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Firenze 3/12: Un Raduno On The Road (Starring Thelma (Puro) & Louise (Silver) // sottotitolo – perché Brad Pitt ci ha dato buca?)


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Silverselfer

Altro raduno, nuovo racconto in chiave letteraria. Questo però sarà un po' diverso. Più che raccontare un episodio, sarà una cronaca del mio raduno e di quanti hanno avuto l'inciampo di farsi attraversare la strada da codesto gatto nero.

 

AL solito non se la prenda nessuno. Si tratta di una realtà romanzata. Il mio sguardo non è mai sobrio, quindi non prendetelo sul serio se per caso non vi riconoscerete in una qualche mia rappresentazione.

 

Piccola annotazione per la struttura. Ho diviso il racconto in episodi che scriverò in due o tre riprese. Non ho molto tempo neanche per curarne la forma, per cui non aspettatevi chissà cosa ...

Silverselfer

Firenze 3/12: Un Raduno On The Road (Starring Thelma & Louise // sottotitolo – perché Brad Pitt ci ha dato buca?)

 

Una settimana prima

(episodio uno)

 

C’è il sole. Sembra impossibile che meno di qualche settimana fa, la neve copriva gli stessi alberi che oggi gemmano in nuvole di candido colore primaverile. Stamattina l’ho abbracciato a lui e all’assurdo pigiamone turchese che si mette per andare a dormire. Mi sono grattato il mento sulla sua barba morbida. Mi piace svegliarlo facendogli venire voglia di scopare. Trarlo a me. Sedurlo quando è ancora rapito dai suoi sogni, tra quei personaggi mitologici con cui si diverte a giocare a dangeros&dragon con i suoi amici del giovedì.

 

Dopo averlo fatto anche sotto la doccia, ci siamo messi alla scrivania. Lui che studia per le sue future missioni spaziali, io che mi smarrono a fare relazioni tecniche per tirare a campare. Per fortuna che c’è il sole che dalla finestra illumina la scrivania, dove lampeggiano i cursori dei nostri due PC. Ogni tanto lui mi guarda e fa uno di quei suoi sorrisi scemi. Studia con Zigulì su MSN … beh, non è capace di esistere senza comunicare ed io non sono quello che si può definire un chiacchierone. Ma ecco che scivola in cucina per mangiare qualcosa. Io non mangio mai a pranzo. Lui al solito insiste perché è del sud e come mi ha spiegato più volte, da quelle parti se non hai fame sei malato.

 

Prima di uscire, mentre lui sta facendo quella serie di “ultima cosa” che possono protrarsi per intere mezz’ore, curioso sul forum e non so come, sono finito nella sezione dei raduni. Ma sì, lo avevo notato il topic del raduno fiorentino, ma non lo avevo mai aperto prima. Leggo degli interventi di Hinzelmann che ho sempre voluto conoscere, poi vedo che ci va anche Almadel e quindi capisco che non si tratta della solita “cotoletta alla milanese”. Ci sarà anche Altair! Un’occasione troppo ghiotta per non tentare di farlo incontrare con sua santità.

 

“Andiamo?” Mi dice mentre si prova tutti gli anelli, ma è un falso allarme. “Oddio, dici che la sciarpa arancione ci sta meglio?” Appunto. Mentre ricomincia a frugare nel trittico di specchi davanti all’armadio, gli accenno che Altair sarà al raduno di Firenze. “Stacci pure a crede che quella Hunziker avrà il coraggio di presentarsi” Figurarsi se non lo sapeva già.

 

Scendiamo che è l’ora delle fate e le luci della città iniziano a brillare. “Ma ti dico che è Venere” Litighiamo perché lui sostiene che sia Venere l’astro più luminoso nel nostro cielo, mentre io insisto su Giove. Camminiamo attraversando senza badare alle macchine sulla strada a scorrimento veloce della Palmiro Togliatti. Ci lasciamo portare dai nostri piedi per sentieri già battuti. E’ bello. Mi piace perché da un po’ il suo accento calabrese si fa sentire di più. Quelle inflessioni dialettali mi concedono una certa famigliarità.

 

Andiamo a cena dal frocinese, come il solito, ma è troppo presto e scendiamo alla stazione metro di Colosseo. Vogliamo fare una puntatina al caming, invece no. Passeggiamo intorno alla mole dell’anfiteatro Flavio. Se fossimo con chiunque altro, ci staremmo annoiando, insieme parliamo di otturazioni dentali e ci troviamo anche da ridere.

Lui mi chiede se mi va di andare verso l’arco di Tito. Allora gli spiego perché gli ebrei non passano sotto quel monumento, che è stato eretto in onore all’abbattimento del tempio di Gerusalemme e per averne rubato il tesoro. Mi guarda un po’ così, allora gli dico che la mia metà veneta, ha appena vaffanculato quella ebrea e possiamo anche andare.

 

Mi porta su per una strada che s’inerpica fino in cima al Palatino. La strada è una di quelle che si snoda tra le rovine del foro, e sembra un tortuoso rivolo di storia che scorre giù fino al presente. Tra le alte mura che lo costeggiano, la luce dei lampioni riesce appena a macchiare un vento buio come la notte stessa. Quando arriviamo in cima, troviamo un portale con tanto di cancellata, oltre la quale un giardinetto, in cui da una fontanella scroscia acqua millenaria.

Lui è bellissimo con il suo volto moresco, i capelli neri come il cielo e la luce del lampione sopra di noi che gli infiamma l’oro nei suoi occhi. Lo spingo contro quel cancello che diventa la porta di un Ade e vorrei che fosse il diavolo in persona, pur di potermi crogiolare in eterno in quella seducente dannazione.

Sì, d’accordo, però stiamo proprio sull’uscio del convento francescano … quel frate che passa ci rovina l’incanto e decidiamo di andarcene a cenare dal frocinese.

 

Il ristorante è strapieno. La folla come sempre m’indispettisce in un nanosecondo e me ne voglio andare in un altro posto. Lui però mi guarda come se si perdesse nel labirinto della mia psiche umorale e non voglio che si spaventi di me. Mi rabbonisce invitandomi a fare quattro passi. Ha imparato e sa che è meglio farmi sbollire e dopo una mezzoretta stiamo di nuovo lì.

Giada, l’affascinante avventrice cinese, ci conosce e appena può ci trova un tavolo per due. Giada ha una RAM di memoria pressoché infinita, si ricorda ogni dettaglio e ci coccola come manco un famigliare potrebbe fare. Ci lascia stare fino all’orario di chiusura portandoci grappa di rose a volontà.

 

Quando ce ne andiamo, mamma Roma è tiepida e accogliente, ma io ho mangiato solo qualche patatina fritta ed è la sola cosa che mando giù dalla sera prima. Sento freddo al punto di tremare. Cammino stringendomi al corpo caldo di Alf e vorrei trovare le parole per dirglielo quanto è commovente tutta la bellezza di cui mi sto imbevendo l’anima. Lui mi fa uno di quei suoi sorrisi scemi e china la testa sulla mia spalla. Incredibile a dirsi, ma credo che abbia capito senza bisogno di banali parole.

 

Sul notturno dividiamo lo stesso sedile e gli stringo la mano. L’autista guida come un folle facendo frenate improvvise, mi sa che sto per vomitare … un magrebino seduto davanti a noi si sposta forse schifato da noi. Alf dice che sono paranoico e come sempre ho paura che la gente pensi che sia frocio. Magrebino di merda.

 

Quando scendiamo, la notte non la trovo fredda solo io, però a me tremano persino le mani mentre tento inutilmente di rollarmi una sigaretta. Camminiamo in silenzio e lui mi racconta di quando è venuto a prendermi alla metro con l’ombrello mentre imperversava la bufera di neve. Mi accendo finalmente la sigaretta e corro a scaldarmi sotto il suo braccio.

Giungiamo al parco ai piedi della torre di cemento armato con gli usignoli che cantano. Gli chiedo se sono pazzo o è proprio tutto realmente così incredibile. Lui non mi risponde stringendomi a sé.

 

“Allora ci andiamo a Firenze?” Gli chiedo d’impulso. “Ma dici sul serio?” Non lo so, ma ora che ci penso, ci voglio proprio andare. “In fondo sono solo due ore e mezzo di autostrada”. “Non so; cioè, ecco … boh, così all’improvviso partire”. Gli spiego che basta mettere un paio di mutande in uno zaino e stare fuori una notte. Lui è dubbioso, ma già lo vedo fremere per la novità che lo alletta “Ora che ci penso potrei telefonare a …” Prima di arrivare in cima alla torre, ha buttato giù la lista di telefonate ad amici e parenti di amici, cui poter chiedere dove, come, quando alloggiare e bla bla. “Oddio non ci posso credere, andiamo davvero a Firenze” mi dice ancora quando stiamo nel suo lettone, tra le lenzuola zebrate e il copriletto etnico arancione, su cui c’è stampato il suo sole e la mia luna.

che bello il racconto, non dirò che carini altrimenti Puro mi ammazza XD

aspetto presto il resto del racconto, come al solito hai un vero talento

nel descrivere le cose e coinvolgi sempre il lettore ; )

Silverselfer

Doggy, lo sai che al raduno era opinione diffusa che tu fossi molto sexy? (ti lascio immaginare la faccia di Puro ogni volta che gli chiedevano se eri gnocco come nelle foto della secret area ---> :blink: ). Te lo avevo detto io che dovevi venire con noi.

Silverselfer

Il regno di Mauro

(episodio due)

 

“Saremo come Thelma e Louise”

 

Siamo tornati dal Mieli e al solito trascorriamo gli ultimi momenti insieme pomiciando in macchina, sotto il traliccio dell’alta tensione. Bea ci ha chiesto se era certa la nostra partecipazione al raduno e quel sì ha dissipato le ultime incertezze. Lei salirà a Pisa con Madoka e al ritorno dovrebbe tornare in macchina con noi. Le analogie con il film di Ridley Scott aumentano: io Louise e Alf Thelma che si caricano Brad Pitt Bea a metà strada. Ci sganasciamo dalle risate, specie evocando l’immagine di Bea e Madoka in scooter che vanno a Firenze, con la prima che guida a gomiti larghi e insalatiera in testa, e la seconda dietro al sellino cavalcando all’amazzone come una dolce Audrey Hepburn. Le vediamo col motorino a manetta attraversare maremme e langhe fiorentine, in una sorta di trasposizione manga giapponese. Concludiamo che conoscerle è una di quelle fortune da tenersi strette.

 

Si sono fatte le due passate e decidiamo che è ora di andarcene a dormire. Il giorno dopo porto la macchina alla Renault per un tagliando, tanto per partire tranquilli. Solo che al solito mi cambiano persino la cinta di distribuzione e mi sfilano più di 700 €. Pazienza, oramai non si torna indietro e Alf riesce a prenotare un appartamento al residence universitario di Firenze per 50 € tutto compreso. Partiremo il venerdì sera, ma non per Firenze. Pernottiamo dalla sua ex ragazza che ora convive con una lella a Siena.

 

Il venerdì ci sono tutti i preparativi da ultimare. Alf ha lezione fino alle cinque del pomeriggio, quindi devo occuparmi io di prendere il vino e un dolce per la cena. Svolto un Montalcino e un Trebbiano da mia sorella che si offre anche di prendermi delle paste ad un forno rinomato di Velletri. Ogni cosa sembra prendere la piega giusta, anche se per fare il pieno alla macchina, mi serve la tessera della caserma di mio fratello che presta servizio all’Eur e poi devo riportagliela a Cinecittà. Alf, invece, deve aspettare la sorella che all’ultimo minuto decide di andare a dormire dall’amica fatta cornuta dal ragazzo. Imprevisti che comunque non riescono a intaccare la mia inflessibile puntualità … solo Alf ci riesce “Due minuti e scendo”. Partiamo con mezz’ora di ritardo, ora dovremmo affrontare il traffico dei pendolari.

 

Crcrcrcr… zighizighizà … crcrcrcrr … zighizighizà …

 

Niente panico. La fortuna ci sorride e attraversiamo il casello autostradale quasi come da tabella di marcia. Do ad Alf l’Iphone con il percorso già segnalato e gli chiedo di farmi da navigatore. “Brutto impedito, ma dove cazzo vai?” Io bestemmio perché l’Italia è il solo posto al mondo dove gli automobilisti non segnalano il cambio di corsia.

 

Crcrcrcr… zighizighizà … crcrcrcrr … zighizighizà …

 

“Guarda il nome dello svincolo dove dobbiamo uscire per Siena” Gli chiedo di ricordarmi il nome dello svincolo dove devo uscire. Lui smanetta il cellulare e poi lo ripone nel cruscotto.

 

Crcrcrcr… zighizighizà … crcrcrcrr … zighizighizà …

 

E’ buio pesto e cerco di tenere una buona media senza incorrere in qualche tagliola di autovelox, ma se voglio arrivare entro le dieci, devo sciacquarmi dai coglioni tutti i tir che incontro. “Dove ci troviamo, l’abbiamo superata Orte, vero?” Chiedo se stiamo ancora nel Lazio perché abbiamo superato da un pezzo Orte, ma lui ripiglia il cellulare, ci perde un po’ di tempo e mi chiedo se ha capito come funziona il gps, ma cazzo, sto parlando a un futuro ingegnere aerospaziale. Mi dice distrattamente qualcosa e ripone il cellulare nel vano del cruscotto. Lo leggo sulle indicazioni stradali che siamo in Umbria.

