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L'OMOSESSUALITà SECONDO ME (parte 1)


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Salve ragazzi, quelllo andrete a leggere (scusate la lunghezza) è appunto cosa significa l'omosessualità secondo me. Spero di non offendere in alcun modo nessuno, poichè anche se tendo nel testo a generalizzare è comunque la mia singola esperienza personale. Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi ritrovate anche voi in quello che ho scritto, o al contrario le vostre obbiezioni.  :afraid:

 

 

 

Attraverso questo testo mi propongo di fare chiarezza sulla mia condizione di omosessuale, cercando di rintracciare le cause le conseguenze ma soprattutto possibili soluzioni al “problema”. In altre parole riassumerò in breve ciò che sono stato, ciò che sono (o ciò che sono in seguito a ciò che sono stato) ed infine ciò che sarò attraverso la figura immaginaria di Nick, che renderà più facile comprendere certi concetti e in qualche modo universalizzerà la mia esperienza a quella più in generale di gran parte degli omosessuali.

 

Premessa: fare una cosi attenta analisi del problema o comunque ricercarne le cause e le soluzioni non significa, almeno nel mio caso, non accettare il problema o inquadrarlo sotto una luce negativa ma al contrario abbracciarlo  e cercare di capire cosa vuol dire veramente essere omosessuale. La mia ricerca non risponde quindi a nessun principio religioso o morale, a nessun giudizio o sentenza, ma solo alla mia persona.

 

 

Dopo alcune ricerche e dopo aver vissuto l’omosessualità sulla mia pelle, penso di poter dire, almeno per ipotesi, ciò che ha causato la mia omosessualità. Parto quindi dal presupposto che non sia una “malattia” o un qualcosa di genetico ma semplicemente una condizione psichica e poi sessuale causata da fattori esterni.

O meglio un fattore esterno che è: la mancanza/assenza/severità del padre (non a caso molti omosessuali non hanno un papà) . Prima di arrivare a questo infatti ho sempre riflettuto su come da piccolo avessi avuto sempre paura di mio padre, preferivo stare con mamma , mi vergognavo quasi di fronte a lui, fino ad  arrivare ad oggi dove il dialogo e se vogliamo dire l’affetto è quasi assente (nonostante all’apparenza non si direbbe). Credo sia stata la sua rigidità e severità ad aver creato in me un blocco emotivo, che mi ha fatto chiudere in me stesso ma che soprattutto mi ha posto di fronte a tutti i maschi con lo stesso comportamento che avevo con lui: paura e insicurezza. (Sappiamo del resto tutti che gli avvenimenti della prima infanzia sono quelli che ci influenzano maggiormente per tutta la vita).

Questa condizione psicologica che per ora ha solo a che vedere con l’emotività, si sposta ben presto nel campo del sesso, durante la crescita (crescita e sesso sono due parole inscindibili per ogni individuo). La paura di fronte al maschio diviene ben presto adorazione: ciò che non si conosce ci attrae  e se prima è imperniato da un’aura negativa in poco tempo diventa il fulcro di una ricerca. Esempio: vedo un altro bambino giocare, io ho paura di lui, sono timido di fronte a lui, mi pongo quindi in un atteggiamento di sottomissione, e la sottomissione è qualcosa che –almeno agli occhi di un bambino-  risulta come qualcosa di negativo: o meglio come qualcosa che oscura la presenza del bambino pre-omosessuale e illumina invece quella del bambino osservato. Ecco cosi che nasce una differenza: il bambino pre-omosessuale capisce che l’altro è meglio ma allo stesso tempo la paura lo blocca, e gli impedisce di essere come lui. Ecco allora che il bambino osservato non è piu visto solo come qualcosa di positivo ma come qualcosa di irraggiungibile, di sacro, degno di adorazione..in altre parole attrazione e quindi amore. Il bambino è cosi diventato omosessuale.

Anche se eccessivamente semplificato, una volta avvenuto questo passaggio l’omosessualità è un circolo vizioso che, nello stesso modo in cui è nata –si potrebbe dire per moltiplicazione- cosi si espande: da un elemento di debolezza ne vengono due, da due quattro e cosi via fino a che, secondo la mia esperienza l’omosessuale arriva ad essere, non come la definizione vuole (ovvero un individuo che ama una persona dello stesso sesso) quanto un individuo complessato e intimorito sempre in preda a un ansia, che è quella di raggiungere un qualcosa di irraggiungibile.

L’omosessualità quindi come ho appena detto, non  significa solo l’amore per lo stesso sesso quanto frustrazione e angoscia, o come mi piace meglio dire, cambiamento della persona. E’ solo in questa accezione quindi, che inquadro l’omosessualità sotto una luce negativa ed è solo su questa che voglio “lavorare”; vale a dire non voglio “cambiarmi” perché per me è sbagliato andare con un’uomo ma perché ritengo che il mio essere omosessuale mi caratterizza anche negativamente.

