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Queer Theory ed eteronormatività


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Ciao, vi propongo uno spunto per una riflessione.

Si tratta di una teoria (Queer theory) e di un termine (eteronormatività) all'interno di una nuova branca della geografia, ovvero quella sugli studi di genere (discorso molto ampio che ovviamente tralascio).

L'articolo è un po' lungo e forse ostico alla lettura, e me ne scuso, ma secondo me potrebbe essere interessante.

Mi piacerebbe sapere se considerate questo tipo di studi fini a sè stessi e inutili, oppure degni di una qualche considerazione.

 

 

I Queer studies, che con la critica femminista hanno in comune il ricorso alla matrice psicoanalitica relazionale e post-strutturalista, hanno dato impulso alla comprensione del genere come paradosso e alla sua decostruzione, portando l’attenzione sul ruolo delle strutture sociali nella formazione del concetto di eteronormatività.

 

Con il termine eteronormatività si intende la naturalizzazione dell’eterosessualità quale ‘normale’ espressione delle relazioni sessuali. Attraverso l’analisi di questo concetto, i Queer studies hanno saputo mettere in discussione la sessualità normativa, ovvero ciò che viene considerato ‘giusto’ e ‘normale’ – e quindi acquisisce il diritto di essere manifestato all’interno dello spazio pubblico - e riflettere sulle diverse violazioni delle regole di sessualità e di genere (Wiegman, 2006). La prospettiva dei Queer studies ha avuto il merito di mettere in discussione le etichette sessuali, evidenziando le declinazioni multiple e creative del desiderio e dei suoi oggetti. Il termine rimanda alla fenomenologia dello ‘strano’ e di tutte le sue accezioni (eccentrico, dubbio, poco chiaro, deviante), fino a prendere le connotazioni dispregiative che ne ha dato la lingua dell’eterosessualità normativa. La critica della pretesa universalità e naturalità del paradigma eterosessuale egemone ha quindi ripreso il termine per riabilitarlo, conferendogli una connotazione positiva (Dimen e Goldner, 2006).

I teorici queer si propongono, nelle loro riflessioni, di esercitare una funzione sovversiva dell’ordine prestabilito che opprime le voci e le identità altre e di giocare con i codici e con i simboli dell’eterosessualità. Questi concetti vengono tracciati per la prima volta in maniera sistematica nel libro di Judith Butler Gender Trouble del 1990, uno dei manifesti della queer theory. Decostruzione della categoria dell’identità, analisi della costituzione del corpo sul confine fra materialità e linguaggio, critica del paradigma normativo eterosessuale e dei dispositivi di inclusione/esclusione, accettazione/abiezione che esso comporta, critica del potere e del biopotere sono gli assi principali del lavoro di Butler, che sul piano politico sfocia in una strategia di radicalità democratica basata sulla destabilizzazione e sullo shifting delle identità. Butler si schiera contro l’impostazione femminista della differenza, affermando la necessità primaria di combattere il paradigma eterosessuale. Lo sforzo di delimitare e definire il sesso che ha accompagnato tutta la cultura occidentale impedisce, infatti, di comprendere a fondo le relazioni di potere ad esso legate. La tesi esposta nel suo lavoro successivo, Bodies that Matter (1993), è che l’egemonia maschile discenda direttamente dall’egemonia eterosessuale, che ha radicato il binomio maschile/femminile.

L’eterosessualità istituzionalizzata è stata studiata soprattutto in relazione al suo ruolo nel regolare l’omosessualità. Per esempio, un’analisi comparata di comportamenti che ‘trasgrediscono’ la logica binaria del rapporto di genere, come drag queen occidentali e hijras[1] del subcontinente indiano, evidenzia la specificità geo-culturale di tali distinzioni, dimostrando in modo ancora più evidente il carattere socialmente costruito della eterosessualità normativa (Suthrell, 2004).