 

Crcrcrcr… zighizighizà … crcrcrcrr … zighizighizà …

 

La Track list dello stereo segna il quindicesimo brano, è passata almeno un’ora da quando siamo partiti. Dico ad Alf che quel pezzo di Kim Cames faceva parte della colonna sonora di Flashdance. “Ma daiiii, che figo!”.

 

Crcrcrcr… zighizighizà … crcrcrcrr … zighizighizà …

 

Gli continuo a parlare dei sintetizzatori che a distanza di trent’anni sembrano ancora gli stessi che usa Lady Gaga … ma non può fregargli di meno e mi risponde solo per compiacermi.

 

Crcrcrcr… zighizighizà … crcrcrcrr … zighizighizà …

 

“Dove siamo?” Gli chiedo se ci stiamo avvicinando allo svincolo perché ho letto su un segnale kilometrico il nome di Valdichiana. Lui prende il cellulare in mano, lo rivolta più volte, allarga lo zoom e poi lo ripone nel vano del cruscotto.

 

Crcrcrcr… zighizighizà … crcrcrcrr … zighizighizà …

 

“Ma sei sicuro che ci voglia ancora molto tempo, io non riesco a vedere i numeri sui cartelli, ma ormai dovremmo esserci quasi” In realtà non mi ha manco detto se siamo vicini o lontani dallo svincolo. Sono io che evinco dal suo silenzio, una rassicurazione sulla molta strada ancora da percorrere. Lui prende il cellulare, lo guarda di nuovo e ancora una volta lo ripone nel cruscotto.

 

Crcrcrcr… zighizighizà … crcrcrcrr … zighizighizà …

 

“Sai non è che io ti chieda le indicazioni stradali affinché tu ti rassicuri andando a controllarle” Mi spazientisco un attimo perché dal momento che siamo saliti in macchina, Alf ha iniziato a limarsi e lucidarsi le unghie con la limetta e ha continuato così ininterrottamente per tutto il viaggio con quella fastidiosissima grattugia.

 

Crcrcrcr… zighizighizà … crcrcrcrr … zighizighizà …

 

“Bada che ancora devo imparare a leggerti nella mente, me lo vuoi dire dove siamo?” Alf cade dalle nubi. Quel “Crcrcrcr… zighizighizà … crcrcrcrr … zighizighizà …” per lui è un mantra meditativo formidabile. “Ma daaaai, lo sai che me lo dice sempre anche mio fratello quando andiamo giù in Calabria in auto!” Beh, non ho dubbi su questo.

 

Alf mi dice che c’è ancora parecchia strada da compiere, ma i segnali chilometrici si susseguono sempre più frequentemente e insisto che controlli ancora. “Se non mi credi guarda tu” Sì, ci do un’occhiata e spero proprio che non gli lascino guidare mai un modulo spaziale. Alf non ha considerato che la scala della mappa varia insieme allo zoom e praticamente ci troviamo a ridosso dell’uscita.

 

Mi sa che il mio sarcasmo l’ha punto sul vivo, ed ha riposto la sua limetta per le unghie nel taschino della camicia. Ora mi guida per bene, anche se adesso i cartelli sono belli grossi e potrei farne a meno.

Siena è ancora lontana ma Alf senza limetta per le unghie, torna in possesso del logos e inizia a comunicare con il mondo attraverso il suo cellulare. Tiene al corrente le ragazze in tempo reale dove stiamo, così che inizino a preparare la cena. Sì, temo che abbia molta fame, del resto ha iniziato a offrirmi biscotti appena entrato in macchina. “Ma è da oggi a pranzo che non mangio!” Sì, ma ci sederemo a tavola tra non più di mezz’ora. “Uffa, ma quando si viaggia, si deve sempre mangiare qualcosa” Non si sbriciola in macchina … è una scusa, non sono così fiscale; ma perché mangiare proprio ora?

 

Lo tengo occupato cercando di responsabilizzarlo nel suo ruolo di navigatore. Io ho il mio bel da fare a tenere d’occhio gli autovelox. La Toscana pullula di autovelox e spero proprio che non siano tutti in funzione o mi ritireranno la patente per le prossime tre rincarnazioni.

 

“Che faccio qui?” Devo uscire per Siena Sud, ma il cartello indica Siena Est, mentre sull’altra corsia si prosegue per Empoli e Arezzo. “Ma sei sicuro?” Mi dice di uscire … “ Secondo me siamo usciti dalla tangenziale” e lui … “Sì, abbiamo sbagliato strada”.

 

Proseguiamo verso Empoli e Arezzo, ma gli dico di prestare attenzione, perché la nostra uscita non deve essere troppo lontana. “Sei sicuro che non sia questa?” e lui “Devi andare dritto” ed io “Ma a me pare proprio questa l’uscita” e lui continuando a ruotare il cellulare come fosse il joystick della Wii “Tieniti a sinistra” ma non ne sono proprio convinto e ribadisco “Per me era quella l’uscita” e lui … “Era quella”.

 

Perdo le staffe, e sì. La tangenziale si è immessa sulla Cassia e oltre agli autovelox non c’è altro. Mi fermo a una piazzola prima di un tunnel e prendo in mano la situazione. Scorro la mappa ma non vedo svincoli per invertire la marcia. Dissimulo male il mio disappunto e riparto a razzo fregandomene degli autovelox del cazzo. Però sbaglio a non fidarmi mai del “culo” di Alf. A meno di un paio di chilometri, troviamo uno svincolo e lo imbocco sbattendomene del GPS che non lo segnala.

 

Riusciamo a invertire la marcia. Alf stavolta sembra più attento e siccome non è per niente stupido, quando lo strigli, diventa una lince e stavolta è lui che mi tiene sulla via giusta, in quello svincolo da flipper in cui, al solito, sto per perdere il mio proverbiale senso dell’orientamento. Appena fuori dalla tangenziale, torna tutto sotto controllo, ho studiato il percorso su Google earth ed è come se ci fossi già stato.

 

Arriviamo davanti ai cancelli del regno di Mauro che non sono neanche le dieci. Alf chiama la sua ex per esser certi di non aver sbagliato luogo, perché il regno di Mauro è veramente un paese incantato! Entriamo in quella cascina che è un insieme di casine rurali, curate nei più piccoli dettagli. La ragazza ci dice dove sta il parcheggio e scesi, ci salutiamo.

 

Io passo loro il vino con i dolci, prendo con me solo la tracolla. “Ma io ho bisogno delle mie cose” Alf porta anche la valigia … la sua ex lo conosce bene e se la ride a vedere il suo baule, chiedendo ironicamente per quanto tempo dobbiamo stare fuori. “Uffa, è colpa sua che mi ha scombinato i programmi dicendomi che domani pioverà”. Infatti, la sola cosa che non ha portato è l’ombrello.

 

Le ragazze sono davvero simpatiche ed hanno in casa due gatti che sono una specie di folletti dispettosi. Fanno volontariato al gattile di Siena e trattano quei mici come fossero persone. Ci fanno vedere la nostra stanza e poi ci mettiamo subito a tavola, gustando la prima bottiglia di vino.

 

Io e la lella finiamo in disparte ad ascoltare le vicissitudini di Alf e la sua ex che sono cresciuti insieme in quel paese dalle parti di Tropea. Il quale, pur essendo un piccolo centro della Calabria, pare che abbia disperso i suoi giovani in ogni angolo d’Italia. Ovunque si vada Alf ne incontra uno e ogni volta succede questo: “Ma tu non sai l’ultima … tra tre mesi partorisce” e la ex “Nooo, ben le sta e faceva tanto la santerellina”.

Lo ammetto. Invidio molto il passato di Alf. I parenti e gli amici di scuola e persino l’azione cattolica e insomma, quella normalità che io non ho mai avuto.

 

“Siamo calabresi, non ci possiamo fare niente” La ex ci racconta di quando i suoi genitori le imboccarono in casa con due buste di frutta. Al che lei gli spiegò che hanno l’orto e potevano farne a meno. Allora la madre le chiarì che la frutta l’avevano portata per farsi una “macedonia” durante il viaggio. Alf a quel punto confessa che è tipico di loro Calabresi, ammettendo finalmente che portarsi una busta di biscotti e bibite per fare Roma - Siena è un attimo esagerato. La lella della sua ex mi da ragione, spifferando di quando la sua calabrese per affrontare manco dieci chilometri, si preparò due panini giganti.

 

La serata si sviluppa tra i loro ricordi. Sarà per il vino o non so, ma il tempo vola via. Alla fine Alf insiste per lavare i piatti, forse dovrei aiutarlo … preferisco andare fuori a fumare. Il regno di Mauro è proprio bello, abbarbicato sotto le mura di Siena, davanti a un paesaggio di cipressi e colline toscane. E poi la luna e “Giove” che ci ha accompagnato per tutto il viaggio.

 

Quando rientro Alf sta lustrando il piano cottura, la lella se n’è andata a letto con un principio di febbre e rimaniamo noi a fare qualche chiacchiera. Ma siamo stanchi e verso l’una ce ne andiamo a dormire.

Alf non ha certo abbandonato il suo pigiamone turchese a Roma. Dorme accanto a me, ma stiamo su due piani diversi. Lui se la ride quando maledico il destino infame. Poi ci dimentichiamo le imposte aperte e il soldato che è in me, al primo chiarore tira su la bandiera. I gatti vogliono entrare e grattano sulla porta, allora mi alzo e faccio scorrere la porta nel muro.

Alf pure si è svegliato, strano per uno che ti dice buongiorno alle due del pomeriggio. Io cerco di metterlo in imbarazzo riprendendolo con il cellulare nel suo pigiamone, ma deve ancora nascere chi riesce a farlo arrossire. Prontamente si mette in posa, occhieggiando con espressioni ammaliatrici.

 

Io però non ho intenzione di rimanere sveglio, dopo aver guardato fuori dalla finestra, mi rinfilo nel sacco a pelo sulla brandina bassa; mentre lui sente la sua ex che prepara il caffè e spicca il volo. Sento le loro celie provenire dalla cucina e la presenza di quei due gatti che passeggiano silenziosamente per la stanza. Sprofondo in un sonno leggero come un dormiveglia. Di tanto in tanto schiudo gli occhi. Una volta mi ritrovo il gattone maschio che mi fissa come se mi stesse studiando. Poi Alf mi chiede se voglio qualcosa per colazione. Gli dico che ho i miei biscotti senza zuccheri e grassi animali. Lui mi guarda scocciato e mi dice che potrei almeno andare a mangiarli di là con loro. Ha ragione, quindi mi rivesto e li raggiungo.

 

Andiamo a vedere l’orto e c’e davvero di che rimanerci incantati. L’aria del mattino frizzante e quegli odori di peschi in fiore, biancospini, cardi e sterco di gallina, di cavallo: è la natura che incanta. Do fuoco a una sigaretta e sbuffo una zaffata di fumo su quel quadro immacolato.

Alf e la ex non hanno mai smesso di parlare. Lei ci racconta le dinamiche della vita nel regno di Mauro. Del principe che hanno scoperto essere una checca esagerata, poi della nonnina consumata dal gioco d’azzardo della briscola e poi del fagiano e la gara delle rose tra le dame della corte. Com’è semplice la vita quando non ce la lasciamo inquinare da aspettative esagerate.

 

Verso le dieci torniamo in casa per prendere le nostre cose e andarcene. Ci siamo rimasti troppo poco nel regno di Mauro e mi sa che anche i suo abitanti avrebbero voluto conoscerci meglio, perché la sua ex ci invita a tornare la domenica, quando saremo di ritorno. Ma sì, ci dispiace anche a noi andarcene senza conoscere il re e magari fare una mano a briscola non la nonnina. Però Firenze ci aspetta e siamo in ritardo, anche se stavolta, neanche io avevo messo in conto di arrivare per le 11 e 30. Del resto lo avevo detto già a Bee di non aspettarci …

@ conosco quell'espressione, me l'ha fatta anche lunedì a duna mia domanda polemica, ma non

so mai come interpretarla, direi che è enigmatica XD comunque io sono sempre qui che leggo, almeno mi

rifaccio un po' il cuore leggendo tutti i dettagli, così non rosico completamente di non essere venuto.

  • 2 weeks later...
Silverselfer

Finalmente a Firenze

(Episodio terzo)

 

 

Io e gli altri

 

Sono

 

di Loup Garou

 

 

Ma quanti cazzo di autovelox ci sono in Toscana!

 

Ce ne andiamo dal regno di Mauro e arriviamo a Firenze intorno alle undici e qualcosa. Quando abbandoniamo la Cassia per attraversare Scandicci, è un sollievo lasciarsi alle spalle un autovelox ogni paio di chilometri.

 

Nello stereo dell’auto gira “Empire state of mind part 2”

 

“Mi manca New York …” Per me Firenze si lega a New York per ragioni di cui non sto a dire, ma come il solito, la testa ha un controllo solo parziale sulle mie emozioni, e arrivare in questa città con questa canzone, mi sta ribaltando il cuore. Puro mi guida diligentemente sulla strada del residence universitario. La voce di Alicia Kay, invece, mi porta via sulle ali della nostalgia.