 

Premettendo che gli avvenimenti della vita cambiano il carattere/modo di essere di ognuno di noi, io adesso mi propongo di dimostrare come l’omosessualità in quanto non solo semplice avvenimento ma in quanto condizione perenne di molti individui e quindi riconosciuta dalla morale comune (oltre che discussa, studiata, criticata, esaltata, tirata in ballo in ogni campo, dalla religione alla politica) [in altre parole non esiste una parola riconosciuta per chi ha perso un genitore, non si parla di diritti civili per chi ha perso un genitore, non si odia chi ha perso un genitore] può modellare il carattere e i modi di un bambino.

 

Dico questo perché spesso io mi sono ritrovato a convivere con due lati del mio carattere: da una parte mi sento una persona sicura e determinata, dall’altra insicuro e indifeso, da una parte una persona estroversa e comunicativa, dall’altra timida e chiusa.

 

Per descrivere i cambiamenti che una omosessualità appena radicata provoca, leghiamo la mia storia a quella di Nick.

 

Eravamo arrivati al punto in cui Nick, di fronte a quel bambino di cui ha paura (in quanto non ha intrapreso dal padre il giusto equilibrio di forza e protezione) comincia a covare dentro di se una sorta di “amore” verso questo bambino in quanto lo vede migliore di se (e vede in lui la forza e protezione che gli sono venute a mancare nella prima infanzia), collocandolo cosi su un piedistallo, in una posizione più alta rispetto alla sua. Secondo la regola della “moltiplicazione”, questo bambino viene a coincidere quasi  subito con TUTTI i bambini (anche se poi vedremo che Nick ormai omosessuale tenderà a fissare l’attenzione su un solo e solo quel bambino). Il bambino si allontana quindi dai compagni con i quali dovrebbe stare, e poiché al mondo ci sono solo maschi o femmine, si schiera ovviamente dalla parte delle bambine, in quanto queste non lo intimoriscono ma anzi gli danno una sorta di sicurezza, che gli permette di farsi valere su queste prima e sul mondo esterno dopo. (Nick infatti richiamava l’attenzione di tutti non tanto in quanto era sempre “beato tra le donne”, quanto per la sua energia e intraprendenza all’interno del gruppo di bambine. Era –in altre parole- il leader). A questo punto il circolo vizioso si apre ancor di più su di fronti che sono “direttamente proporzionali”:

1)  da un lato il bambino, sempre circondato dalla presenza di bambine comincia ad incamerare tendenze e modi di approcciarsi alle cose propriamente femminili che si traducono poi in sforzi di imitare le proprie compagne (sia come segno di integrazione sia come richiamo al gruppo dei maschi) (Nick sapendo che le bambine possono ottenere più facilmente i bambini facendo semplici gesti, esagererà e accentuerà queste mosse sperando cosi di ottenere anch’esso attenzioni)

2)  i bambini maschi capiscono che non è “normale” che quel bambino sia con le bambine mentre dovrebbe essere con loro. Provano quindi anch’essi come Nick , una sorta di paura (se non disgusto) verso “questo”che non riconoscono ne come bambino ne come bambina, Nick diventerà il cosiddetto “gay” “checca” “frocio”.e chi più ne ha più ne metta.

Questi due aspetti, come già ho anticipato si influenzeranno continuamente fino all’età matura. Più il bambino si integrerà nel mondo femminile e cercherà di attirare l’attenzione dei ragazzi, più sarà oggetto di scherno e violenza.

Nick inizialmente comprende difficilmente quello che sta succedendo (anzi solo un anno fa si ricordava di immaginarsi come una bambina): adesso sta bene cosi, gioca con le bambole, si veste di rosa, si fa crescere i capelli: Si sente in tutto e per tutto una di loro. Ma ancora una volta è il mondo esterno ad aprirgli li occhi: i bambini cominciano ad offenderlo: non lo trattano come tutte le altre bambine, ma con più cattiveria e anche quando tutte insieme si ribellano contro i maschi, alla fine è sempre con lui che si arrabbiano di più, episodi su episodi, tutti coronati dalla parola “GAY”.

Nick per la prima volta comincia a riflettere su questa parola e capisce

1)  innanzitutto che è negativa

2)  è riferita solo a lui

3)  vuol dire “ne maschio ne femmina” (Nick non è ancora maturo per comprenderla in termini di attrazione sessuale)

Quindi Nick si sente

1)  sbagliato, negativo, qualcosa da cambiare

2)  solo in quanto solo con lui questa parola viene usata

3)  androgino, una via di mezzo, né maschio né femmina

 

Ecco che un’altra volta il circolo si apre: Nick che già viveva con la paura di un approccio con gli altri bambini, adesso teme anche che tutti (non solo bambini ma insegnanti, nonni, bambine comprese, ma soprattutto i genitori) scoprano che lui sia gay, un qualcosa di sbagliato (Nick non sa neancora di non essere l’unico e di non essere nel torto).

