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[Racconto Gay] Rosa pallido


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Marcello non amava i funerali, ma non poteva mancare a quello di sua madre. Seduto in seconda fila, sentiva il peso delle occhiate dei parenti, giudizi non detti che gli erano stati rivolti per tutta la vita. Indossava un abito nero, come ci si aspetta a una funzione del genere. Il problema? Il suo abito era da troia. Un lungo vestito nero che scendeva fluido fino alle caviglie, scollato sulla schiena e con una coda morbida che seguiva ogni suo movimento. La giacca, sciancrata e aderente, lasciava scoperta la parte bassa del corpo, rivelando con audacia un jockstrap di pizzo nero. Non era nemmeno stato discreto: aveva scelto quel particolare modello proprio per farsi notare.

Gli sguardi degli altri, però, lo osservavano con sufficiente disagio da fargli capire che già l’abito di per sé era una dichiarazione troppo audace. La cugina Claudia, con quella permanente che la faceva sembrare più vecchia di dieci anni, lo guardava di sottecchi prima di voltarsi con il viso paonazzo. Il padre, come al solito, non gli aveva rivolto nemmeno uno sguardo, troppo impegnato a stringere mani e accettare condoglianze con la rigidità di chi non ha mai permesso a una lacrima di scendere, nemmeno per la moglie.

Fu durante il momento dei saluti, all'uscita della chiesa, che lo zio Giulio si avvicinò, il volto contratto come se avesse appena ingoiato qualcosa di amaro. "Marcello," disse con un tono calmo, quel genere di voce che usi quando cerchi di essere diplomatico, "possiamo parlare un attimo?".

Marcello sospirò, immaginando già dove stesse andando la conversazione. Si tirò su i capelli, raccolti in una coda perfetta, e annuì.

Lo zio fece un mezzo sorriso, uno di quelli forzati, e lo portò un po’ più in là, verso un angolo del cortile, lontano dagli sguardi curiosi dei presenti. "Guarda," iniziò lo zio Giulio, "so che hai il tuo... modo di essere, e va bene. Ma oggi... pensa a tua madre. Non avrebbe voluto vederti così."

Marcello alzò un sopracciglio. "Così come?" domandò, fingendo di non capire.

Lo zio indicò vagamente il suo abbigliamento, come se nominare ciò che vedeva avrebbe potuto invocare qualche disastro imminente. "Così. Con quell'abito... da donna."

"Ah," rispose Marcello, con una calma glaciale. "Beh, lo sai, mamma mi ha visto così tante volte. Negli ultimi mesi... sapeva chi ero. E, anzi, mi ha detto di non preoccuparmi di cosa pensassero gli altri."

Giulio rimase visibilmente a disagio, non sapendo come continuare. "Tua madre... sì, ma... oggi è diverso. È il suo funerale. Forse... potevi fare uno sforzo in più per... come dire, rispettare il momento?"

Marcello sorrise, un sorriso che sapeva di vendetta dolce. "L'ultima cosa che mi ha detto, quando ero vestito così, è stata: 'Mi dispiace solo che tu non abbia mai indossato quel vestito rosa che ti piace tanto'. Questo qui, per fortuna, le piaceva." Si voltò leggermente, lasciando che il tessuto del vestito ondeggiasse nella brezza, rivelando appena il contorno del jockstrap che lo faceva sentire nudo e forte allo stesso tempo.

Zio Giulio lo fissò con la bocca semiaperta, probabilmente domandandosi cosa volesse dire. Marcello, però, sapeva di aver già detto abbastanza. "Sai," continuò, "in fondo il rosa non mi sta nemmeno bene. Troppo pallido per la mia carnagione. Ma a mamma piaceva l’idea. E sai una cosa? Non le è mai importato se la gente lo trovava... inappropriato. Lei ha capito che alla fine, l'unica cosa che conta è essere sinceri con se stessi."

Lo zio Giulio annuì meccanicamente, senza trovare le parole. Marcello gli diede una pacca leggera sulla spalla e, senza attendere un'altra risposta, si allontanò, lasciando lo zio nel cortile, imbarazzato e confuso.

Passò accanto agli altri parenti, quelli che avevano preferito fingere di non vedere. Eppure, come al solito, le loro occhiate tagliavano l’aria come lame invisibili. Ma oggi, Marcello non sentiva alcuna vergogna. Oggi, nel giorno dell’addio a sua madre, lui era finalmente libero.

E mentre si allontanava dalla chiesa, con il vestito che ondeggiava dietro di sé e il jockstrap che gli ricordava ogni passo che stava facendo, sapeva una cosa: nessuno avrebbe mai potuto dimenticare quel funerale.

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