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Loup-garou


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Versaĵo por hundo

 

Havanta ungegojn por aliulo,

vi al mi la piedojn tuj florigis;

tiu teksaĵo kaj via okulo

min tra tristaj inkuboj sinjorigis.

 

Gardon mi memoradas, ne la bojon.

L’ unua am’ ‘stis vi, sed al patrina

tio ankoraŭ mi ‘stis pli inklina.

Kion mi diris tiun lastan fojon?

 

Morto via mortigis min, etulo.
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Non me ne vorrai se provo a lanciarmi in un improbabile traduzione, vero?

Molti costrutti non li ho ancora studiati perciò vado in quel che mi manca (cioè quasi tutto) ad intuito, alcune frasi trasposte da me non stanno in piedi ma spero che almeno il senso originario non si sia snaturato troppo.

 

 

 

 

Poesia per un cane

 

Portatore di artigli per gli altri,

i miei piedi fai fiorire all'istante;

quel tessuto e il tuo occhio

tra tristi incubi mi fanno diventar grande.

 

Mi ricordo di farti la guardia, [...]

la prima amorevolmente fosti tu,

ma in tutto questo io fui ancor più incline a quella materna.

Cosa mi ha detto quell'ultima occasione?

 

La tua morte ha ammazzato in me il fanciullo.

 

 

 

Quanto meno deve essere divertente come si è trasformata...

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Tutt'altro, apprezzo molto lo sforzo. Anzi, mi hai fatto notare che il secondo verso è ambiguo nel suo significato! =)

 

 

La traduzione in italiano è più o meno questa:

 

 

Tu, che per gli altri avevi artigli,

verso di me subito facevi fiorire1 le zampe;

quel tessuto2 e il tuo occhio

superando incubi tristi mi hanno fatto diventare signore3.

 

Il tuo fare la guardia continuo a ricordarmi, non l'abbaio.

Il primo amore fosti tu, ma a quello materno

ancora ero più incline.

Che cosa dissi quell'ultima volta?

 

La tua morte mi ha ucciso4, piccolo.

 

 

1 Rimanda alla zampa che si apre, che sboccia come se i polpastrelli fossero petali.

2 «Teksaĵo» significa proprio "tessuto" inteso come oggetto ottenuto con la tessitura (es. tessuto di lino). Non si usa quella parola per i tessuti come l'epidermide. In questo caso, è una metafora per riferirsi alla morbidezza dei polpastrelli.

3 Si riferisce alla maturità (adulto), ma anche a una qualità della stessa.

4 Letteralmente "mi ha fatto morire".

 

 

 

Questioni tecniche:

 

«Havanta» significa letteralmente «che ha». Tuttavia, in esperanto il tempo (passato, presente, futuro) della subordinata è sempre riferito al tempo della frase principale, non al tempo attuale in cui viene detta la frase, quindi in italiano in questo caso diventa «che aveva».

 

Il secondo verso, hai ragione tu è ambiguo. «Al mi» l'avevo inteso "verso di me", ma unito a una parte del corpo (la piedojn) e a un verbo transitivo sembra che significhi che la parte del corpo appartiene a me. Per evitare quest'ambiguità bisognerebbe usare «direkte al mi», ma non ci starebbe nel verso (non sarebbe più endecasillabo). Per evitare l'ambiguità a questo punto è meglio usare «kun mi».

«Piedo» si usa indifferentemente sia per i piedi degli esseri umani sia per le zampe degli animali.

 

«Tra» è una preposizione di moto per luogo, quindi implica movimento (a differenza di «inter» che invece indica staticità, stato in luogo). Per questo nella traduzione italiana ho usato «superando», perché il senso è che gli incubi vengono attraversati, lasciati alle spalle.

 

«Gardon» (gardo all'accusativo) è il sostantivo di gardi (fare la guardia), quindi gardo significa "guardia, atto del fare la guardia". Nell'originale è indeterminato (non ha l'articolo, visto che non si riferisce a un ricordo preciso), ma in italiano l'articolo determinativo è necessario o non avrebbe senso.