Non bisogna tuttavia tralasciare l’impatto aggressivo dell’eterosessualità normativa sulla stessa eterosessualità. Tale aspetto, invece, è stato a lungo ignorato. Per colmare questa lacuna, le femministe hanno cominciato ad analizzare come l’eterosessualità normativa influenzi le vite degli eterosessuali. Il concetto di ‘eterosessualità compulsiva’, che si è sviluppato grazie al lavoro del 1980 di Adrienne Rich, potrebbe essere visto come il precursore del concetto di eteronormatività. Rich si chiede: «perché l’eterosessualità non è vista come una scelta ma solo come un fatto biologico? Può l’eterosessualità rappresentare una scelta o si tratta di un’imposizione sociale e politica? L’eterosessualità, come la maternità, è un’istituzione politica eccessivamente strutturata?» (cit. in McDowell e Sharp 1999, p.37).

Queste considerazioni dimostrano quanto il discorso eteronormativo sia coercitivo nel mondo occidentale. Come prescrive i comportamenti ‘da non assumere’, allo stesso tempo codifica in maniera netta i comportamenti considerati ‘normali’ e ‘giusti’. Rappresenta, per definizione, una relazione di genere, che ordina in modo binario non solo la vita sessuale, ma anche la divisione tra lavoro domestico ed extradomestico e gestione delle risorse; non definisce dunque solo la pratica sessuale normativa, ma anche il ‘normale’ modo di vivere (Jackson, 2006). L’identità eterosessuale influenza il controllo fisico del corpo femminile, ma anche il controllo maschile delle istituzioni statali e della cultura egemone (McDowell e Sharp, 1999); si traduce pertanto anche in una gestione degli spazi fortemente normativizzata, soprattutto per quanto riguarda la pianificazione e la progettazione degli edifici pubblici, i cui ambiti interni, che siano bagni, palestre, toilette[2], carceri, o carrozze ferroviarie (come avviene in India), vengono divisi in funzione del fatto che gli utilizzatori siano uomini o donne. Per questa ragione, molti lavori geografici analizzano come l’eterosessualità si iscriva spazialmente, ovvero come il concetto si traduca in una spazializzazione delle relazioni sociali di genere.

 

 

 

Da Borghi Rachele e dell'Agnese Elena (2009). "Genere". In Geo-grafie. Milano: Unicopli.

 

 

 

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[1] Il termine hijra in urdu significa ermafrodita; usualmente tradotto nella letteratura anglosassone come ‘eunuco’ e in quella italiana come transessuale, non sta in realtà ad indicare una ‘categoria’ di persone nettamente identificabile in termini biologici, ma una collettività di individui, presente all’interno della complessa società indiana almeno dall’XI secolo, i cui membri si autodefiniscono ‘né uomini, né donne’ e vivono in comunità separate (Agrawal, 1997).

[2] A molte donne sarà capitato di fare lunghe file di fronte alla porta della ‘toilette delle signore’, a fronte di bagni destinati agli uomini vuoti. Cosa spinge una persona a perdere parte del suo tempo (ovviamente prezioso nella concezione occidentale …) quando potrebbe velocizzare il tutto accedendo ad uno spazio che in definitiva assolve alla stessa funzione ed è spesso speculare? Si può forse spiegare con il concetto foucaultiano di governamentalità? Si pensi, anche, alla convinzione che gli uomini sporchino maggiormente i sanitari, quasi che ‘il senso del pulito’ sia iscritto nei geni femminili e non in quelli maschili.

Link to comment
https://www.gay-forum.it/topic/12481-queer-theory-ed-eteronormativit%C3%A0/
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Se non mi sforzo a rispondere in modo semplice,

col cavolo che qualcun altro interviene in questo thread :rotfl:

 

- Primo punto

La "decostruzione dell'identità"

("eterosessualità e omosessualità sono solo etichette")

sembra un ragionamento filosofico avanzato;

ma coincide con il primo abbozzo di auto-coscienza

della propria identità omosessuale.

 

In poche parole somiglia troppo al classico discorso

dei post-adolescenti intimoriti dalla propria omosessualità.

 

- Secondo punto.

Che l'egemonia maschile derivi da quella eterosessuale

è un'evidente falsità.

Le società davvero patriarcali (Roma Antica e l'Islam dell'XI sec.)

avevano proprio il concetto di "identità maschile fluida"

che solo la consacrazione della fedeltà coniugale fisserà.

