorava e uno che da se stesso tirava fuori allora qualcosa. Alcuni erano certamente seguaci ed erano certi che colui che seguivano allora era uno che da se stesso tirava fuori allora qualcosa che stava diventando una cosa pesante, una cosa solida e una cosa completa. Qualcuno che certamente aveva alcuni seguaci era uno che lavorava e certamente uno che tirava fuori da se stesso qualcosa allora e uno che era stato per tutta la vita era stato uno che aveva qualcosa che usciva da lui. Qualcosa aveva continuato ad uscire da lui, certamente aveva continuato ad uscire da lui, certamente si trattava di qualcosa, certamente aveva continuato ad uscire da lui e aveva un significato, un significato incantevole, un significato solido, un significato combattivo, un significato chiaro. Qualcuno che certamente aveva alcuni seguaci e certamente aveva alcuni seguaci, qualcuno che certamente aveva alcuni seguaci era uno che certamente lavorava. Qualcuno che certamente aveva alcuni seguaci era uno che aveva qualcosa che usciva da lui qualcosa che aveva un significato e costui allora certamente lavorava. Costui lavorava e allora qualcosa veniva, allora qualcosa veniva fuori da costui. Costui era uno e sempre c'era qualcosa che usciva da costui e sempre c'era stato qualcosa che usciva da costui. Costui non era mai stato qualcuno che non aveva qualcosa che usciva da costui. Costui era qualcuno che aveva qualcosa che usciva da costui. Costui era stato qualcuno che aveva alcuni seguaci. Costui era qualcuno che aveva alcuni seguaci. Costui era qualcuno che aveva alcuni seguaci. Costui era uno che lavorava. Costui era uno che lavorava. Costui era uno che era uno che aveva qualcosa che usciva da lui. Costui era uno che continuava ad avere qualcosa che usciva da lui. Costui era uno che continuava a lavorare. Costui era uno che aveva alcuni seguaci. Costui era uno che lavorava. Costui aveva sempre avuto qualcosa che usciva da costui. Costui lavorava. Costui aveva sempre lavorato. Costui aveva sempre avuto qualcosa che usciva da costui che era una cosa solida, una cosa incantevole, una cosa adorabile, una cosa inaspettata, una cosa sconcertante, una cosa semplice, una cosa chiara, una cosa complicata, una cosa interessante, una cosa disturbante, una cosa repellente, una cosa molto bella. Costui era uno certamente era uno che aveva qualcosa che usciva da lui. Costui era uno che aveva alcuni seguaci. Costui era uno che lavorava. Costui era uno che lavorava e certamente costui aveva bisogno di lavorare in modo da essere uno che lavorava. Costui era uno che aveva qualcosa che usciva da lui. Costui sarebbe stato per tutta la vita uno che aveva qualcosa che usciva da lui. Costui lavorava e poi costui lavorava e costui aveva bisogno di lavorare, non di essere uno che aveva qualcosa che usciva da lui qualcosa che avesse un significato, ma aveva bisogno di lavorare in modo da essere uno che lavorava. Costui certamente lavorava e lavorare era qualcosa che costui era certo che costui avrebbe fatto e costui la faceva quella cosa, costui lavorava. Costui non era uno che lavorava completamente. Costui non lavorava mai completamente. Costui certamente non lavorava completamente. Costui era uno che aveva sempre qualcosa che usciva da lui, qualcosa che aveva completamente un vero significato. Costui era uno che aveva alcuni seguaci. Costui era uno che lavorava. Costui era uno che lavorava ed era uno che aveva bisogno di questa cosa bisogno di lavorare in modo da essere uno che aveva un suo modo di essere uno che aveva un suo modo di lavorare. Costui era uno che lavorava. Costui era uno che aveva qualcosa che usciva da lui qualcosa che aveva un significato. Costui era uno che aveva sempre qualcosa che usciva da lui e questa cosa la cosa che usciva da lui aveva sempre un vero significato. Costui era uno che lavorava. Costui era uno che lavorava quasi sempre. Costui era uno che non lavorava completamente. Costui era uno che giammai lavorava completamente. Costui non era uno che lavorava per avere una qualsiasi cosa che usciva da lui. Costui aveva proprio qualcosa che aveva un significato che usciva da lui. Aveva sempre qualcosa che usciva da lui. Lavorava, non lavorava mai completamente. Aveva un seguito. Seguaci che lo seguivano sempre. Certamente alcuni lo seguivano. Era uno che lavorava. Era uno che aveva qualcosa che usciva da lui qualcosa che aveva un significato. Non lavorava mai completamente." Edited May 3, 2012 by Fra86 Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