«Memoradas» contiene il suffisso -ad che indica un'azione continuata. Quindi non è un ricordo che spunta all'improvviso, ma un ricordo costante, che perdura.

«Bojon» (bojo all'accusativo) è il sostantivo di boji (abbaiare), quindi bojo significa "abbaio, atto dell'abbaiare".

 

«Am'» sta per amo (amore). L'apostrofo in fine di parola si usa sempre e solo per elidere la -o, mai altre vocali (tranne nel caso dell'articolo la, che può diventare l').

«Al patrina // tio» è un'enjambement, ma formano un'unica frase nominale: "a quello materno".

 

In «Kion mi diris tiun lastan fojon» il soggetto è «mi» (visto che si trova al nominativo) e l'oggetto è «kion» (accusativo). L'accusativo si usa anche per indicare il tempo (in alternativa alla preposizione je), per questo anche «tiun lastan fojon» è all'accusativo.

 

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La fine

 

E
mezzanotte

L’oscurità
è
regina vittoriosa

mi droga di tristezza

e ho pietà di questo mondo

della sua morale boriosa

sopra tutto di me

della mia immensa delicatezza

 

E
mezzanotte

E domani è ospite indiscreto

trascina i miei rimandi

e li mostra speranzoso

ma il gesto di ieri ripeto

Pur del tempo mio re

i miei impegni risultano blandi

 

E
mezzanotte

Il sonno è uccisore di sogni

e placa ogni tormento

di chi ha in vero vissuto

Il mio corpo cede ai bisogni

inutile, non c’è

dolore in me, se non in ciò che sento

 

E
mezzanotte

Fu

un’altra giornata di nulla

 

 

 

Mezzanotte 16-17 dicembre 2008

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A volte vorrei essere una donna

 

A volte vorrei essere una donna

per aver rinfacciata la mia forza,

non la mia debolezza.

 

A volte vorrei essere una bomba

per liberare ciò che premo dentro,

segreti che porterò nella tomba.

 

A volte te vorrei essere

per comprendere ogni tuo malessere.

 

 

 

22 agosto 2011

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Silverselfer

Mi rimane impresso - pazzo e pupazzo, una rima e insieme un po' allitterazione. Una di quelle cose tipo ritornello di Lady Gaga che una volta insinuato in testa, diventa un bug che rispunta all'improvviso in ogni genere di pensiero - pazzo ..pupazzo ..pazzo ...pupazzo. Ma a me piace, eh! Figurati che ascolto la minimal tec per rilassarmi ...

 

Poi c'è alba nera; mi piace perché non so - cielo stellato di altrui lutti. Questo pensiero lo trovo molto intenso, allo stesso tempo mi sfugge il concetto di "stellato" per gli "altrui lutti". Ora che ci rifletto, però, la luce delle stelle è sostanzialmente la rifrazione fotonica di un ricordo. Molte di loro non esistono neanche più. Il cielo notturno è un baluginio di ricordi. Il senso del lutto forse è questo?

 

E' bella anche Silenzio, la trasfigurazione dell'inquietudine rimanda subito all'immagine del mitico urlo della storia dell'arte.

 

Non mi piace quella in cui scrivi "sono" ... aggiungerei: stanco per pensare. :D

 

Ah, anche Tristezza. Mi piace l'immagine della lacrima che diviene una lieve malinconia, che carezza il volto solcando quella ispirazione fugace in versi. Mooolto romantico .. che ci posso fare, dinanzi a certe immagini mi commuovo sempre ...

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Grazie per i tuoi commenti. :)):

Mi incuriosisce scoprire cosa pensano gli altri e come interpretano quello che ho scritto.

 

Ci tengo a precisare un paio di cose, che credo che siano fondamentali per capire il perché di certe mie scelte.

