Processo a me stessa.

[.Gi@como.]

Un piccolo uomo molto affettato un giorno decise di incamminarsi per una lunga via. D'un tratto si ritrovò di fronte ad un edificio molto alto ed imponente, sul portone del quale era incisa questa frase: si esiste solo perché esisto io.

Incuriosito, l'uomo decise di entrare e, una volta spalancate le porte, gli si presentò davanti un salone talmente immenso da non riuscire a scorgerne le pareti. Un po' intimorito, l'ometto si fece comunque coraggio e iniziò a camminare, sgranando sempre più gli occhi ad ogni passo che faceva; quella stanza, infatti, pareva essere veramente senza fine.

Dopo aver così a lungo vagato, si trovò di fronte ad un'altra porta, molto più minuta della prima. Era ornata da intarsi ben definiti e levigati, tant'è che all'uomo parve persino istoriata. Invece, ad una più attenta analisi (d'altronde egli godeva d'un carattere attento per la precisione), egli si accorse che quei bassorilievi non erano altro che figure umane stilizzate. 'Strano' pensò 'perché raffigurare forme antropomorfe su di una porta?'. Quando decise di spalancarla, lo spettacolo che gli si palesò innanzi lo scosse: una nebbia fitta fitta avvolgeva un'alta scalinata, sulla cima della quale si poteva scorgere a fatica una figura torreggiante che assomigliava ad un ragazzo. Questo giovane, dal canto suo, non appena ebbe visto l'uomo molto compunto, disse in tutta tranquillità 'ti aspettavo'.

L'uomo, spaventato per la reazione troppo calma del giovane, fece per indietreggiare; tuttavita, d'un tratto, l'uscio che lo collegava con le stanze precedenti si chiuse improvvisamente. 'Vieni pure avanti, non avere paura' disse il fanciullo. Così, all'uomo non rimase altro che avanzare, poco a poco. Una volta arrivato alla base della gradinata, uno sguardo del giovane gli fece capire che doveva anche salire fin su da lui. Così, di buona lena, l'ometto cominciò quella scalata. Giunto in cima, il fanciullo e il verde scintillante delle sue vesti gli si palesarono in tutto il loro splendore.

'Sono il Tempo' disse il più imberbe dei due 'e fremevo dalla voglia di vedere arrivare qualcuno sino a qui. Sei stato bravo a trovarmi, non tutti sanno dove sono. Si parla di Tempo fuori di voi, Tempo dentro di voi, in mezzo ed estraneo alle cose; non avete compreso che io sono il vostro Dio, e che voi esistete perché esisto io. Levate pure lo spazio, vi rimarrano ammassi di materie - se così si potrebbero ancora chiamare - informi; niente più dimensionalità, certo, ma voi esistereste normalmente, nascereste, vivreste e morireste. Senza di me, invece, senza il Tempo, esisterebbe solo la perpetua staticità, anzi, non potrebbe esistere proprio nulla vista l'immobilità intrinseca che avrebbe l'universo. Dunque, scendi nuovamente tra i tuoi pari, di' a tutti di ergermi statue e di offrirmi continui sacrifici, ed aggiungi che se ciò non sarà fatto, io punirò l'intero Cosmo impedendo che si continui la normale esistenza, fermando tutto e tutti. Già per troppo tempo mi avete angariato, già per troppo tempo non ho avuto la considerazione necessaria: è ora che voi rimediate'.

Detto ciò, l'uomo compunto, nonostante un sussulto, si azzardò a rispondergli così 'o Tempo, perché solo ora hai fatto in modo che io potessi arrivare sin da te? non saresti dovuto essere un Dio più giusto, facendo in modo che già dai primordi ci fosse chiaro quale divinità osannare e quale no? Ti porto rispetto; ma non posso di certo appellarti misericordioso. Infatti, grazie a te nasciamo, ma per causa tua muoriamo. Ti pare che possa essere accettabile tale condizione?'

Il Tempo, di tutta risposta, gli rispose 'mortale, non posso curarmi di voi tutti; non sono mie le cause e gli effetti che continuano a diversificare quello in cui mi imbattei - prima, infatti, il Cosmo non era altro che un ammasso statico ed inerme. Ma da quel momento, io ne divenni il padrone sommo, spodestando chi stava governando prima del mio arrivo. Dunque, se voi perite, non è mia la causa, ma di chi, prima di me, ha dato le condizioni secondo le quali vivete. Dunque va', e di' a tutti che è iniziata una nuova era: da questo momento, sia venerato io e solo io, il Vostro Tempo'.

[orodeglistupidi]

Uhm... non malaccio, a parte qualche caduta (es."disse il più imberbe dei due"). Ho l'impressione che ci sia un po' di farina delle Operette Morali di Leopardi (e quindi di Luciano), sbaglio?

Dovresti dargli più ritmo, omettendo o comprimendo molti dettagli del tutto ininfluenti.

[.Gi@como.]

A tutto pensavo tranne che alla Natura e l'Islandese, visto che solo con la tua risposta c'ho fatto caso! ;D

più ritmo.. in che senso? dimmi cosa dovrei ampliare e cosa omettere.

[orodeglistupidi]

Mi sembra che tu abbia un po' il vizio di inserire nel testo dettagli autoreferenziali, che alterano l'attenzione e rendono meno efficace la narrazione. Guarda ad esempio: "un piccolo uomo molto affettato"...che rilevanza ha questa caratterizzazione iniziale, se poi non trova giustificazione in qualche evento particolare che interessi il protagonista nel testo?

E perché soffermarsi così tanto sui bassorilievi con figure antropomorfe, se la loro importanza è relativa, o sulle vesti "verde scintillante", se la particolarità di questo colore muore nel momento in cui viene notata, senza dischiudere qualche altro significato?

Devi fare attenzione a creare attese nel lettore, se queste vengono poi lasciate cadere nel nulla.

[.Gi@como.]

Sulla prima e la terza hai ragione tu, per quanto riguarda la seconda, il Tempo, essendo padrone degli uomini, ha inciso su quel portone delle figure antropomorfe stilizzate.