 

“Cos’è che ti manca tanto?” Cerco di spiegare a Puro cosa mi manca della grande mela, ma finisco solo per dirgli che là i ponti sono a pedaggio e guidare la macchina è un lusso che non si possono permettere tutti. Ricordi, emozioni che puzzano di putrefazione. Echi di memoria che somigliano ai rintocchi di una campana a morto, m’impediscono di vivere serenamente i momenti che mi stanno scorrendo dinanzi, bellissimi e nello stesso tempo proibiti. Mi sento uno spettro del passato che non dovrebbe essere qui ...

 

La residenza del Luzi ci si para davanti fedele all’immagine ipertecnologica della foto su internet. Bianca e asettica come un plastico, nelle sue imperfezioni fatte d’infradito a occhi a mandorla, ci parla di modernità che dovranno ancora avverarsi, e noi due, entità non catalogabili in nessuna categoria umana, ne saremo degni ospiti.

 

Puro vorrebbe che fossi io a occuparmi di connettermi con la realtà, ma sono troppo distante perché ci riesca e alla fine è lui che telefona alla reception e chiede di come registrarsi eccetera. Diamo i documenti al portiere che poi ci manda in segreteria. Sono persone gentili e mentre Puro sale in stanza, io seguo l’addetto che mi dice come portare la macchina nel garage. Lascio la mia Modus Luxe previlege in quell’ipogeo che puzza di fogna, con la consapevolezza di un viaggiatore nel tempo, che senza il suo marchingegno non potrebbe tornare in quel presente che lo condanna e nello stesso tempo gli permette di esistere ancora.

 

Quando risalgo, l’addetto mi accompagna fino al primo piano e mi guarda ignaro dell’anima da vampiro che seppellisco dietro gli occhiali a specchio. “Infondo a destra” mi dice di andare. Gli appartamenti sono disposti su un ballatoio comune, come si usava nell’edilizia popolare di un tempo e che favoriva la vita in comune; invece, oggi sono deserti, questi ragazzi preferiscono rimanere chiusi nei loro spazi, incapaci di esistere oltre le loro proiezioni virtuali.

 

Faccio squillare il cellulare di Puro per esser certo di non sbagliare appartamento. Quando lo vedo aprirmi la porta, è bello ritrovarlo e avrei voglia di abbracciarlo, ma non lo faccio perché non potrebbe capire.

L’appartamento è bellissimo. Bianco e razionale. Viene voglia di viverlo in tutte le opportunità che offre, non solo come faremo noi, per una sola fugace notte.

 

Apro la finestra della camera mentre sua santità sistema i letti. Mi fumo una sigaretta tanto per marcare il territorio. Davanti alla nostra finestra c’è una signora che parla al cellulare, lo farà giorno e notte per ogni istante della nostra permanenza. Puro spirito è oltremodo sconvolto dal fatto che ha dimenticato di portare la carta igienica e ce n’è solo mezzo rotolo. Io gli sorrido e lo trascino in un ballo senza musica. Lo abbraccio e palpo le carni stringendolo a me. Voliamo via, insieme ai vestiti che cadono come foglie di un autunno remoto, per gemmare in bocci di primavera. Fioriscono baci in corolle di peschi fioriti, profuma il nostro sentimento mentre i corpi nudi si cingono tra edere di un giardino segreto.

 

“BeeFree … BeeFree ... BeeFree …” Ronza il cellulare come un’ape ubriaca dal tavolino in cucina. “BeeFree …” Cerco d’ignorarlo seppellendo la ragione in un amplesso troppo affrettato. “BeeFree … BeeFree …” Il mio senso di responsabilità mi accusa del ritardo cui stiamo costringendo tutti. “Uhauhauhauha …” Sua santità se la ride come pochi potrebbero fare in altrettanto modo sguaiato, tanto che mi alzo e vado a rispondere. “ … noi stiamo tutti a Piazza Santa Croce …” Bee è un ragazzo troppo gentile e ci sta solo aggiornando sugli ultimi sviluppi del programma del raduno. “… scusa se ti ho fatto correre per rispondere …” Si è accorto del fiatone, ma non è certo per la corsa che ho fatto dalla camera alla cucina, se gli sto rispondendo affannato. “Diglielo che stavamo scopando” Puro capisce che Bee mi ha chiesto se stavamo a Firenze e vorrebbe troncare presto la nostra conversazione. “Ma no, figurati, stavamo solo facendo sesso” Gli dico, ma non riesco a imprimere alla voce il giusto tono per metterlo in imbarazzo o forse non afferra il senso delle parole che gli ho appena detto ...

 

Quando finalmente torno da Puro, ho idea che a lui la cosa ha stuzzicato l’eccitazione, perché conclude presto lasciandomi ad arrancare nella mia passione un po’ stralunata. Ho bisogno della sua partecipazione e decido d’impepare la cosa convincendolo a continuare sotto la doccia. Il box doccia però è un po’ striminzito, specie per due come noi che insieme formiamo un tronco di pino di quasi quattro metri. Basta, lo tiro fuori anche da lì, e lo sistemo con le mani sul lavandino e davanti allo specchio … ho idea che la cosa gli piaccia molto, ma ormai non ci sto più con la testa, cazzo … ecco, appunto quello. Mollo tutto e gli dico di farsi la doccia.

 

Mi butto sul mio letto e nudo prendo a sgranocchiare deliziose mandorle. Sua santità non ha compreso il mio disappunto, però s’è ormai abituato ai repentini cambi d’umore e non mi chiede spiegazioni. Nella luminosa penombra della stanza, ascolto l’acqua scrosciare sul suo corpo. Mi rollo un’altra sigaretta, ma poi non mi va di accenderla. Sgranocchio qualche altra mandorla. Poi lui torna con un asciugamano avvolto alla vita.

 

“Tutto Ok?” Mi chiede come va perché da quando è tornato, non gli rivolgo neanche uno sguardo. Ma non ce l’ho con lui. Tiro un sorriso su un volto che è ormai precipitato nella sua usuale malinconia. Mi dice che voleva essere sexy con quell’asciugamano e lo è veramente. Allora gli dico che la situazione è proprio da film porno, il quale imporrebbe a quel punto un sexy massaggio. Il mio sguardo malizioso trova subito casa nei suoi occhi che si fanno birichini. Prende l’olio e inizia a far scorrere le mani sulla mia schiena.

 

Di Puro spirito tutti hanno un’immagine molto sfrontata e, in effetti, non si può certo definire timido, eppure nessuno immagina quanto diventi pudico nel momento di osare. Io non posso vederlo, ma il rossore sulle sue gote lo percepisco in quei gesti indecisi, troppo formali e intimoriti di sfiorare parti del mio corpo che pure so bene quanto vorrebbe esplorare. Decido di stuzzicarlo voltandomi supino, perché al suo contrario, nessuno immaginerebbe quanto a me piaccia provocare gli altri.

 

I miei gesti e la naturale voluttà che le sue mani stanno insinuando nella mia carne, paiono non bastare per indurlo a osare di più. Gli sorrido mentre compio una torsione da guru indiano, facendolo finire tra le mie cosce. Sento bene quanto sia sensibile alle mie provocazioni e voglio arrivare fino in fondo. Lo guido dentro di me, sopportando quel dolore che non mi riesce a trasformare in qualcos’altro, ma nonostante celi malamente la pena di quel dardo che mi trapassa il fianco, lo voglio ancora pur di ammirare quella delizia che si dipinge sul suo volto. Solo quando non ce la faccio più, allo stremo lo respingo, sgusciando via dalla sua morsa.

Puro mi abbraccia nascondendo la sua emozione sul mio collo. Mi tocca là, dove sa che il mio cuore palpita, ma io ho bisogno di più ed esigo la sfacciataggine di prendermi in mano e farmi godere; tutto in un sol gesto e poi il silenzio di due corpi abbandonati al loro amoroso afflato.

 

“E’ tardi” Gli dico in un orecchio. “Se non ci sbrighiamo, finisce che mi odieranno com’è successo a Roma” Mi risponde ridendo in un mio orecchio. Che faccia da schiaffi! Mi sorride a un palmo di naso, dice che mi vuole bene. Sì, gliene voglio tanto anch’io.

Mi faccio la doccia e quando torno in camera, Puro ha solo deciso quali pantaloni mettere, sul resto ci sarà ancora un bel da fare. Non posso biasimarlo, anch’io pur di non scegliere, mi sto per rinfilare le stesse cose con cui sono arrivato.

 

“Per carità, quel bianco t’ingrassa troppo!” Gli rovino l’ispirazione facendogli togliere il giacchetto bianco con le scritte oro, gli sta troppo male! Lui è disperato e fa esplodere la sua valigia/baule spargendo vestiti ovunque. M’intenerisce il suo panico, è terrorizzato all’idea di non piacere a tutti. Mi rendo conto che la sua smodata vanità è la stessa di una torta pasticcera. Ogni ciliegina, ogni candido o strato di panna, sta lì per renderlo appetitoso alla voracità altrui. In un certo senso quel suo egocentrismo è una forma di affetto verso gli altri.

Lo rassicuro riponendo via il mio sarcasmo. Insieme troviamo i vestiti giusti per assemblare una serie di colori che riverberino la sua naturale solarità. Intanto, però, si sono fatte le due del pomeriggio ed io sto ancora in mutande …

 

Non voglio più mettermi quei panni scuri. Il confronto con Puro spirito mi ha fatto comprendere che uso la vanità come una corazza. Glaciale come solo la perfezione sa essere, mi serve a tenere le persone distanti, istigando il loro innato senso d’inferiorità. Oggi vorrei riuscire a essere diverso e allora opto per uno stato cromatico meno stigmatizzante, aggiungendo magari qualche candido che possa farsi desiderare. Metto su dei jeans chiari e prendo in prestito il giacchetto nero col cappuccio e l’aquila dorata sul davanti di sua santità, poi frugo nelle sue scatoline e gli rubo anche uno dei suoi fili di cuoio con il pendente su cui c’è un ideogramma cinese. Quistis mi dirà poi che significa “sapere”, ma non era assolutamente un effetto voluto.

 

Quando inforco gli occhiali davanti allo specchio, chiedo a Puro se può andare. Lui fa una smorfia di approvazione, è il massimo che mi può concedere perché teme che oscuri la sua entrata in scena. Gli sorrido e poi cerco le labbra per rassicurarlo che nessuna luna potrebbe competere con un sole come il suo.

 

Lasciamo la residenza universitaria che sono ormai quasi le tre, ma tanto nessuno aveva sperato che arrivassimo in orario. Puro spirito freme all’idea d’incontrare gli altri, io ho solo paura che per me finirà al solito modo ...

Silverselfer

Parola d’Ordine: Socializzare

(Ep. 4\ prima parte)

“Cazzo! Ma quanti sono?”

 

Abbiamo lasciato la residenza universitaria senza sapere in che punto della città ci trovavamo e se ci serviva un autobus per arrivare a Piazza Santa Croce. L’Iphone segnava 5,6 Km, perciò era escluso che ci avventurassimo a piedi. Puro ha chiesto al primo autobus che passava, se arrivava dalle parti di Santa Croce. L’autista ci ha dunque indicato dove prendere il 22.

 

C’era d’acquistare i biglietti ma Puro aveva visto una macchinetta distributrice sul bus quindi ... ci siamo uniti alla varia umanità che si accingeva a prendere il mezzo pubblico.

Sugli autobus fiorentini non ci sono le biglietterie automatiche. Quando glielo ho fatto notare, Puro, con un brivido di ribrezzo, si è scrollato di dosso il mio senso civico … mi ero dimenticato che per lui è una bestemmia pagare il biglietto dell’autobus.

Sistemati in un angolo accanto al finestrino, abbiamo tenuto d’occhio il percorso con l’Iphone, ma potevamo anche farne a meno perché c’era semplicemente da scendere al capolinea, che sta vicino al Duomo, un paio di fermate dopo la Stazione dei treni.

 

Quando siamo scesi, Puro mi ha chiesto da che parte andare. La direzione la conoscevo, ma è come quando hai una calcolatrice sotto mano e la usi anche per fare due più due, così ho controllato di nuovo il percorso sul cellulare.

La cattedrale di Santa Maria Novella ci si è manifestata improvvisamente in tutta la sua sontuosità. Puro n’è rimasto talmente estasiato che per qualche attimo si è dimenticato della foga che aveva di rivelarsi al raduno.

 

Biondo paglia, vestito nero con uno stivaletto di pelle. Una siluette elegante ma senza vezzi nel sui incedere deciso. Si getta i capelli lunghi da una parte mentre apre con la chiave la porta a vetro del suo negozio di abbigliamento.