Questo per quanto riguarda l'orientamento. Ma vale anche per l'identità di genere:

sembra quasi che più una società fissa le differenze tra maschi e femmine

più sia disponibile a tollerare la transessualità (Iran e l'India, citata nell'articolo)

 

La "decostruzione dell'identità"

("eterosessualità e omosessualità sono solo etichette")

 

 

La Queer Theory è ormai tramontata o perlomeno si è storicamente già espressa e, a mio parere, il meglio di

sé lo ha dato rispetto al modo di pensare non l'omosessualità maschile ma il lesbismo. Tutte le grandi teoriche

della Queer theory sono state donne, e donne che avevano un grosso cervello. La Queer theory oggi sembra

conclusa e il suo portato continua a vivere nell'ambito dei Gay and Lesbian Studies. Oltre al lesbismo, che ne è stato

il motore principale, ha promosso e affermato la rivalutazione del trans(gendersimo, sessualità).

 

Per quanto riguarda il concetto di «decostruzionismo», esso ha un volto positivo e uno negativo, che coabitano

fin dall'inizio l'uno accanto all'altro nella teoria. "eterosessualità e omosessualità sono solo etichette" è solo il

risultato ultimo e più banale dell'impostazione decostruzionista e forse è ingiusto valutare la Queer theory al lume

di quest'esito idiota, anche se è vero che esso è compreso fin dall'inizio nella teoria, ma con un significato

più ricco.

 

Infatti il decostruzionismo si prefigge, all'inizio di smontare la costruzione storico-culturale e sociale del Genere,

mostrando che il Genere non è dato, non è un datum obbiettivo, biologico, ma appunto una costruzione

culturale che si impone (avendo come oggetto privilegiato il corpo della donna). Il Genere è quindi

«rappresentazione», ma se è una rappresentazione può essere decostruito e smontato. Correlativamente, il corpo

è «esperienza», fluire di esperienze.

 

La critica che si può rivolgere a questa proposizione primaria è che la definizione del Genere come mera

«rappresentazione» ignora la percezione soggettiva che ognuno ha del proprio corpo e che sperimenta

lungo tutto il corso della propria vita.

 

La caratteristica attribuita ai Generi di essere mera costruzione culturale, politica, sociale dell'identità presenta l'interesse

di mostrare che le categorie di definizione sono una «finzione», ma d'altro canto scoraggia qualsiasi nuova

definizione di Sé, giacché essa sarebbe una nuova «finzione».

 

La critica qui è che la dissoluzione del gay, lesbica, etero maschio, donna etero in un «queer» che dice fondamentalmente

«Non sono» : non sono questo o quello; non sono sempre quello che sono oggi; non sono questo perché domani

sarò altro, eccetera, cozza con due gravi limiti e obiezioni:

 

1. la prima è che essendo indeterminato il queer (chi si definisce queer) non può entrare in relazione con nessuno

 

2. la seconda è che proprio il dire "oggi sono gay, domani sarò etero, dopodomani sarò altro, sarò questo o quell'altro"

prescrive senza accorgersene quello che voleva criticare cioè comportamenti immodificabili e definiti

(perché gay, lesbica, etero, sono e saranno assunti come comportamente definiti e  ben contrassegnati, e devono esserlo

per poter essere vicendevolmante assunti). La libertà del queer consisterà quindi semplicemente nel passare

da un'identità data a un'altra.

 

Forse è un po' ingiusto addebitare a questa teoria la conclusione più scempia, "nonvogliodefinirmi" "nonsochisono", espressa

senza molta consapevolezza da alcuni omosessuali che non sanno nemmeno cos'è la Queer theory e magari non hanno mai letto

un libro ad esempio di Judith Butler (che sono piuttosto difficilotti), ma certo questo slogan da lì proviene.

Vi propongo il corpo succulento del discorso abbinato alla variabile spazio, la principale della geografia. Anche qui forse il linguaggio è un po' ostico e me ne scuso.

Trovate per caso anche qui una divisione troppo rigida? (voglio capire se credete che siano discorsi un po' tirati per i capelli).