Nick si protegge ulteriormente e la sua emotività deve adesso sopportare due pesi (che nel tempo di fondono)

1)  i bambini sono più bravi di me e io vorrei essere come loro

2)  nessuno deve scoprire che sono come mi chiamano loro: gay

Il bambino si trova cosi in una condizione di profondo disagio dove ciò che pensa, i suoi desideri con coincidono con la realtà e viceversa, in un continuo alternarsi di incertezze e paure. Da un lato ama essere come tutte le sue amiche bambine, dall’altro sa che è sbagliato che lui maschietto sia con loro ma soprattutto è cosciente che le persone possano pensare che sia “gay” se sta con loro o fa troppe cose “effeminate”; da un lato desidera i bambini e vorrebbe porsi nei loro confronti come una bambina (in quanto sa che “è cosi che funziona), dall’altro sa che desiderali è sbagliato e che non è una bambina.

Nick si trova cosi in un universo immenso da solo, senza nessun appiglio. Chiedere aiuto significherebbe infatti rivelare la sua omosessualità, che lui deve invece proteggere a tutti i costi (o almeno a parole), in quanto in pratica il dolore e la paura lo portano a proteggersi ulteriormente o a chiudersi troppo dentro se stesso o ad esagerare eccessivamente, in quanto vede in quel comportamento l’unico modo per farsi notare e quindi valere (Nick si sentiva spesso mancare l’aria se non si metteva in mostra).

Quello che viene fuori alla fine di questa prima tappa è –almeno nel caso di Nick- la classica figura del gay “stereotipato”: un bambino effeminato e eccentrico, a tratti timido a tratti estroversi, alcuni giorni col sorriso sulle labbra, altre immerso in lunghe riflessioni. Di fatti, per Nick, che lo voglia o no,il pensiero dell’omosessualità e sempre fisso e ricorrente nella sua mente: a volte lo maschera abilmente con modi vivaci e solari, altre non può far altro che abbandonarsi alla constatazione triste e dolorosa della sua condizione. Come ? Perché? Sono le domande che ricorrono sempre nella sua mente.

 

Fino a questo punto (Nick ha appena finito la quinta elementare) credo che, chi più chi meno, si riconosca nella figura di Nick. E’ con lo sviluppo della persona e con l’approccio a nuovi ambienti (medie, superiori) che è forse più difficile tracciare una “storia” comune dell’ bambino/ragazzo omosessuale. Credo che principalmente due strade siano percorribili:

1)  il ragazzo, ritrovandosi in un ambiente non consono alle sue aspettative (vale a dire non la società in generale che ovviamente penalizza l’omosessuale, quanto un ambiente maschilista e violento dove non permette a questo di esprimersi) dopo un più o meno lungo periodo di sofferenza, compirà il passo decisivo: il coming out e quindi il successivo e libero approccio alla comunità gay

2)  il ragazzo, che al contrario, non incontrerà mai un ambiente ostile e violento a tal punto da portarlo a compiere il coming out quasi come necessità, tenderà invece a proteggersi ulteriormente continuando quel processo di ricerca/nascondimento della sua identità

 

Nick ha intrapreso la seconda strada. Si è infatti trovato in un ambiente caldo e protettivo, vale a dire un ambiente dove i fattori esterni non sono mai stati cosi forti da portarlo a “confessare”. Questi fattori sono ovviamente la presenza maschile e la fatidica domanda “te sei gay?”.

Nick dopo le elementari, si creò infatti –di sua spontanea volontà- un ambiente che potesse proteggerlo sempre più, anche se a costo della sua stessa felicità: da una parte cominciò a “correggere” tutte le parvenze femminili che lo avevano caratterizzato alle elementari, dall’altra decise di integrarsi in un gruppo non più femminile ma bensì maschile, e vi riuscì, anche se ovviamente, almeno all’epoca, mancava quella spontaneità e slancio che caratterizzano un vero rapporto di amicizia. (Non a caso Nick ricorda quel periodo come un qualcosa di profondamente apatico). Nick era comunque “felice” in quanto nella sua testa continuava a sognare ed a innamorarsi di quello e quell’altro ragazzo immaginandosi come sarebbe stato se..(processo mentale che richiedeva spesso molto tempo) ma la sua condizione reale era comunque protetta: si comportava come i maschi e stava con loro. Non era più un “gay”.    (continua....)

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