 

Io ripensavo ancora a un “Sì” che avevo appena visto volare via in un battito di ciglia. Una tipa sulla trentina era sbucata a qualche passo da noi, catturando subito la mia attenzione. L’avevo seguita con lo sguardo mentre faceva piroettare il mazzo di chiavi con cui apriva il negozio. E stato allora che il turchese dei suoi occhi mi ha sfiorato, facendomi provare quel tipico tonfo al cuore che fa un “Sì”. Protetto dai miei occhiali a specchio, superata la porta del negozio, mi sono voltato per sincerarmene. Lei fulminata dal mio gesto imprevisto … mi stava ancora guardando … quello era stato veramente un “Sì”.

 

Sotto la cattedrale di Santa Maria Novella ho cercato di catturare l’attenzione di Puro. Avrei avuto bisogno di un suo gesto, una conferma, ma stava telefonando a qualcuno del gruppo, cui faceva notare che non si poteva iniziare a bere fin da quell’ora. Subito dopo mi ha chiesto in che direzione andare. Io gli ho indicato Via Roma. Sì, era la strada più lunga, ma avevo bisogno di rimanere ancora un po’ solo con lui.

 

Puro raccoglieva qua e là qualche impressione sulla città e me la offriva infiocchettata di meraviglia. L’impressione era di intrattenermi mentre non desiderava altro che unirsi al gruppo.

Infastidito da quell’ipocrisia formale che si era insinuata tra di noi, sono fuggito nel mercatino della loggia del porcellino. Avevo visto la bancarella che vende gli arazzi. Mi sembrava incredibile che fosse ancora là, identica a come me la ricordavo. La signora non era la stessa, ma come l’altra cercò subito di propinarmi qualcuna delle sue orribili riproduzioni di quadri famosi.

Dell’insopportabile puzza di pellame vario, mi sono ricordato solo dopo, quando ho ripiegato sulla Vacchereccia, finalmente convinto che la cosa migliore era proprio unirsi agli altri.

 

Puro è molto sensibile alla bellezza e Piazza della Signoria l’ha colpito immediatamente con la sua prospettiva scenografica. Gli ho indicato la copia del David eccetera, ma era troppo tardi per fare i turisti; quindi mi ha chiesto di chiamare Bee: “Vedi se sono completamente ciucchi o bisognerà andarli a ripescare nell’Arno”.

 

Bee non rispondeva, ma poi mi ha richiamato lui con un altro numero, dunque avverto Puro che secondo me siamo riusciti a far perdere la pazienza persino a Bee: “Uffa, ma è naturale che una diva si faccia attendere; io non lo so, ma da dove arrivano questi, sbrighiamoci però che secondo me mi stai facendo girare a vuoto, glielo hai chiesto se stiamo sulla via giusta perché mi sembra di camminare da un’ora … figurati se portavo i tacchi”. No, dei tacchi non mi ha parlato, ma se non lo avessi interrotto per rassicurarlo che oramai eravamo vicini, mi avrebbe rinfacciato anche i tacchi che non aveva.

 

Dopo essere sbucati dalle viuzze del Borgo dei Greci, la luminosa Piazza di Santa Croce ci è sembrata immensa. “Tu li vedi?” ho chiesto a Puro “Andiamo, saranno loro a vedere me” mi ha risposto col vento tra i capelli, la sciarpa svolazzante e l’incedere deciso da star che prende il centro del palcoscenico. Il suo entusiasmo mi ha contagiato e al centro della piazza lo provoco incitandolo con qualche passetto di salsa, come se si potesse davvero stuzzicare ulteriormente la sua mania di protagonismo …

 

“Santo cielo, eccoli là, sono sulla scalinata” Io al solito non riesco a distinguere niente tra una folla che m’inquieta solamente. “Beh, se non riesci a vedere neanche Lanthe, ti prenoto una visita dall’oculista”.

 

“Cazzo! Ma quanti sono?”

 

Troppi, semplicemente tanti. Mi sento gli aculei d’istrice rizzarsi sulla schiena in un brivido raggelante. I piedi si saldano al terreno e la sensazione è quella di un condannato davanti al plotone di esecuzione. Sono solo e ho sentore che finirà come sempre.

Silverselfer

Parola d’Ordine: Socializzare

(Ep. 4 \ seconda parte)

 

 

Puro spicca il volo e si getta a capofitto nella folla che lo reclama. Ok, meglio stargli alla larga quando infervora la sua autostima.

 

Nau! Quando lo vedo, mi si apre il cuore, finalmente qualcuno della mia razza. Lo abbraccio e mi piace. Con lui ho una strana e totalmente irrazionale certezza, che qualsiasi cosa dica, sarò compreso. Peccato però che tra tutti e due non spiccichiamo manco un misero mugugno.

 

E’ difficile capire con chi e come tentare almeno un patetico saluto. Finisco in una piccola folla da cui voglio solo separarmi.

 

Madoka! Gli occhi stretti in un sorriso e le sue braccia aperte mi colgono sempre di sorpresa. Lei è immune al fascino grottesco della mia ruota di pavone spinosa. Mi stringe a sé e vorrei tanto dirle quanto sono felice che ci sia, ma niente neanche stavolta. Gli occhiali a specchio completano il mio mutismo emotivo e sciama anche quest’ultima possibilità di comunicare.

 

Bea … lei non mi saluta. Mi si avvicina e basta. “Te lo devo proprio dire: oggi sei figo” mi fa col piglio di John Wayne che ordina un whiskey al saloon. Stiracchio un sorriso e nel frattempo mi sa che mi saluta anche Quistis, dicendomi cosa significa l’ideogramma del pendente che ho preso in prestito da Puro.

 

Abdico allo spavento e mi siedo sulla gradinata, tra le gambe di Nau, nel tentativo di mimetizzarmi e far dimenticare a tutti che esisto.

 

Tentativo fallito, mimesi impedita dall’avvicinamento di un’urticante scolaresca molesta; mi alzo e arroccandomi su un margine esterno della milizia socializzante, faccio rifulgere tutti i miei raggelanti aculei. Nessuno osa più avvicinarsi. Mi domando se in quella folla ci sia anche Hinzelmann. Intanto vedo Puro che si arrampica come uno stambecco su per le gradinate. E’ così rassicurante che esistano persone come lui, capaci di tessere relazioni e annodare ragnatele di numeri telefonici, contatti Facebook e quant’altro … che palle!

 

“Non ti preoccupare, ti ho fatto … buona pubblicità con tutti” Almadel, che figlio di puttana! Mi offre un sorso dalla sua bottiglia di birra Moretti. Ingollo a malapena l’aria che respiro, figurarsi quell’acqua sporca. Lui mi declama le virtù del frumento del nord est con cui è prodotta; io spero solo di non averlo offeso. Mi rincuora la consapevolezza che con lui urto un vaso di ferro.

 

C’è Dario, ma è preso in chiacchiere e dopotutto non ho niente da dirgli, ma sono felice di rivedere “il furetto dagli occhi di cielo” … ma c’è qualcos’altro. Sembra cresciuto, non d’altezza certo, ma sembra più maturo, nel senso di consapevolezza di sé.

 

Succede qualcosa. Si alzano tutti. Al solito Puro propone una foto di gruppo. Per fortuna non se ne fa niente e si decide di riprendere il pellegrinaggio cittadino. E’ in questo momento che mi accorgo di Penna. Per il vero i suoi lunghi capelli corvini presi dietro la nuca e il volto diafano dominato da occhi così scuri da apparire neri per intero, sono la sola cosa che ho notato appena giunto davanti quella gradinata. Ma poi, niente. Sono dettagli che come fantasmi mi salutano passandomi davanti. Quando però la vedo saltare sulla sua sedia, mi ritrovo davanti a un coraggio che mi umilia. Sono proprio un coglione a non riuscire a compiere un solo passo in avanti, mentre m’inerpico su per picchi sempre più solitari, pur di non ammettere che ho bisogno degli altri come ogni altro comune mortale.

 

Lungo Arno. Si procede verso Ponte Vecchio. Che strapalle! Mi sto rollando la seconda sigaretta in meno di 500 metri. Sono passato dall’altra parte della strada. Il marciapiede era stretto e finivo continuamente tra qualcuno che chiacchierava. Ogni passo che compio mi precipita sempre più nel solito autismo emotivo. Mi raggiunge la combriccola di Bea, potrei sempre unirmi a loro …

 

Ponte Vecchio. Vetrina orafa. Passa Almadel che ci dice qualcosa, e un motivo ci sarà se non me la ricordo. Un attimo dopo mi ritrovo accanto a Nau. Il gruppo manca di direttive e si sta disgregando. Il tipo dalla faccia furba che all’Europride mi fece tanto divertire con la sua causa più frocia d’Italia, mi chiede come mi va la vita. Dovrei rispondere ma obiettivamente non so che dire. Chiudo le dita della mano destra mimando una papera muta e gli ricordo che sono quello che non parla. Nau cerca di mettere riparo all’imbarazzo che ho suscitato. Nau che parla! Mi sa che sto raggiungendo limiti d’insopportabilità proprio estremi.

 

Succede qualcosa, è l’avvento di D. Finalmente un cane alfa che sa guidare il branco, verso cosa non si sa ancora, ma almeno lo rimette insieme. Qualcuno ci domanda se conosciamo il numero di Bea per recuperarla. Nau si offre di andare personalmente a cercarla. Potrei seguirlo, ma preferisco non angosciarlo ulteriormente con il peso della mia plumbea presenza.

 

“… alla fine Manny è rimasto addormentato cioè incredibile gli telefono e mi dice ho fatto tardi ma io gli dico sbrigati cioè la sera prima io ero stata al Ritual fino alle quattro eppure non so insomma non me lo sono dimenticata e alla fine l’ho aspettato fino a un certo punto e gli telefono che guarda il treno sta partendo e lui lo perde cioè boh incredibile e poi poteva sempre prendere quello successivo e immagino se ha comprato anche i biglietti cioè veramente non lo so potrei anche ricomprarmeli io perché ho un’amica qui a Fire…”.

 

Quistis mi aggancia e con lei la conversazione è molto semplice. La guardo e sono proprio contento che ci sia. Il suo tono amicale mi tranquillizza.

 

“ … incredibile ecco io non lo so cioè il prossimo che mi dice che sono la tipica ragazza della porta accanto lo uccido ma è possibile che mi capitano sempre dei casi umani come quello che ho frustato l’altra sera cioè proprio incredibile ecco ah ma con la liceale basta ho chiuso cioè te l’ho detto cosa credeva che fosse il sesso orale … incredibile … credeva che fosse sesso telefonico quando me lo ha detto cioè io non lo so giuro vi invidio per voi è tutto più semplice per esempio …”

 

Il passato remoto torna nell’oblio e il presente si confonde tra la calca di turisti, potrei essere ovunque con il mio passato prossimo suonato con un ritmo sincopato da Quistis. La prima volta che l’ho vista era una ragazzotta impacciata che cercava una girl che la notasse. Oggi ho accanto una ragazza dalla figura snella, mi racconta della palestra e del bondage e della voglia che ha di prendere a morsi la vita. Puro definisce il suo look “da sexy segretaria”; non è sbagliato. Dovrebbe solo migliorare la sua postura. La postura è il linguaggio del corpo e camminare curva sulle spalle, su dei passi dalla punta dei piedi sulle dieci e dieci di un quadrante d’orologio, non va bene. Sono i pensieri a tenere la testa ritta e lo sguardo fermo, indicando la strada ai piedi che incedono decisi sul filo della propria volontà.

 

“ … tu non puoi capire quando mi ha detto che aveva fatto vedere le mie foto del Ritual alla madre ti giuro volevo morire ma dico non so ti giuro m’ispira proprio violenza …”.

 

Sto meglio quando il gruppo si ferma per accogliere Wolf che Casper è andato a recuperare alla stazione dei treni. Me lo aspettavo più minuto e decisamente più nerd; invece, è un marcantonio palestrato da copertina sexy … beh, forse non è poi così grosso e neanche così smaccatamente sexy, ma sarà che me lo aspettavo diverso, sarà che al solito le persone mi colpiscono in modo irrazionale, però ha qualcosa di assolutamente straordinario che al momento si traduce in un semplice “wow”.

 

- Io sono Silversurfer.

 

Mi ero distratto mentre Quistis mi raccontava di quando l’avevano messa sulla giostra per bambini di Piazza della Repubblica, dove ci troviamo; quando Wolf finisce il giro di saluti, offrendomi il suo sorriso “impeccabile”. Mi porge la mano. Gliela stringo e basta. Mi presento solo con il nome. Io so chi è lui, non vedo cosa gli possa importare chi sia io. Me lo domanda. Beh, mi mette in imbarazzo dirglielo e la cosa non mi piace. Sembra che non si accorga degli aculei di cui mi vanto tanto! Quistis risponde al posto mio, quando lui si ricorda dei miei interventi che quando era sul forum leggeva sempre. Dice anche che se lo aspettava che fossi io … come se quella lingua biforcuta di Almadel non avesse sibilato anche nei suoi orecchi …

 

- Hai riconosciuto la faccia di cazzo, immagino …

 

Ma no che non volevo essere scortese, è solo la prima cosa che mi è venuta in mente. Quistis ghigna ben conoscendo le mie doti di antipatico e quando Wolf porta via il suo bel sorriso radioso, possiamo tornarcene nel nostro mondo di ombre goth.

 

“ … lo sai no che ora lei frequenta i ragazzi ma tipo uno alla settimana incredibile io non mi farei mai legare da lui non lo sapevi che è anche omofobo cioè mi fa schifo quel ciccione nazista …”.

