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La critica al discorso di Agosti mi pare fin troppo facile, non so se ovviamente abbia scritto qualcosa di più significativo

vedo che sarebbe un regista, più che un filosofo o un economista. Manca nel suo discorso ogni riferimento alla realtà,

ogni capacità di indirizzare la critica al sistema in cui viviamo, il chè presupporrebbe una analisi su come funziona.

 

Se io dico ad esempio che nel sistema di produzione post industriale il valore di un bene, non è più nel suo costo di

produzione industriale e quindi il profitto si realizza altrove, ho già una spiegazione possibile del progressivo impoverimento

dell'operaio che ha lavorato per produrre quel bene. La ricchezza si è spostata verso le società di progettazione, verso il

design, verso le società che lo pubblicizzano, verso il sistema distributivo. Il successo o l'insuccesso commerciale che genera

profitto o perdite è determinato da questi servizi esterni alla fabbrica. E quindi la fabbrica in quanto tale diventa solo un

peso morto, un mero costo di produzione da ridurre al minimo.

 

Queste analisi si facevano beninteso ai tempi di Berlinguer...quando si diceva che a questo processo di cambiamento bisognava

"resistere" per difendere la centralità della classe operaia. Già nel 1990 si iniziò a spostare la critica verso il Terzo Mondo ed i

processi di globalizzazione, ritenendoli un modo di esternalizzare le contraddizioni interne al sistema.

 

A livello esistenziale il problema si pone direi per chi nella nostra società non riesce a laurearsi in Ingegneria come Casper o lavorare

in tutte le varie qualifiche immaginabili, ascrivibili al genere dei "Servizi" creativi o professionali alla produzione d'impresa.

 

Perchè in quel caso sarà pagato male, sarà considerato una voce di pura perdita, sarà pagato per il mero tempo impiegato

a svolgere la sua mansione. Ovviamente il fatto che tutte queste qualifiche siano destinate a lavoratori che non hanno lo

status di cittadinanza, dovrebbe essere il secondo elemento di riflessione.

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Agosti è un regista. Tiene da anni a Roma una sala di cinema d'essai di cui gli siamo tutti molto grati.

Nei tempi migliori ne aveva due, una più grande e una più piccola, e ci si riusciva a vedere dei bei film,

anche se, avendo non molti soldi, credo, erano sempre gli stessi. Ma la programmazione era buona.

 

In effetti, come tu dici, manca nel suo discorso ogni riferimento alla realtà, un'analisi di come funziona,

e anche a livello generale è un discorso concepito in modo molto dogmatico perché presenta come

verità acclarata e valida per tutti (altrimenti, se non la pensano come lui, sono schiavi che assumono il punto

di vista del padrone) quella che è una sua personalissima psicologia. Quel po' di vero che ci può essere a livello

di sensazione immediata, è espresso in modo talmente assolutizzato, e in fondo infantile, che non riesce,

almeno a me, a dirmi niente.

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Siamo schiavi, sì, ma non è la cultura occidentale che ci rende schiavi del lavoro.

 

Il problema è fisico. L'energia è il risultato di un lavoro. Il nostro corpo ha bisogno di energia. Quindi il nostro corpo ha bisogno di lavoro.

 

Non e` una critica, inizio con questa frase il post altimenti chissa` dove si va a finire, ma e` soltanto un'aggiunta alla tua osservazione.

Il lavoro non e` soltanto fisico, per molti e` anche mentale e genera sia energia che beni guardandolo in maniera globale. Andando piu` in profondita` generalmente in chi lo compie per un motivo (che puo` essere la precisione con cui va svolto) o per un altro (che puo` essere la pesantezza del lavoro stesso) genera frustrazione.

 

Il nostro corpo necessita si di energia, ma allo stesso tempo noi come esseri umani necessitiamo di vivere esperienze che arricchiscano la nostra persona e non intendo il senso monetario, e spesso non possiamo vivere come vogliamo, ovvero, non siamo liberi di essere dove vogliamo o di fare cio` che vogliamo, per l'essere dove vogliamo c'e` il problema del lavoro per il fare c'e` il problema della societa` che ha in maniera lenta e degradante creato stereotipi dai quali ci si puo` leggermente allontanare, ma non si possono mai abbandonare, per parlare ancora piu` spicciolo altrimenti qui diventa un flame totale...

1) Il lavoro ti tiene in un posto

2) La societa` e` piuttosto conformista (non uscire dai canoni)

 

Da qui sono possibili due strade: o lo sostentiamo il nostro lavoro o con quello degli altri.

 

La seconda soluzione, quella per cui siamo liberi dal lavoro, è possibile solamente in due casi.

1. In una società altamente gerarchizzata, in cui un'ampia base sostiene con il proprio lavoro un piccolo gruppo élitario di persone (nobili).

2. In una società altamente robotizzata, in cui il lavoro è svolto dalle macchine.

Di quale cultura il sig. Agosti sente la mancanza? Perché la prima non mi sembra da rimpiangere, la seconda deve ancora arrivare.

 

Booooooh :sisi:

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