 

Lo spazio, come è ben noto, non è un semplice sfondo, un palcoscenico sul quale si svolgono le azioni umane ma è esso stesso un produttore di significati e un riproduttore di meccanismi e di dinamiche sociali. Gli studi più recenti sul rapporto tra sessualità e spazio hanno dimostrato che lo spazio pubblico è costruito intorno alla particolare nozione di ‘comportamento sessuale appropriato’. Tale nozione ha come effetto l’esclusione di tutti i modi di vivere non centrati sulla monogamia, l’eterosessualità e il sesso procreativo, concetti dai quali parte la costruzione dell’ordine sociale nella maggior parte delle società patriarcali. Lo spazio pubblico gioca un ruolo fondamentale nella costruzione e nella legittimazione di una serie di politiche, formulate a partire proprio dal concetto di eteronormatività che però non viene mai esplicitato. Attraverso l’analisi di questo concetto, è possibile mettere in discussione la sessualità normativa, ovvero ciò che viene considerato ‘giusto’ e ‘normale’ e quindi acquisisce il diritto di essere manifestato all’interno dello spazio pubblico (Wiegman, 2006).

 

Pensare che la sessualità appartenga alla sfera privata dell’individuo significa ignorare la sua funzione di dispositivo nella formazione dell’identità collettiva. Lo spazio pubblico si modella in relazione al binomio giusto/sbagliato, lecito/illecito, omosessuale/eterosessuale, che diventano in questo modo i parametri attraverso cui esso viene pensato e gestito. Di conseguenza, nello spazio (quello urbano in particolare) possiamo leggere tutti quei meccanismi di inclusione/esclusione che sono il riflesso della costruzione sociale dei generi. Ciò che dà potere allo spazio normativo è la sua presunta ‘neutralità’. La natura gendered dello spazio sociale viene nascosta dietro la naturalizzazione della divisione tra spazio pubblico e spazio privato, riflesso della divisione della vita sociale in pubblica e privata.

Partendo da questi concetti, ci proponiamo di riflettere su quelle che possono essere considerate una sorta di ‘violazioni’ delle regole non solo della sessualità e del genere ma anche di tutto ciò che è considerato 'normale' e 'giusto':le PRATICHE. Il tentativo è quello di riprendere questi concetti nati in seno ai gender studies e sviluppatasi con la queer theory per indagare le forme di esclusione sociale che lo spazio pubblico riproduce e legittima attraverso l'individuazione di azioni di reazione e trasgressione di tale ordine. I soggetti deboli non sono soltanto le donne eterosessuali o gli omosessuali ma anche tutte quei soggetti che appartengono a quella che la fotografa americana Diane Arbus individuava come un’umanità ‘freaks’, composta da una serie di individui che possiedono solo in parte o non possiedono affatto quelle caratteristiche necessarie per rientrare nella categoria considerata in maniera esplicita o tacita ‘dei soggetti normali’. Il corpo ‘giusto’, che occupa a pieno diritto lo spazio pubblico è infatti il corpo dell’uomo, bianco, occidentale, giovane e sano. Tutto ciò che esula dai parametri della normalità viene rapidamente classificato nella a-normalità. Questo processo si riflette nella pianificazione degli spazi pubblici, in particolare di quelli urbani che diventano dei contenitori della ‘normalità’, traendo la loro forza dalla loro presunta neutralità. Ecco allora che uno spazio considerato neutro può diventare estremamente violento, dal momento che mette al bando quei soggetti ‘a-normali’ come gli individui anziani, i/le bambin* o gli/le immigrat*. Lo spazio di tutti si trasforma allora tacitamente nello spazio di pochi, in cui risultano visibili quelle dinamiche di potere che si traducono in pratiche di esclusione e di marginalizzazione dei soggetti considerati deboli.

 

Fonte: http://nuke.luogoespazio.info/GEOGRAFIAEUNIVERSITÀ/GruppodiRicercaPratichedirotturadellordine/tabid/540/Default.aspx

Se la banalizzazione del discorso precedente

è la vulgata: "gay" è soltanto un'inutile etichetta;

qui abbiamo il famigerato: i luoghi di aggregazione gay sono dei ghetti.

(cioè: l'omosessuale è relegato in un circolo privato,

perché lo spazio pubblico è loro vietato)

 

La Queer Theory è - nel 2010 - l'opinione degli omosessuali reazionari.

Risultato imprevedibile di teorie rivoluzionarie

utilizzate a giustificazione del proprio occultamento.

Le "armi dei rivoluzionari raccolte dalla reazione"

di cui parlava il situazionista Debord.

 

Io la trovo una cosa comica.