 

Il gruppo si diluisce raggrumandosi in ordine sparso non appena perde direttive certe, giusto il tempo che D torni a far prevalere il suo punto di vista. Di tanto in tanto qualcuno si unisce a me e Quistis, come se il nostro piccolo centro di gravità li attraesse. Io getto lo sguardo nella mischia e noto un ragazzo che, dopo Wolf, mi convince che il livello di gnocchitudine di questo raduno è mediamente alto.

 

Ho gli occhiali a specchio, talmente a specchio che più di qualcuno ha già palesato l’attrazione vanesia di usarli per acconciarsi la propria vanità gay. E’ perciò impossibile che il ragazzo si sia accorto che l’ho notato, allora perché ogni volta che ci fermiamo, riesce sempre a guardarmi negli occhi, come se non portassi due comò in faccia? Pazienza, tanto deve essere solo una mia impressione. Faccio il paraculo, sicuro che tanto non mi si avvicinerà. Sbaglio al solito i miei conti. Il ragazzo mi sorprende e aggirando la folla, mi viene dritto in contro. Mi da la mano con un piglio virile e guidando lui il valzer di una presentazione decisamente fuori tempo, dichiara: “Sono Kev” … No, basta con la storia del testa di cazzo. Uffa, ma che gli dico adesso? A me le frasi di circostanza sfuggono sempre e dalla bocca mi viene via solo quello che penso e non posso certo dirgli “Bel bocconcino, ma mamma ti manda in giro da solo?”. Meglio tacere che sarei anche un uomo impegnato, ve’! Forse non c’è niente di più funzionale di un sano imbarazzo per ammazzare una conversazione sul nascere.

 

Ci rimettiamo in cammino e Almadel si unisce a noi, ci raggiunge anche Dario e qualcun altro. Si discute l’ultima immancabile teoria di Almadel mentre procediamo verso l’aperitivo, cioè Piazza San Marco, dove si cercherà di ricomporre i pezzi del gruppo di Bea e Puro, prima di recarci al Kitsh.

Ahahaha sono morto dalle risate soprattutto leggendo le battute di Quistis. Mi piace come scrivi, anche per questo una presentazione seppur fuori tempo andava fatta!

 

Ammetto che gli occhiali a specchio davano il beneficio del dubbio pure a me, però sono un buon osservatore :cool:

  • 2 weeks later...
Silverselfer

Ammetto che gli occhiali a specchio davano il beneficio del dubbio pure a me, però sono un buon osservatore

 

Perché credi che buona parte dei presenti portasse occhiali da sole? :4:

Silverselfer

Vodka mon amour

( Ep.4/prima parte)

 

 

… che cazzo di posto di merda, quattro cianfrusaglie avanzate a un rigattiere, ammassate in una cantina labirintica e ammuffita senza un buco di finestra; illuminato male e quel poco con cianfrusaglie del fai da te di dubbio gusto … La dentro le sole cose che fanno pendant tra loro, sono le facce affrante delle cameriere, sicuramente sfruttate e sottopagate …”

 

Eppure stava filando tutto liscio. Giunti in Piazza San Marco, andai a prendere della birra dal pakistano, sotto casa di Dario. Avevo lasciato con piacere il bivacco del gruppo nei giardinetti, mentre aspettavano il ricongiungimento di Bea, Puro con il resto della ciurma. Lungo il tragitto, una strana tipa aveva salutato Dario e lui, dopo averla contraccambiata, era rimasto per qualche momento con lo sguardo appeso a un sospetto, mentre Quistis gli continuava a dare ragguagli su cosa pensava il gruppo di forumisti romani riguardo alla rottura del suo frenulo, poi si chiese rivolgendoci una domanda: “Ma chi cazzo era quella?”.

Dal pakistano lui prese un’altra Moretti … forse. Io optai per la Ceres, Quistis niente, per via della sua gastrite … ma quando stavamo aspettando alla cassa, mentre una signora disquisiva d’insalate o magari della questione politica indo-pakistana, il mio sguardo era caduto sulla vodka degli scaffali dall’altra parte del locale …

 

“… ma come mi è venuto in mente di andarmi a sedere sul quel divanetto abbottonato beige in similpelle, avanzato da qualche discoteca anni ottanta, incastrato alla gamba di un tavolino stile County, sotto un’improbabile palla di vetro anni settanta, bombardato da una pessima cassa acustica ancora più dozzinale del rumore che ne usciva … ah, già … ci si era seduto Almadel”.

 

Dario mi aveva messo in guardia del pistolotto di qualche ora prima che Almadel aveva rifilato a Mercante di luce e la sua Ceres, ma quando tornammo, era seduto con Puro su una panchina e Quistis lo stuzzicò confutando la sua teoria dei capelli corti dei gay, facendogli notare che Puro li aveva lunghi. Senza batter ciglio, lui strinse i suoi occhi sornioni dietro le lenti rettangolari degli occhialetti da vista, e ribadì che Puro non faceva testo, in quanto trattasi di una donna etero. La reazione scomposta di Puro ci prese in contropiede, facendoci ridere ancora di più. Scocciato, ci alzò il dito medio sul grugno, spiccando di nuovo il volo verso lidi più consoni alla sua radiosità gay. Fu allora che, non ricordo bene come, il discorso finì sulla vodka.

 

“ … cazzo di Buddha quanto non mi sopporto e quanto mi sta sul culo sto spurgo di città, proprio non capisco perché mi caccio in certe situazioni, come se non lo sapessi poi come va a finire; la verità è che lo so cosa c’è da fare e non ho le palle di … ma che cazzo hanno da guardare tutti quanti ‘sti bacherozzi stercorari, ma che uno non può andarsene in giro da solo a rollarsi una sigaretta, eh?”.

 

Quando gli dissi che mi ero vergognato di comprare la vodka, Almadel si offrì subito di accompagnarmi dal pakistano. Appena lontani dagli altri, mi tolsi finalmente quei due comò sugli occhi. Almadel mi parlò degli israeliti che non hanno i lobi … neanche io ce li ho, ma non la sapevo sta roba che ha che fare con una certa ereditarietà genetica. Sapevo di non averli, ma istintivamente mi toccai le orecchie e fui felice di non trovarceli. Alla faccia del sangue israelita che si trasmette per linea materna, sono un fottuto ebreo del cazzo. No perché, a forza di non essere mai né carne né pesce, uno finisce per sentirsi inevitabilmente solo.

Continuammo a parlare di nomi ebrei e di un suo amico che cambiava il cognome quando gli pareva per via di due genitori adottivi … gli dissi allora che io ne ho avuti ben tre e il nome me lo cambio ogni volta che abortisco una delle mie esistenze di vampiro.

 

La volevo comprare io la vodka però Almadel, dopo aver preso una Lemmon soda, sembrò seguire una liturgia ben collaudata e poi quando mi aveva chiesto se volevo anche i bicchieri di carta, aveva aggiunto “figurarsi se uno come te si attacca alla bottiglia” . Volevo che le cose andassero a modo suo e “uno come me” poteva anche andare a farsi fottere. Dividemmo le spese e mi piacque perché fin quando sarebbe durata quella bottiglia di vodka, avremmo avuto qualcosa in comune.

 

“ … ci sarà una strada al mondo che non mi sembri famigliare, per Dio, non voglio manco ricordarmi se ci sono già passato qui e tu che hai che scappi dall’altra parte della strada, vecchia cariatide ma vatti a sciacquare quella cozza rancida che ti sgocciola piscio tra le cosce incartapecorite … ei, blocca i pezzi adesso, bello …”.

 

Quando siamo tornati in piazza, trovammo aria di smobilitazione. D aveva trovato il modo di anticipare l’aperitivo e si apprestavano sulla via del Kitsch. Puro, dopo essersi fatto i complimenti per aver portato lo zainetto contro il mio parere, c’infilò le due bottiglie con i bicchieri. Peccato, avrei voluto bere.

Inforcai di nuovo gli occhiali, andandomi a nascondere sulla panchina tra Nau e Madoka. Intanto Puro posava compiaciuto per altre fotografie, mai sazio ne chiedeva ancora organizzando scatti sempre più affascinanti con Wolf e quanti altri potevano fare pendant con i suoi Ray-Ban dorati. Bea mi minacciò con la sua macchinetta fotografica, pungolandomi per farli sfigurare tutti … a volte mi chiedo se dice veramente sul serio.

 

“ Fa un bel respiro … ricordati di respirare … non è tutto nero come credi … vedi di non finire per combinare guai … ora da bravo te ne torni indietro, ti siedi in un angolino e te ne stai buono … non è che devi fare chissà cosa … te ne stai zitto e buono e lasci che le cose vadano per conto loro … non è difficile … basta non fare niente …”.

 

Non mi ricordo come e neanche bene perché stessi raccontando ad Almadel della frusta di Quistis, probabile che volessi mostrare quella ragazza dall’aspetto anonimo, con il potenziale che ancora rimaneva celato sotto i suoi abiti borghesi. La Ceres sicuramente mi aveva aiutato a sciogliere la lingua, ma era anche la consapevolezza di essere capito che mi faceva parlare con speditezza e novizia di particolari. Tutto questo accadeva, senza accorgermi di quanto potesse essere inopportuno il mio naturale rigetto per quelle convenzioni che regolano la società dei sapiens. Spesso mi dimentico che non basta certo congiungersi carnalmente in modo anticonformista, per riuscire a divellere la mala pianta che ci viene innestata nella coscienza dalla società dei presunti giusti. Il rossore che stava avvampando le gote di Quistis, lo vidi seguendo lo sguardo di Wolf che le stava dispensando un amabile sorriso consolatorio. Poverina lei che, incapace di sostenere quel ritratto che le avevo cesellato addosso, fuggiva gli sguardi curiosi, in cerca di un riparo che la proteggesse da quella sorta di iugulatoria della morale pubblica.

 

… perché, ma perché lo faccio … perché sono qui … che senso può avere cercare quanto già si conosce … la verità, è la verità che temo di più … sei qui perché non hai le palle di pronunciare la risposta a quella domanda che fuggi … un dente marcio non può far altro che dolere fin quando non decidi di cavarlo … stronzo …”.

 

Fuori dal Kitsch Puro ed io ci baciammo appassionatamente. L’ho feci perché quella pletora di frocetti timorati della regola, invitava a tenere un comportamento consono per non urtare i tanti etero che frequentavano quel locale. Un bacio esibizionista, certo, ma pur sempre un momento in cui il mondo rimane tutto attorno, lasciandoti finalmente solo nel tuo centimetro quadrato di assoluta libertà.

Quando Bee invitò tutti a entrare, noi si stava parlando del Rocky Picture Show; che ci posso fare se quando lo vidi, non mi strappò manco un sorriso? Puro non sapeva neanche di cosa si trattava, eppure ero certo che a lui sarebbe piaciuto …

 

Il gruppo si era seduto a dei tavoli che avremmo dovuto lasciare entro le nove perché prenotati. Il posto era brutto e l’ospitalità pressoché zero. Vidi Almadel seduto da solo su un divanetto di dubbio gusto. Lo raggiunsi. Mi sembrava uno spazio in cui potesse germinare un’insana sbornia. Dopo arrivò anche Dario. La comitiva sembrava essere proprio quella giusta, ma poi lentamente si aggiunsero degli enzimi sociali normalizzanti.

Quei ragazzi non avevano la voglia di gridare, di farsi male … di andar via. Come canta Mina in qualche sua nota canzone. Erano parchi della loro ignoranza. Felici di usare norme collaudate che li facevano coesistere sereni … e perché non avrebbe dovuto essere così? Del vino cazzo!

 

Tranquillo ok? Non è il momento delle paturnie … chi vuoi che si sia accorto della tua stronzaggine cronica … rollati una sigaretta e tornatene a sedere … nessuno ti noterà …”.

 

I prezzi di quel buco non erano solo un furto, ma un vero e proprio sberleffo. Mandai via la cameriera mal celando un vaffanculo che mi piombò definitivamente nell’umore nero. Solo qualche notte avanti, mi trovavo in una situazione analoga, ma in una compagnia che non si riuniva certo per i propri gusti sessuali. Allora mi ero detto che forse era per tale motivo che li sentivo distanti. Mi era balenata per la testa l’idea che stare tra questi ragazzi potesse in qualche modo alleviare il mio male di vivere … mi dispiaceva solo che al solito il mio tormento sarebbe finito per essere interpretato per qualcos’altro.

 

Il mio delirio peggiorava e quel buco asfittico mi si palesava dinanzi in tutto il suo supponente squallore. Erano andati tutti a fumare, quando mi ricordai di un e mail da leggere. Si trattava della mia cara amica “Senza”. Veneziana trapiantata a Pisa per prendere la sua seconda laurea, si lagnava perché ero a quaranta minuti da lei e non andavo a salutarla. L’ultima volta che c’eravamo incontrati, abitava in una mansarda tra i tetti nei dintorni di San Marco. Pittrice, vegana e ufologa … anche molto bella e affascinante. Lei apparteneva alla mia vita precedente. Le inviai una risposta in cui le facevo promessa solenne che sarei tornato per scrivere assieme haiku sorbendo assenzio. Trenta secondi dopo mi rispose, ricordandomi che l’assenzio le faceva schifo, ma in compenso mi avrebbe preparato dello spritz come la tradizione veneziana vuole che sia.

