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Ferzan Ozpetek e lo spirito dei luoghi


Guest Petit.Prince

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Guest Petit.Prince

Cosa ne pensate, di questo regista? Non sono esperto di cinema, ma ho avuto modo di seguire la maggior parte delle sue pellicole, e il rapporto che intrattiene con Roma mi ha profondamente impressionato. Viverla attraverso i suoi occhi è tuffarsi nel mistero di una miriade di cose, oggetti, strade, vedute che hanno un significato silenzioso, ma che si avverte istantaneamente. Roma è una protagonista, assieme alle storie d'amore che si intessono. Storie tormentate sorvegliate da una Roma fitta di una nostalgia attraente. Mi viene in mente Cuore Sacro, e le Fate Ignoranti. Benché abbia riqualificato, attraverso il suo grande sogno, anche il centro, con La Finestra di Fronte e la sua ambientazione soffusa, in cui il ghetto ha pareti che trasudano tragedie lontane e che ricominciano a parlare dentro di noi dopo la visione di questo film drammatico, spaesante, ma anche colmo di verità, io preferisco gli scenari urbani che circondano le prime due storie che ho elencato, ovvero il rione Monti, silenzioso, notturno e quasi spopolato, fatto di case che sembrano abbandonate, in cui qualcosa in passato circolò, e che oggi lascia solo il vuoto magico di assenze e fantasmi senza nome, e il quartiere Ostiense che, sotto la sua ostinata vita frenetica, svela nel pomeriggio la sua calura desolata, le sue architetture da ex quartiere industriale. Fabbriche senza più un senso reale, che animano il marciapiede con i loro contorni trasandati, i ciuffi d'erba che costeggiano i caseggiati, i grandi gazometri che si ergono come vestigia di un orgoglio novecentesco oggi in rovina. Proprio in quel sito, Ferzan ha attribuito la potenza per ricreare un sentimento: era luogo designato per gli incontri d'amore tra un ragazzo che compare nella storia, e il suo fidanzato, che poi lo abbandonò lasciandogli questo rudere parlante. Il "genus loci" è un argomento visitato spesso dal regista, ricordo che anche nella Finestra di Fronte, c'era un muretto in un parco che vagamente ricorda quello dietro il teatro di Marcello, sotto i cui mattoncini questa coppia di innamorati assediati scambiavano le loro lettere d'amore clandestine. Cosa dire? E' un ambito interessante, quello della pregnanza dei luoghi. Da qui mi sorgono dei quesiti che rivolgo a me e a tutti. Quanto conta, per noi, la persistenza del luogo? In base a cosa un innamorato sceglie? I luoghi sono emanazione umana, non esiste colle che l'occhio non rielabori dentro di sé e, soprattutto quelli urbani, sono inequivocabilmente segnati dal passaggio. La scelta della città è una scelta importante e carica di significato. Oltre alla comodità, cosa ci dice un paesaggio umano? Ci piace sovrapporre le nostre orme su quelle di qualcun'altro, o immaginare i piedi di chi le ha lasciate? Cosa induce Ferzan a scegliere questi luoghi, per ambientare storie d'amore? Luoghi deserti, dove solo l'amore gay ha oggi modo di esistere? O rifugi che un gay sceglierebbe non solo perché lontani dalla vista degli occhi malevoli, ma perché ha un occhio magico che ama scoprire dettagli dai più dimenticati? Se il gay ha un Paradiso limitato, dove vivere il suo amore, forse vuole fondare nel suo piccolo Paradiso uno spazio tutto suo?

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Bel topic! Il paesaggio nei film di Ozpetek ha in effetti una funzione importante, perché spesso diviene specchio delle vicende umane rappresentate, e non solo uno sfondo.

In Saturno contro la stabilità iniziale della coppia è un elemento che viene secondo me reso anche grazie all'ambiente casa: una ambiente familiare, bello, allegro, dove gli amici vanno e vengono, ci si riunisce tutti intorno alla tavola per passare momenti felici.

Il luogo secondo me serve a conferire forza alla storia, e rende i personaggi più vivi.

Il film che però mi viene più spontaneo collegare al tuo topic non riguarda Roma(anche se viene evocata), ed è Mine Vaganti. Per vari motivi. L'amore gay che viene tenuto nascosto non sempre ha un luogo dove vivere serenamente. Così è per Antonio, il fratello di Tommaso, che non può vivere il suo amore nella città di Lecce, e finisce così per perderlo. Tommaso ha lo stesso problema a Lecce, ma lui in realtà vive a Roma, e lì può stare con il suo compagno senza il timore di essere visto dalla gente. Poi c'è la nonna, e anche nel suo caso c'è l'amore mostrato e quello nascosto, ed è interessante il fatto che sono ambientati in due paesaggi diversi e opposti. La scena iniziale del film mostra la nonna, da giovane, che incontra l'uomo che ama realmente, pur dovendone sposare un altro. Siamo in un paesaggio aperto, libero, in campagna. Invece la vediamo in città, tra le mura delle case, nelle vie strette, quando deve chiudere dentro il suo cuore l'amore che prova, che non è più libero.

Bellissima infine la scena in cui Tommaso e Marco sono sulla spiaggia e immaginano di stare nella casa nuova, che pian piano svanisce fino a diventare uno spazio vuoto, libero, e non c'è più bisogno di un soffitto, di finestre: l'amore che finalmente vive indipendentemente dallo spazio in cui si muove, perché sa muoversi più in alto e spiccare il volo.

Così, alla fine, ci sono due spazi che si sostengono l'un l'altro: quello reale, tangibile, che è anche sinonimo di stabilità, e vuole essere familiare, un posto accogliente dove l'amore venga riconosciuto e accettato, e poi quello immaginario, che è desiderato ma a volte manca, e permetterebbe di vivere realmente quell'amore.

La speranza, a volte così densa di malinconia, altre volte illuminata dai teneri raggi del sole del sud, è che questi due luoghi diventino in tutt'uno.

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