Primo di tutto, la mia idea di bellezza, soprattutto in poesia, sta nel riuscire a esprimere quello che voglio esprimere nel modo più breve possibile. Togliere il superfluo e lasciare solo l'essenziale.

Infatti, se dovessi dare ipoteticamente un titolo a una mia raccolta di poesie, la intitolerei Sintesi.

(Beh, in realtà non è l'unico motivo per cui la intitolerei così, ma è uno di questi.)

 

Un'altra cosa, collegata alla prima, è che per me i titoli delle poesie sono importanti e sono parte della poesia stessa. E a volte cerco di dare informazioni essenziali attraverso il titolo della poesia (un po' come nella famosa poesia Soldati di Ungaretti).

 

Curiosamente entrambe le poesie che citi su cui hai più perplessità sono proprio quelle dove il titolo è essenziale.

 

Alba nera nasce dalla seguente allegoria: un cielo in negativo. Un cielo notturno bianco e luminoso, dove le stelle sono piccoli punti neri. Poi arriva l'alba e il nero si espande per tutto il cielo, fino a ingoiare tutte le stelle.

 

Quella in cui scrivo solo "sono" poi è personalmente il mio lavoro preferito, perché mi sembra di aver raggiunto al massimo la mia ricerca della sintesi e dell'essenziale. :lol:

La poesia, anche qua, per essere capita ha bisogno del titolo. Io e gli altri sono il soggetto, l'argomento della poesia. La poesia si basa su una particolarità della lingua italiana: che il presente del verbo essere è uguale alla prima persona singolare (io sono) e alla terza persona plurale (essi sono).

Il "sono" della poesia è riferito quindi tanto all'io e quanto agli altri del titolo. Io sono. Gli altri sono. Una semplice giustapposizione. Ma nel fatto che quel "sono" sia uguale sia per me sia per gli altri sta l'elemento fondamentale: l'identità ontologica tra me e gli altri. Gli altri sono (sottinteso come me, anch'io sono).

Eppure non siamo un "noi", perché allora dovrei usare "siamo", non "sono". Che è già un passo ulteriore, dopotutto riuscire veramente ad essere gli altri è un traguardo, non una constatazione (come dico nell'altra mia poesia A volte vorrei essere una donna).

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Icoldibarin

Ah la capacità di sintesi, che gran cosa!

Io difficilmente riesco a comporre poesie brevi, sono sempre preso dal desiderio di specificare il più possibile.

Vorrei tanto riuscire a seguire l'amato mio consiglio di Einstein "Le cose vanno fatte più semplici possibili, ma non ancora più semplici."

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Un eroe ai miei occhi

 

Cicatrice di spada

più non soffre la carta.

 

Chi ha perso una mano

con l
altra ora mi squarta

di sanguigni zampilli.

Contro i tuoi miti assilli

verso te, dolce mostro,

a me ripugna alzar lo scudo.

Anch
’io sarò un giorno, nudo,

rifugio sufficiente.

 

 

 

1º marzo 2012

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  • 3 months later...

Bach sull
erba

 

(Questo è un momento

passato.)

 

Suon di passeri che non vedo

accompagna organo e violini.

La luce, incerta, da quel ramo

scende i gradini

fino all
amplesso di questa coperta.

Oh, riflessioni d
’una gioia afflitta.

 

Adesso!

scrivo una poesia

ma l
’ho già scritta.

 

 

 

11 aprile 2012

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  • 4 weeks later...

En la bieno

 

Arbo printempe.

Ĝi de mia radiko

malproksimiĝ
is.

 

 

 

13 agosto 2012

 

 

 

Un haiku in esperanto (con titolo, anche se tradizionalmente gli haiku non hanno titoli).

La traduzione in italiano suona più o meno così:

 

 

 

Nel fondo

 

Un albero in primavera.

S'è allontanato

dalla mia radice
.
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