 

Appena rialzai lo sguardo, vidi Puro che mi portava un piatto di roba da mangiare … si era accorto che stavo fuori di testa e cercava di rabbonirmi con quello che per lui è la più irresistibile delle droghe: il cibo appunto. Era un bel piatto, nel senso che i cibi con i loro colori erano ben accostati … mi ricordai ancora di “Senza” che mangia solo per associazione cromatica … ma io no. Dario aveva fame e sbocconcellò lui tutto quanto.

 

Un’ammorbante noia giuliva mi rimbrottava nelle orecchie facendomi venire il mal di testa … basta così, a tutto c’è un limite … me ne andai.

 

Tecnicamente dovevo solo andarmi a fumare una sigaretta. Nel percorso verso la porta incrociai Bea, ma tanto era inutile cercare di sputare quel grumo di fiele che pretendeva di rimanermi nello stomaco. I pensieri non si componevano più in parole, ma formavano un tutt’uno con lo scazzo delle mie emozioni feroci. Vidi anche Puro che vittorioso aveva espugnato il buffet, ormai reso una landa desolata dalle sue ripetute incursioni. Gli sorrisi cercando di rassicurarlo che stavo andando solo a fumare.

I passi iniziarono a susseguirsi. Mi carezzò l’idea di saltare sul primo treno per Pisa. Scappare da una vita all’altra, non sarebbe stata la prima volta che lo facevo. Ma oramai si era sviluppata in me una coscienza critica, che feroce mi urlò la consapevolezza di non voler vivere più in nessun posto.

 

Camminai furioso con me stesso sul piccolo marciapiede, urtando di proposito i passanti, ma quella plebaglia invertebrata si sarebbe fatta piantare uno stiletto nel petto senza reagire: pecore di un gregge che morde solo se fischia il suo buon pastore. Aspirai la sigaretta rollata male e che tirava peggio. Quando la gettai a terra, spaventai una vecchina che per chissà quale ragione si era attardata a rientrare a casa. Mi guardò sgomenta e pur di non passarmi accanto, tornò indietro sull’altro lato della strada. La coscienza dunque mi morse il polpaccio e rinvenni da quella trance autodistruttiva. La valvola in fondo alla gola si stappò e l’aria sporca della città tornò a pervadermi con tutti i suoi germi e polveri sottili. Ero ancora vivo e decisi di tornare da Puro … il mio presente.

 

L’apprensione per il giudizio altrui saliva man mano che mi avvicinavo all’angolo del palazzo. Appena lo volto ci trovai Wolf che mi chiese qualcosa sul ristorante … sì, avevo detto che ci sarei andato, ma perché avrei dovuto saperne più di loro al riguardo? Casper cercò di spiegarmi qualcosa. Aiuto! Desiderai ardentemente che la vecchietta fosse lì a ricordare a tutti quanto fossi ripugnante. “Suvvia ma vi devo ricordare chi sono io?” dissi loro stiracchiando un sorriso abominevole. Il cibo mi repelle come la stessa aria sporca che respiro, lasciatemi stare e andate pure a riempirvi gli stomaci di vita.

 

Rientrai nel tugurio che c’era rimasto solo un gruppetto seduto in un angolo di quel tavolo che avevo lasciato affollato; mentre Puro, finalmente sazio, stava celiando con Dario e il suo ragazzo sul divanetto. Incrociai di nuovo Almadel che sardonico mi chiese, se gli era permesso avvicinarsi … ma vaffanculo.

 

Noia, profondissima noia. Che ci posso fare se “socializzare”, mi annoia? E’ come riguardare un film ricordandosi tutte le battute a memoria. Puro era scocciato dall’indifferenza di quel piccolo “gruppetto di casi umani”. Aveva promesso che non li avrebbe pisciati, ma trenta secondi dopo era da loro, beandosi dell’accoglienza che gli tributarono.

 

Puro aveva rimediato una guida che ci avrebbe condotto alla stazione. Sapevo benissimo come arrivarci, visto che c’ero appena tornato … ma perché complicare le cose più di quanto non lo erano già? In fondo era bello pensare di non avere un passato ed era interessante scrutare quel ragazzo dall’aria dimessa, che camminava a passo spedito, badando poco a noi. Raramente alzò lo sguardo dai suoi piedi, giusto quando Puro lo interrogava; allora gli spiegava frettolosamente perché doveva andare a prendere il trenino per Scandicci, dove aveva lasciato la macchina. Ci chiese solo per cortesia se saremmo stati anche noi allo YAG, Puro esclamò il suo stupore per una domanda così “assurda”: poteva forse mancare la star della serata? Ma il ragazzo rimase sulle sue e forse neanche ascoltò i motivi per cui Puro aveva bisogno di andare a cambiarsi d’abito …

 

Il ragazzo ci scomparve davanti. Probabile che con le nostre facezie, gli avevamo fatto rischiare di perdere l’ultimo treno per Scandicci. Costrinsi Puro ad acquistare i biglietti dell’autobus. L’edicolante c’indicò la fermata del 22, che stava dall’altra parte della piazza, al capolinea della tramvia.

Il senso di colpa mi divorava la coscienza. Avevo ceduto di nuovo a quella parte oscura di me che rimane celata nel fondo, in quella palude i cui miasmi trasudano sotto la mia pelle. Certo, ero riuscito a controllarmi, non avevo combinato guai. Un tempo mi sarei azzuffato con il primo che capitava, mi sarei ubriacato, drogato o quanto meno sarei scappato via, nel vano tentativo di dimenticarmi.

Guardavo Puro e il confronto mi umiliava. Lui che era così integrato nel suo tempo e nel suo luogo ed io, invece, sempre una campana stonata fuori dal coro. Una coppia davvero strampalata la nostra. Mi chiedevo in silenzio perché uno come lui voglia stare con me. Mi sentivo in colpa per aver pensato di andarmene via. Avrei voluto dirglielo, anche solo per liberarmi da quel peso la coscienza ma … ogni volta che ci provavo, mi guardava con gli occhi pieni di dubbi e mi domandava “tutto a posto?” ed io “Sì, certo, non ti preoccupare”.

Eravamo entrambi stanchi, però da soli eravamo misteriosamente tornati a essere compatibili. L’autobus non tardò ad arrivare e seppure in silenzio, i nostri corpi si comunicavano una consolatoria famigliarità … in un certo senso eravamo l’uno la casa dell’altro.

  • 1 month later...
Silverselfer

Vodka mon amour

( Ep.4/seconda parte)

 

I’m about to go astray

My inhibition’s gone away

I feel like sinning

You got me in the zone

DJ play my favorite song

Turn me on

 

Moderno lupanaro dove i corpi si ammassano per riuscire a sfiorarsi, generando una qualche illusione orgiastica. La porta si schiude e cela di nuovo al mondo quanto esso ha sempre voluto negare. Rumore e tanta luce che gioca con la sua ombra. In anfratti cavernosi si annidano umani come colonie di pipistrelli presi dal loro assordante squittio.

 

 

- … ma cosa ti piace di me?

 

L’autobus ci scodellò a poche decine di metri dalla residenza universitaria. Strisciai il badge ai tornelli della portineria, cercando di dissimulare l’imbarazzo per Puro, che aveva scomodato l’usciere per chiedergli se gli avanzava un rotolo di carta igienica. Quello, invece di scocciarsi, si mostrò comprensivo e l’essere preso a parte di quell’intimità, lo avvicinò a Puro. Mentre salivamo, guardavo quel rotolo di carta igienica e capii quanto non affratelli la schizzinosa riservatezza per le esigenze del nostro corpo.

 

Corpi … sacchi ematici … per lo più entità in cerca di conferme. Una massa afosa come una foresta pluviale mentre tuona il monsone. Un vento di note fa piovigginare il sudore. Le dita disegnano ghirigori percorrendo i tratti somatici di un Dio pagano, che è nell’aria e nella luce; straziante reminescenza di un angelo senza ali, ormai goffa gallina che mima un volo danzante.

 

- Non so … per esempio, in questo momento mi piaci molto …

 

Entrai nell’appartamento pronto a non avere più nulla in comune con Almadel, quindi presi la bottiglia di Vodka e ingollai la mia metà. Puro ne prese solo due dita in un bicchiere di carta che finì di riempire con la Lemmon soda. Finalmente i fumi dell’alcol sfaldarono il pack siderale intorno a me, lasciando andare alla deriva ragionamenti che, come iceberg di pericolosa sincerità, avrebbero potuto far affondare quel poco di concretezza che riuscivo ancora a far galleggiare. Presi a farneticare su ogni dettaglio di quella giornata risolta con quel crampo al cuore. Ero seduto sul tavolo e facevo dondolare i piedi penzoloni, appoggiato su di una mano mentre tenevo il bicchiere di vodka nell’altra, quando chiesi a Puro cosa caspita ci trovava in un caso umano della mia risma …

 

Occhi d’angelo quelli che fuggono lo sguardo della tentazione. Voluttà striscianti dalle bave urticanti, sono le virtù resuscitate di quanti anelano all’imbarazzo di quel candore che rende l’entusiasmo alla speranza. Leccornia per demòni le secrezioni linfatiche di queste tenere carni. Effluvi afrodisiaci per nari avvezze alle lande desolate del desio.

 

- Basta vodka e basta con questi discorsi da ubriaco … andiamo a prepararci o finiranno per odiarmi più di Risu …

 

Appena la malinconia di cui sono pregno iniziò a colare giù da quel tavolo, spaventò Puro che se la scrollò di dosso con uno svolazzo di mani. Si faceva tardi, disse, accingendosi a prepararsi alla gran soirée che lo avrebbe dovuto consacrare diva del raduno. Ma sì, era probabilmente questa la qualità di Puro che più stimavo: la totale impermeabilità del suo spirito alla malinconia. Solo lui poteva trasformare il mio ringhio in un ghigno, esorcizzando così quel dolore con un sorriso.

 

Le tracce di vanità che l’immagine di Puro lasciava nel suo andirivieni dallo specchio della toletta, mi riempivano di frivolezze. Tanto che decisi di tirar giù quella maschera di patetica normalità che m’ingessava il viso. Mi concessi un’altra notte, una sola. Presto riconobbi quei tratti che riaffioravano dal fondo dello specchio. Un’identità che non sarebbe mai comparsa nemmeno nell’acronimo più lungo e complesso delle identificazioni di genere.

 

Trovai un paio di croci nella scatola dei monili di Puro. Una bizantina di legno al collo si rivelò semplicemente fuori luogo, ma l’altra nera no. Il suo riflesso lucido divenne subito un bagliore in perfetta armonia con la macchia nera che ero tornato finalmente a essere.

Puro ed io lasciammo la residenza universitaria mischiandoci all’oscurità della notte. Giunti nei pressi del locale notturno, Puro evocò Bee che prontamente si manifestò, sempre preso dalla sua tabella di marcia che lo voleva in procinto di partenza. Davanti allo YAG declinò l’invito di Puro che aveva bisogno di un caffè. Lo salutammo mentre rimandavamo il nostro ingresso nel locale per raggiungere il bar in fondo alla strada.

 

Io mangio l’aglio e le croci mi affascinano molto, ma il caffè mi fa vomitare peggio dell’acqua santa. Decisi quindi di aspettare Puro seduto su una panchetta striminzita fuori dalla porta del Bar, insieme a un paio di cani che mi guardarono con sospetto per tutto il tempo.

 

La prima impressione che ebbi entrando in quel locale fu di profonda mestizia.

 

Ci avvicinammo a un gruppo di forumisti. Stavano poco distanti dall’uscio di quello che doveva essere stato molte cose prima di diventare un disco pub gay. Due manzi palestrati ballavano su dei cubetti di compensato, livello di erotismo pressoché mediocre. Il DJ metteva musica con BPM insufficienti per coinvolgere gli avventori, i quali non erano là per ballare o sballare.

Andammo a gettare i giubbotti su altri giubbotti nell’angolo di una saletta buia e cavernosa. Nel tragitto incontrammo Almadel, che apprese con sgomento che non avevamo più niente in comune. Puro mi trascinò a ballare e mi andava di mostrargli quanto non si sarebbe mai aspettato da me.

 

La musica non mi piaceva, ma era comunque facile ballare meglio di qualunque di quei culi ingessati in mezzo alla pista. Puro al solito non era capace di esistere senza coinvolgere gli altri, cercò quindi di mischiare il diavolo con l’acqua santa.

Quei ragazzi mi piacevano ma erano incastrati nel loro ruolo di bravi ragazzi. Solo Puro sapeva seguirmi nel mio bisogno di rappresentazione, anche se la sua era solo evanescente vanità. La sensualità era al solito il nostro punto d’incontro: l’esibizionismo, una diretta conseguenza.

 

Tra i mixaggi poco audaci del DJ, distinsi “Girl gone wild” di Madonna. Fu una rivelazione. Chi se ne frega di tutto. Puro fu presto portato via dai flutti della socializzazione; senza centro di gravità iniziai a combinare guai in giro. Ci sarebbe stato sempre un domani per pentirsi. Dopo aver urtato contro qualche altro forumista, mi resi conto istintivamente che era meglio allontanarsi.