Foucault e la Queer Theory

come alibi del bisex velato e dei cessi di stazione,

idee forse buone per gli Anni Settanta:

ma superatissime per un ragazzo gay di oggi.

 

Eppure le conclusioni della teoria sarebbero opposte!

L'alternativa a baciarsi in un locale gay,

dovrebbe essere il farlo in locale pubblico!

L'alternativa alla "manifestazione identitaria"

dovrebbe essere l'orgoglio permanente!

Ne rimane però solo una dinamite senza miccia...

Questo però in parte è anche il problema del recepimento italico della teoria.

Stabilito che in Italia non si sono prodotti gli effetti positivi avuti in altri paesi

e magari altrove già esauriti ( come dice Isher ) e quindi oramai non recuperabili

per quelle vie ( la Queer Theory come occasione mancata ) dovremmo chiederci

perchè in Italia è successo questo.

 

La mia sensazione è che l'opportunità che la teoria consentiva ( la sua comunicabilità )

si sia persa in una serie di confronti accesi ma chiusi nel ristretto circolo della militanza

laddove altrove il pregio (inclusività) è stato l'ampliamento della base al di là della militanza costruita

solo politicamente. Al contempo la teoria non è mai stata "vissuta", da noi tutta la

parte ascrivibile all' "esperienza" non ha mai preso corpo nei percorsi individuali dei gay

che vivevano quegli anni. L'impiego come triste giustificazione del velato, gay o bisex

che sia, non è certo comparabile con fenomeni discutibili ma certamente vitali, di ibridazione

e inclusività, che si sono visti a Londra, Anversa, Amsterdam. Fenomeni che da noi semplicemente

non ci sono mai stati, nè prima, nè certamente oggi.

In effetti all'estero queste cose sono già superate, e forse il fatto che stanno riproponendo qua queste cose (perlomeno in campo geografico) sa un po' di minestra riscaldata. L'unica cosa che salvo e che trovo ancora piuttosto attuale, perlomeno da noi, è il concetto di spazio pubblico eteronormativo e spazio privato. Non penso che l'intento dei sostenitori italiani di queste cose sia considerare i luoghi di aggregazione gay dei ghetti (in Italia penso non ci siano propriamente quartieri gay, non ci sono i presupposti di milieu, ma solo gay friendly in certi giorni della settimana o in certi orari) ma solo cercare di rompere l'eteronormatività dello spazio pubblico; quest'ultimo deve essere veramente neutro, anche per la valenza della sessualità nella formazione dell'identità collettiva.

[...] il problema del recepimento italico della teoria.

Stabilito che in Italia non si sono prodotti gli effetti positivi avuti in altri paesi

e magari altrove già esauriti [...] dovremmo chiederci perchè in Italia è successo questo.

 

 

Alle ragioni che dici, Hinzelmann, bisogna aggiungerne una, la più semplice, forse la più grave,

e che è alla base di tutte. In Italia non si è tradotto niente o quasi niente della Queer theory. A questo

va parallelo il fatto che in Italia non esiste una Collana di Gay and Lesbian Studies. Qualche libro è stato

tradotto, pochissimi in verità, da Case editrici non di primo piano, e, esauritosi, non è mai stato ristampato.

Di Judith Butler è stato tradotto un solo libro, con una prefazione brevissima e abbastanza insulsa di Giulio Giorello,

dalla quale non si capisce neppure che la Butler è lesbica, ma sembra una generica creatura femminista:

questo per parlare della pruderie quasi/omofoba della nostrana intellighenzia di sinistra.

  • 3 months later...

Vi posto un Convegno che faranno nell'Università Statale di Milano, nella sede di Lingue (ubicata tra Via Torino e Piazza Missori)

martedì 11 maggio alle ore 10.30

il titolo è

"Introduzione agli studi di genere e queer"

 

E' curata dal Dott. Amenta docente dell'Università "Tor Vergata" di Roma

 

Ecco il link http://www.letterefilosofia.unimi.it/files/_ITA_/News_archivio/05-11-10__Introduzione_agli_studi_di_genere_e_queer_Cometta.pdf

 

Sembra molto interessante. Fatemi sapere se parteciperete.

Ciao

Pugsley

  • 3 weeks later...