parole_alate Posted May 3, 2012 Share Posted May 3, 2012 Scopro alla finestra lo spigolo d'una gronda, in una casa invecchiata, ch'è di legno corroso e piegato da strati di tegole. Rondini vi sostano qualche volta. Qua e là, sul tetto, sui giunti e lungo i tubi, gore di catrame, calcine di misere riparazioni. Ma vento e neve, se stancano il piombo delle docce, la trave marcita non la spezzano ancora. Penso con qualche gioia che un giorno, e non importa se non ci sarò io, basterà che una rondine si posi un attimo lì perché tutto nel vuoto precipiti irreparabilmente, quella volando via. [Franco Fortini, La gronda] Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Isher Posted May 6, 2012 Author Share Posted May 6, 2012 L'unico residuo di fede era il suo senso di colpa. Vedeva la malattia che lo aveva colpito come la punizione per il suo stile di vita. Aveva vissuto nel peccato. L'aids era il prezzo che doveva pagare per la sua omosessualità. Era difficile toglierglielo dalla testa. L'aids non era una malattia qualsiasi, l'aids faceva di te un paria. «Nella prossima vita», mi disse un pomeriggio, «voglio essere eterosessuale. E poi mi sposo con Elizabeth». «Nella prossima vita», gli dissi, «sarai di nuovo omosessuale. Ne godrai di nuovo e ne soffrirai di nuovo, come ogni essere umano che non rinuncia a seguire la propria strada». Mi guardò e mi disse: «Grazie». Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
wasabi Posted May 6, 2012 Share Posted May 6, 2012 "Ciascuno, a modo suo, trova ciò che deve amare, e lo ama; la finestra diventa uno specchio; qualunque sia la cosa che amiamo, è quello che noi siamo". [D. Leavitt - La lingua perduta delle gru] Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Agron Posted May 6, 2012 Share Posted May 6, 2012 BOMBARDAMENTO ogni 5 secondi cannoni da assedio sventrare spazio con un accordo tam-tuuumb ammutinamento di 500 echi per azzannarlo sminuzzarlo sparpagliarlo all’infinito Nel centro di quei tam-tuumb spiaccicati (ampiezza 50 chilometri quadrati) balzare scoppi tagli pungi batterie tiro rapido Violenza ferocia regolarità questo basso grave scandere gli strani folli agita- tissimi acuti della battaglia Furia affanno orecchie occhi narici aperti attenti forza che gioia vedere udire fiutare tutto tutto taratatatata delle mitragliatrici strillare a perdifiato sotto morsi schiaffi traak- traack frustare pic-pac-pum-tumb bizz- zzarie salti altezza 200m. della fucileria Giù giù in fondo all’orchestra stagni diguazzare buoi bufali pungoli carri pluff plaff inpen- impennarsi di cavalli flic flac zing zing sciaaack lari nitriti iiiiii….. scalpiccii tintinnii 3 battaglioni bulgari in marcia croooc-craac [LENTO DUE TEMPI] Sciumi Marita o Karvavena croooc craaac grida degli ufficiali sbataccccchiare come piattttti d’otttttone pan di qua paack di là cing buuum cing ciack [PRESTO] ciaciaciaciaciaak su giù là là in-torno in alto attenzione sulla testa ciaack bello Vampe vampe vampe vampe vampe vampe vampe ribalta dei forti die- vampe vampe tro quel fumo Sciukri Pascià comunica tele- fonicamente con 27 forti in turco in te- desco allò Ibrahim Rudolf allô allô attori ruoli echi suggeritori scenari di fumo foreste applausi odore di fieno fango sterco non sento più i miei piedi gelati odore di sal- nitro odore di marcio Timmmpani flauti clarini dovunque basso alto uccelli cinguettare beatitudine ombrie cip-cip-cip brezza verde mandre don-dan-don-din-béèé tam-tumb- tumb tumb tumb-tumb-tumb -tumb Orchestra pazzi ba- stonare professori d’orchestra questi bastonatissimi suooooonare suooooonare Graaaaandi fragori non cancellare precisare ritttttagliandoli rumori più piccoli minutissssssimi rottami di echi nel teatro ampiezza 300 chilometri quadrati Fiumi Maritza Tungia sdraiati Monti Rò- dopi ritti alture palchi log- gione 2000 shrapnels sbracciarsi ed esplodere fazzoletti bianchissimi pieni d’oro Tum- tumb 2000 granate protese strappare con schianti capigliature tenebre zang-tumb-zang-tuuum- tuuumb orchestra dei rumori di guerra gonfiarsi sotto una nota di silenzio tenuta nell’alto cielo pal -lone sferico dorato sorvegliare tiri parco aerostatico Kadi-Keuy . Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
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