 

Finii contro il bancone del Bar; ero troppo accaldato e cercai di chiedere una schweppes gelata. Il barman pareva ignorarmi di proposito e mi stava facendo quasi incazzare, quando i due tra cui ero finito, mi dicono qualcosa. Sarà stato per la musica assordante o l’accento stretto toscano, ma non riuscivo a capire cosa mi volessero far intendere. Quello alla mia sinistra cercò allora di parlarmi a un orecchio, ma capii solo che alludeva qualcosa sulla croce che portavo al collo perché la prese tra le dita; poi sentii la mano di uno dei due che mi s’infilò tra le chiappe. Sono cose che capitano. Non era serata per una scweeppes e feci quei tre o quattro passi che servivano per togliersi dall’imbarazzo e tornare al centro della pista.

 

Incontrai Wolf, stava con degli altri forumini che incitava a chiedermi qualcosa. Uno di loro si era invaghito di un tizio che da solo non avrei mai notato. Lo voleva conoscere … basta chiedere, no? Intercettai lo gnomo oggetto del desiderio del forumino, e gli dissi che era fortunato perché aveva fatto colpo su un gran figo. Sì, magari i miei modi spiccioli finirono per spaventare tutti, ma che cazzo, non è che uno può stare lì a girarci tanto attorno, ve’! Il piccoletto forse temeva di essere finito in un’imboscata, perché quasi si scusò con tutti, dicendoci che era accompagnato. Gli chiesi chi era il fortunato. M’indicò un citrullo che appena lo individuai, abbassò lo sguardo spaventato. Dissi al piccoletto di mollare quel pisello moscio e darsi una botta di vita con il mio amico. Lui sorrise ed era chiaramente lusingato dalla mia insistenza, tanto che non capii perché tutti gli altri sembravano invece battere in ritirata. Intercettai Puro e gli chiesi di distrarre il citrullo mentre recuperavo lo gnomo per il forumino; ma niente, tutto il gruppetto c’implorò di abbandonare la causa … Puro, scocciato, si dissolse nell’aria ed io rapii un angelo.

 

Ballai con lui. Provocare il suo imbarazzo era dolce nettare per le mie papille gustative. Assistere alla sua provocante umanità che candidamente cercava riparo nel volo di sguardi sfuggenti, era una lusinga troppo seducente per un vecchio demònio della mia schiappa. L’inconsapevolezza di un tale sfolgorio era disarmante. Capii subito quanto era preziosa quella gemma da riporre tra i ricordi, dal cui bagliore trarre ristoro nei momenti più cupi. Dopo qualche attimo, la vibrante ritrosia dell’angelo, mi aveva redento e tirato di nuovo dentro i gangheri della realtà. Lo abbandonai alla sua tenera santità e me ne tornai alla mia errabonda dannazione.

 

Spossato, arrivai nel passaggio che conduceva nella saletta adiacente. La musica si mesceva nel chiacchiericcio che proveniva da quell’antro cavernoso rosso pompeiano. Qualcosa mi respinse costringendomi ad appoggiarmi alla parete. Lasciai andare la testa all’indietro, trovando sollievo nella solidità di quel muro. Fu allora che mi accorsi di quel ragazzino. Lo definisco tale per il suo aspetto che in quella terra di mezzo, rimase celato tra le ombre provocate dai lampi delle stroboscopiche della vicina pista da ballo: Jeans calati, la camicia di fuori, una t-shirt forse bianca e un ciuffo di capelli nemmeno troppo lunghi su una rasatura che gli lasciava scoperte delle orecchie piccole, niente di più. Mi fissava da dietro quella macchia nera che gli mascherava il volto. Nella contingenza di quegli attimi sospesi tra due mondi, mi saltò addosso. Per il vero era troppo minuto per dire che mi saltò addosso. Mi venne incontro scavandosi una buca con il volto sul mio petto, mi cinse con le braccia e iniziò a premermi, un po’ come fanno quei cani un po’ troppo affettuosi. Non avevo nessuna voglia, manco di staccarmelo di dosso. Concluse urtato dalla mia indifferenza, scappando via più velocemente di com’era arrivato.

 

Feci qualche passo prima di cadere su una sedia. Solo dopo mi accorsi che dall’altra parte del tavolinetto c’era Almadel con il suo compagno. Mi guardai attorno. Trovai Puro appoggiato alla parete che parlava con una ragazza. Poco distante da lui, MisterBaby pomiciava famelicamente con un tizio.

Avrei preferito restarmene in silenzio, lasciandomi seppellire dal tempo, ma il più uno di Almadel mi rivolse la parola.

 

Dio se erano belli! Non sono proprio sicuro del ricordo di quell’immagine, eppure nella mia memoria sono rimasti immortalati come in un ritratto caravaggiesco. Almadel gli stava seduto sulle gambe, con un braccio sulle spalle, tutt’intorno c’era quel rosso che rischiarava dalla cupezza raggrumata di tutte le tonalità della tenebra. Quei volti serafici mi si stagliavano dinanzi, mentre le loro menti si univano in amplessi sussurrati dagli sguardi complici.

Rimasi muto all’interrogazione di quelle sfingi, incapace di elaborare qualsiasi pensiero computato in sillabe. Gli sembravo un prete, ma non era neanche questo il senso che quelle parole nascondevano. Gli sorrisi implorando una tregua con il mondo.

 

Successe qualche altra cosa che non ricordo. Mi avvicinai a Puro che stava accanto alla puzzolente saletta dei fumatori. La ragazza con cui parlava era una sua amica della Calabria. Lui incontra sempre qualcuno del suo remoto paesino.

Una tipa seduta appena oltre la soglia del girone infernale dei fumatori, mi scrutava con estrema attenzione, incurante del fatto che mi ero accorto della sua inopportuna curiosità. Tutto questo mentre MisterBaby perseverava stoicamente nella sua pomiciata mozzafiato.

 

La serata allo YAG volgeva al termine. Qualcuno ci domandava se rimanevamo, altri già prendevano i loro giubbotti per andarsene. Puro non aveva voglia di lasciare il locale prima della chiusura e mi chiese se ero stanco. Gli risposi facendo spallucce che lui tramutò subito in un “No”. Tuttavia, alla fine si decise di andare via anche noi. Così raccattai il mio giubbotto e mi lasciai trasportare dalla corrente. Prima di uscire, catturai per un attimo lo sguardo di MisterBaby, ancora avvinghiato al suo vorace spasimante e con lui salutai per sempre quel luogo.

 

Il programma del raduno si era così ufficialmente concluso. Rimaneva ancora la domenica per quanti fossero rimasti in città ...

 

Sigla finale e titoli di coda:

 

 

 

 

 

- L’eternità per sua natura non può avere un passato né un futuro, è un attimo di estasi che dura per sempre …

 

Puro trovò di nuovo dei ciceroni che avrebbero dovuto portarci nei pressi della stazione dei treni, dove sperava d’intercettare l’autobus notturno fiorentino. I tre piccoli forumini sembravano avere il pepe al culo e facevamo fatica a stargli appresso. Cercai di convincere Puro ad andarcene per conto nostro, ma lui era troppo preso dall’indifferenza che parevano dimostrarci quei ragazzi. Gli comunicai che il GPS indicava di andare in un’altra direzione e che le probabilità di beccare il percorso del notturno erano molto poche; ma Puro risolse che stavo facendo il solito asociale e preferii restarmene zitto.

 

- … ci pensi se l’eternità cui tanto aspiriamo, altro non sia che la morte …

 

I ragazzi ci avevano quasi seminato, quando improvvisamente ci ritrovammo dietro il duomo. Era illuminato con una luce tale che non sembrava più lo stesso visto di giorno. Puro rimase estasiato e anch’io non potei fare a meno di esclamare il suo “FANTASTICO!”. Cercai di strappare via al tempo quell’immagine fotografandola, poi compresi che non avrebbe avuto alcun senso se con essa non ci fosse stato anche Puro. Lui ovviamente prese subito il centro della scena, curiosamente però, i suoi colori si mimetizzavano perfettamente con quelli del duomo, diventando così un unico splendido ricordo.

 

- … e se il senso della vita sia proprio trovare quell’attimo da vivere per sempre?

 

I nostri ciceroni si erano fermati poco distanti. Puro li chiamò per condividere la nostra meraviglia. Sì, anche loro avevano notato il duomo, ma evidentemente non ne subivano la nostra stessa fascinazione. Finalmente Puro decise di perdersi con me nella notte per andare a caccia di altre meraviglie, celate allo sguardo degli animali diurni.

Appena si allontanò dallo sguardo altrui, tornò a essere la straordinaria creatura che io adoro. Dapprima seguimmo le indicazioni dell’Iphone, ma poi fu lui stesso che mi chiese di lasciarci guidare dai nostri passi vagabondi.

 

- … ecco, per me adesso va bene, potrei morire ora e rimanere così per sempre …

 

Firenze di notte si veste di un’aura surreale. Le facciate dei palazzi rinascimentali si stagliano in HD contro un cielo nero, privo di stelle perché gelose della bellezza di questa città.

Finimmo nella Via Monte Napoleone fiorentina e Puro cadde in visibilio, spiaccicandosi come una mosca su tutte le vetrine griffate. Durò poco il ruolo gay che venne presto sopraffatto dalla sua naturale curiosità per le persone. Corpuscoli avvinazzati di giovani bohemien facevano risuonare le loro risa poliglotte tra gli echi silenti delle strade.

 

- E ma che allegria! Sei proprio ubriaco …

 

Giungemmo sul lungo Arno. Sulla sinistra avevamo Ponte Vecchio e dall’altra parte il fiume che si confondeva nel buio. Indicai a Puro la strada che ci avrebbe portato dritti alla residenza universitaria. Lui mi disse di lasciar stare e goderci quella meraviglia. Qualche bacio, un abbraccio e tanta voglia di non tornare indietro.

Erano le tre passate e il buon senso ci spinse per la via del riposo. La strada però pareva interminabile. Semafori, incroci, parchetti si alternavano senza fine. Iniziavano a farmi male i piedi e capivo perché una tizia prima, un ragazzo di colore dopo, ci avevano superato con le scarpe in mano. A rifocillarci non c’erano più neanche le bellezze della città, che era diventata un banale agglomerato urbano.

La residenza universitaria ci apparve luminosa nel suo bianco da sanatorio futurista. Erano le quattro del mattino ed eravamo sfiniti ma parchi di un’esistenza che ci piaceva esattamente così.

 

Appena rientrammo nell’appartamento, al solito Puro andò a lavarsi le mani. Io mi gustavo a occhi chiusi il suono rassicurante di quelle quattro mura, ascoltandolo rumoreggiare nel bagno. Eravamo mezzi nudi, quando lo raggiunsi sul lettino e mi raccolsi tra le sue braccia. Ascoltare la vita nel suo cuore m’ispirò pensieri d’eternità e di morte. Sentii la sua barba grattarmi la fronte mentre mi donava un bacio medicamentoso. Poi mi disse di piantarla con quei discorsi, che ero ubriaco e che mi aveva visto tentare di baciare Casper; ma dopo quella scarpinata ero rinsavito abbastanza da essere certo di quanto gli avevo appena detto.

 

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  • 3 weeks later...
Silverselfer

Episodio 5 / Sulla via del ritorno

 

Nei parcheggi sotterranei c’è odore di fogna. Il portiere ci ha aperto i cancelli della rampa col telecomando, senza accompagnarci, come fossimo diventati degli inquilini del residence universitario. L’auto è là, dove l’avevo lasciata il giorno prima … solo un giorno, eppure sembra passato molto più tempo. Faccio scattare le serrature centralizzate e lampeggiano le quattro frecce. Sistemiamo le valige e ci sediamo. Allacciamo le cinture e faccio girare la chiave dell’avviamento. Dallo stereo ricomincia a suonare Such Great Heights dei Postal Service dallo stesso punto da dove si era interrotta. Prima d’ingranare la retromarcia, faccio scivolare tra i pacchetti vuoti di Vivident allo xilitolo quel bigliettino trovato nel biscottino cinese. Lui sistema i telefoni per il viaggio. Gli indico il pulsante manuale che deve pigiare per riaprire il cancello. Cerco di avvicinarmi alla parete ma è costretto ugualmente a scendere dall’auto … intanto un Suv sulla rampa aspetta di entrare. Ci siamo. Ora stiamo sulla strada ed Egli controlla il percorso sull’Iphone. Nessuno dei due ha nulla da dire all’altro, ma stiamo pensando entrambi la stessa cosa”.

 

La domenica ci alzammo stranamente presto. Saranno state al massimo le dieci, quando alzai le tapparelle e detti mentalmente il buon giorno alla nostra dirimpettaia che già parlava al suo telefonino. Puro non si lamentò come il solito per la luce che lo costringeva a svegliarsi. Al contrario, quando mi voltai, lo trovai seduto sul ciglio del letto. Gli chiesi a che ora avevamo l’appuntamento per il pranzo e lui, scocciato dalla mia mania della puntualità, mi rispose che non se lo ricordava e che tanto gli altri saranno stati già in giro a nutrire Casper, dopo di che si chiuse in bagno.