A seguito di due incontri a Roma e a Milano sugli studi di genere, vi propongo questo articolo sull'eteronormatività e lo spazio.

E' sulla geografia di genere.

http://nuke.luogoespazio.info/HOMEDILUOGOESPAZIOINFO/tabid/466/EntryID/280/Default.aspx

 

Ecco uno spunto:

"...Sappiamo molto bene che lo spazio non è un semplice contenitore ma contribuisce esso stesso ad alimentare certe pratiche, a riprodurle, a modellarle e, a volte, anche a legittimarle. Non è difficile capire perché è così diffusa l’idea che una coppia omosessuale possa ‘fare quello che vuole’ nel privato ma le manifestazioni affettive vengano prese come una sorta di ‘provocazione’ nel momento in cui si svolgono per strada, in piazza, in bar (non gay friendly…). Lo spazio pubblico, infatti, pur essendo per definizione ‘di tutti/e’ è considerato in maniera tacita lo spazio dei/lle ‘normali’, di coloro, cioè, che rispondono alle caratteristiche imposte dalle costruzioni sociali e dal senso comune. Da questo ‘dato per scontato’ deriva il sanzionamento sociale verso tutti quei comportamenti considerati ‘non consoni’.

E’ questo ciò che la geografia ha tentato di mettere in luce attraverso il concetto di eteronormatività dello spazio pubblico. Con il termine eteronormatività si intende la naturalizzazione dell’eterosessualità quale ‘normale’ espressione delle relazioni sessuali.

Attraverso l’analisi di questo concetto, i Queer studies hanno saputo mettere in discussione la sessualità normativa, ovvero ciò che viene considerato ‘giusto’ e ‘normale’ – e quindi acquisisce il diritto di essere manifestato all’interno dello spazio pubblico - e riflettere sulle diverse violazioni delle regole di sessualità e di genere (Wiegman, 2006). Il discorso eteronormativo è fortemente coercitivo. Nel momento in cui prescrive i comportamenti ‘da non assumere’, allo stesso tempo codifica in maniera netta i comportamenti considerati ‘normali’ e ‘giusti’. Rappresenta, per definizione, una relazione di genere, che ordina in modo binario non solo la vita sessuale, ma anche la divisione tra lavoro domestico ed extradomestico e gestione delle risorse; non definisce dunque solo la pratica sessuale normativa, ma anche il ‘normale’ modo di vivere (Jackson, 2006). L’identità eterosessuale influenza il controllo fisico dei corpi, ma anche il controllo maschile delle istituzioni statali e della cultura egemone (McDowell e Sharp, 1999); si traduce pertanto anche in una gestione degli spazi fortemente normativizzata, soprattutto per quanto riguarda la pianificazione e la progettazione degli edifici pubblici, i cui ambiti interni, che siano bagni, palestre, toilette, carceri, ecc., vengono divisi in funzione del fatto che gli utilizzatori siano uomini o donne (non LGBTIQ). Per questa ragione, molti lavori geografici analizzano come l’eterosessualità si iscriva spazialmente, ovvero come il concetto si traduca in una spazializzazione delle relazioni sociali di genere..."

 

Buona Lettura!

A Milano ci fermò la Polizia per un bacio in Piazza Duomo;

lì ho capito che il problema non è "l'eteronormativa dei luoghi"

ma il potere discrezionale dato alle Forze dell'Ordine

chiamate a far valere questa "eteronormatività".

 

L'ambiguità dell'oltraggio al pudore

porterà a far coincidere il "pudore pubblico"

con il pudore delle Forze dell'Ordine.

 

A Milano io reagii nell'unico modo in cui so sempre reagire:

"Datemi i vostri nomi e portatemi da un magistrato"

Immaginavo che la coscienza politica del giudice

avrebbe interpretato in modo più progressista un bacio gay.

 

In breve: "l'eteronormatività dello spazio pubblico"

coincide con "l'omofobia delle Forze dell'Ordine".

Siamo sinceri.

Se domani venissi condannato per un bacio gay in pubblico,

la questione prenderebbe velocemente una piega politica.

Il magistrato valuterebbe anche questo fatto

e le Forze dell'Ordine quando hanno il sentore

che - invece di conciliare - ti rivolgeresti alla pubblica opinione

scappano subito a gambe levate (lo fanno davvero, giuro)

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