 

Ebbi tutto il tempo di rollarmi una sigaretta e fumarmela, poi iniziai a sistemare le mie cose nella borsa da viaggio. Mi rimase anche il tempo di ordinare le sue cose accanto alla valigia, che era esplosa per tutta la stanza. Ebbi anche modo di sistemare lo zaino e la mia tracolla. La bottiglia di vodka mezza vuota, mi costrinse a ripensare a quanto avevo già sepolto nell’ossario dei ricordi.

Quando lasciammo l’appartamento, avevamo sistemato ogni cosa per la partenza. La mezza bottiglia di vodka era finita nella mia tracolla per essere restituita al suo legittimo proprietario.

 

“Stiamo attraversando Firenze per raggiungere i caselli dell’autostrada. Passiamo davanti alla stazione dei treni e poi lambiamo il centro storico fino a sfiorare Piazza di Santa Maria Novella e raggiungere il lungo Arno. Scivoliamo troppo in fretta tra il traffico ordinato della città. Lui non mi parla. Indica col dito dove svoltare. Ho idea che stavolta non sia il solo a vedere dei fantasmi che si aggirano per queste strade. Se solo potessimo imboccare una qualsiasi altra direzione che non sia quella che stiamo percorrendo … nello stereo inizia a suonare No Ordinary Love di Sade”.

 

Puro non riuscì a trovare uno straccio di Bar aperto per prendersi un caffè, questo bastò definitivamente a mandargli sul culo la città. Solo quando giungemmo in Piazza del Duomo, scoprii che era quello il luogo dell’appuntamento con il resto dei superstiti dal raduno. Puro si lamentava perché al solito con la mia fissa per la puntualità, eravamo costretti ad aspettare inutilmente.

 

Ci appoggiammo contro il battistero mentre un tiepido sole riscaldava la mia anima intirizzita dal gelo post sbornia. Poi giunse a molestarci una tizia, tipo esercito della salvezza, che ci voleva far firmare contro la droga. Ma vaffanculo tossica del cazzo. Non me ne poteva fregar di meno della sua storia di redenzione e me ne rimasi dietro gli occhiali a specchio. Puro però non resistette, vedendo quell’irritante sacco ematico rivolgermi inutilmente la parola, si mise a parlare anche per me. La cosa mi scazzò abbastanza. Quella si era convinta che non ero italiano, e mbè? Gli sembravo olandese … e sti cazzi. Niente. Puro si sentiva investito da un’improvvisa volontà trascendentale a intercere per me. Io che a quella avevo solo voglia di affogarla in uno sputo.

Dopo averle chiarito che lui era calabrese e studiava a Roma e che era lì per guardare i tesori artistici della città, le autografò la petizione popolare. Le disse che si sbagliava sul mio conto, che ero italiano e per la precisione ero romano … rimaneva solo che le desse il mio gruppo sanguigno. Appena quella cominciò a chiamarmi “Chicco”, fui costretto a trattenere un conato biliare e mi arresi concedendole un gesto di diniego con il capo. Finalmente la stronza salutò affettuosamente Egli e chissà perché anche me.

 

Fu difficile spiegare a uno come Puro, che le persone non possono avvicinarmi come e quando cazzo pare a loro. Per qualche ragione ho sviluppato quell’istinto felino che non ti fa distinguere uno schiaffo da una carezza. Chi tenta il guado del fossato senza permesso, fa scattare l’allarme e la fortezza alza i ponti levatoi, mostrando minacciosi gli obici dalle feritoie delle mura.

Sperai che l’incontro con gli altri, mi avesse potuto aiutare a uscire dall’assedio, ma non fu così. Dopo il primo “ciao” abbandonai ogni intento diplomatico, deciso a restarmene chiuso dietro ai miei occhiali per il resto della giornata.

 

Raggiungemmo Lux, che stava accampato con il resto della ciurma su due panchine al lato destro della cattedrale. C’era anche Bee che alla fine aveva perso il treno. Seguirono attimi di sconsolata noia che naturalmente non riguardavano Bee. Lui si era prontamente munito di una nuova tabellina di marcia, la quale in quel momento prevedeva la scalata della cupola del Brunelleschi. Figurarsi se mi andava di farmi un pacco di scale per vedere i tetti di Firenze … però me lo chiese Puro e in fondo avrebbe alleviato quel tedio che mi stava soffocando.

 

Ovviamente la cupola del duomo di domenica era chiusa come una qualsiasi altra attività cittadina. Bee non ci volle stare e sconvolto per quell’inaudito imprevisto, andò a informarsi. Sconsolati ce ne tornammo indietro. Lux ci disse che anche la torre, che era aperta, meritava di essere scalata … ma nessuno sembrò avere voglia di accontentarsi e il bivacco continuò con appassionanti freddure che, inspiegabilmente per me, sembravano divertire tutti gli altri …

 

Stavamo aspettando Almadel e compagnia bella e appena sopraggiunsero si ripropose il tema più discusso di ogni raduno – dove si va a mangiare? Thailandese, Pakistano, Giapponese o Iraniano? Pizza no, panino forse? Ma per carità! Allora trattoria, ma siamo in troppi … che si fa? A qualcuno sarebbe bastato un gelato … Casper però ne ha già mangiato … eravamo sul punto di uno scisma, quando dall’unico che in realtà sarebbe andata bene qualsiasi opzione, in quanto non gli piace niente, cioè il sottoscritto, arrivò la soluzione – Cinese! Fu Puro a proporlo, chiamando a sostegno della sua iniziativa Almadel, domandandogli se era vero o no che se ci mangiavo io, poteva farlo chiunque? Sì, ok … ma entrambi tacquero su cosa prendo dal cinese – patate fritte e insalata al limone.

 

“L’autostrada ci accoglie sul suo nastro d’asfalto. L’asta del casello recide definitivamente quel sottile filo che ci legava ancora al recente passato. Imboccata la corsia giusta, la spinta del motore della macchina ci allontana rapidamente dal passato, proiettandoci di nuovo nel futuro. Chiusi in quella capsula di presente ricominciamo a parlare, mentre fuori il mondo scorre via come un film, insieme agli autovelox … lo stereo sta suonando Viva la Vida dei Coldplay”.

 

Finalmente D radunò il gregge e lo mise sulla via dell’ovile. Le pecore nere ovviamente sono restie a ogni guida e rimasero indietro. Lux e Almadel che aveva ripreso la sua instancabile opera di redenzione cosmica al pensiero logico e poi io e Puro che a sua volta non riusciva a saziare il suo bisogno di protagonismo e spuntava dietro ogni scatto fotografico … presumibilmente sarà stato capace di apparire anche in quelli di diversi malcapitati turisti, che avranno avuto il loro bel da fare a spiegare ad amici e parenti, chi fosse quell’individuo in posa da diva che compariva in ogni loro scatto …

 

Ci spiaggiammo su un angolo della piazza. Qualcuno doveva prelevare al Bancomat, poi bisognava aspettare altri ragazzi. Andare insieme e quindi fermarsi ulteriormente o proseguire e poi lasciare che gli altri ci raggiungessero da soli? Seguire il branco mi sembrò la scelta più semplice. Mi ritrovai dunque solo in mezzo agli altri, con la sensazione di essere una spina nel fianco per chiunque avesse la sfortuna di capitarmi accanto. Mi voltai ed ebbi la certezza di aver commesso un errore, ma cui era facile porre rimedio. Girai i tacchi e me ne tornai indietro.

 

Ritrovai Almadel e Puro che parlavano sullo stesso ciglio di marciapiede. Probabile che non si fossero nemmeno accorti della mia assenza. Del resto il mio punto di vista non è fondamentale nell’ambito di una conversazione … continuai a restarmene zitto.

 

So di non essere simpatico e in quei giorni non feci nulla neanche per sembrarlo, ma in qualche modo ci sono persone che comprendono il buio che mi ottenebra. Il piccolo gruppetto di pecore nere non mi temeva e mi lasciavano esistere in pace.

I discorsi iniziarono magicamente a cadere su dei dettagli che solitamente sembra che veda solo io. Poi la bandiera dell’ambasciata greca suggerì una battuta al vetriolo ad Almadel e finalmente l’imperturbabile maschera che mi aveva calato in faccia l’incontro con la donzella dell’esercito della salvezza, si screpolò nella smorfia di un sorriso liberatorio.

 

“Stiamo per attraversare lo svincolo per Siena. Puro si ricorda dell’invito che ci avevano fatto le ragazze del Regno di Mauro, ma in cielo inizia a brillare Giove che ci richiama all’ordine. Ci ripromettiamo di tornare per loro. La nostalgia per quel silenzio incastonato in una cornice di estatica bellezza naturale, ci attrae e nel momento che superiamo lo svincolo, sentiamo nuovamente la fitta di un pezzo di esistenza che, come un detrito cosmico, si stacca dal corpo perdendosi nella coda della cometa che è diventata la nostra auto … Slander of Frame, A-ha”.

 

Fuori dal ristorante cinese ci trovammo tutti d’accordo nel farci una vodka. Attraversammo la strada, tanto per tutelare il pudore di quanti già erano entrati.

Entrammo quando tutti stavano già mangiando. Ci sistemammo a un tavolo separato. Ordinai del vino e al solito non compresi le regole della condivisione. Il più uno di Almadel mi sedeva davanti e Puro è a capotavola, cioè alla mia sinistra. Il primo è una sorta di cavaliere Jedi che, ovviamente, appartenendo alla luce fa di tutto per essere gentile, ma il lato oscuro della forza non può che stargli sul culo.

 

Puro finse meraviglia proponendo il discorso degli ebrei senza lobo, raccontando che mi aveva guardato mentre dormivo accorgendosi che anch’io ne sono sprovvisto. La questione offrì il pretesto per una serie di discettazioni in cui Almadel è maestro. La conversazione prese a volare alto, tra i molteplici rivoli creati dagli interventi dei commensali.

Fui rapito dal suo ragionamento e non solo io. Più di qualcuno notò che il tavolo somigliava a un ginnasio socratico o ancora di più … a una riproduzione vivente dell’ultima cena di Leonardo.

 

“Abbiamo appena superato Orte. Tra meno di un’ora saremo alle porte di Roma. Nei nostri discorsi il fine settimana è già diventato una serie di aneddoti da ricordare. Comunque sia andata, ci rimane un’esperienza personale unica … Hush Hush Baby, Michael Mayer”.

 

L’armonia intellettuale fu sconvolta dal sopraggiungere di D, che atterrò sulle ginocchia del più uno di Almadel. Lanciò una provocazione sostenendo la legittimità di una qualsiasi dichiarazione omofoba – se il pensiero è libero, allora è sacrosanto asserire che i froci fanno schifo. Mi lasciai andare a uno dei miei sproloqui deliranti. Sì, era una provocazione e avrei anche dovuto capirlo, ma è come una partita di tennis, quando la palla inizia a rimbalzare da una parte e l’altra del campo, poco importa come, ma devi fare in modo che finisca sempre per rotolare dall’altra parte della rete. Esagerai e non mi fermai fin quando il più uno di Almadel, nella sua ammirevole capacità diplomatica, si portò D a fumare fuori.

 

Il raduno si apprestava ai saluti definitivi. Fuori dal ristorante si consumò il rito dei bigliettini del fato contenuti nelle deliziose cialde cinesi. Si sentiva ridere per gli strafalcioni ortografici, dell’incongruenza maschile/femminile rapportata all’essere omosessuale o semplicemente per il loro significato a volte paradossale. Nel mio ci trovai addirittura scritto che ispiravo stima tra quanti mi erano accanto. Vidi Puro che insolitamente non stava sbandierando il proprio bigliettino. Gli dovetti chiedere due volte di farmelo leggere. C’era scritto – il tuo compagno ti porterà molta fortuna …

 

“Abbiamo superato l’uscita di Roma nord per uscire sulla tangenziale est che ci porterà direttamente su Viale Palmiro Togliatti. Puro si è stupito del fatto che ho portato con me il bigliettino del fato trovato nel suo biscottino cinese. Gli confesso che mi ha fatto riflettere molto. Sono giunto nella sua vita in un momento di grandi cambiamenti, quasi ne fossi una sorta di ambasciatore. Gli dico con lo spavento nell’animo, che ho paura di quella fortuna che dovrei dargli. Temo che di qualsiasi cosa si tratti non comprenderà me … Faithfulness, Skin”.

 

Sarà stata per quell’odiosa atmosfera languida che accompagna ogni addio, però mi dispiaceva salutare quei volti che avevo mancato di conoscere, perdendomi ancora tra le paturnie di un egocentrismo esasperante. Mi costrinsi a saltare il fosso e stringere almeno la mano a ogni mio fallimento.

 

Il tragitto verso la stazione dei treni che molti dovevano raggiungere, ci regalò un bonus sull’inevitabile fine. Insieme a Puro fummo interrogati da Almadel sui forumisti romani e di sue curiosità su alcuni di essi che ancora non aveva avuto modo di conoscere.

 

In stazione decidiamo che è il momento sacrosanto per un ultimo brindisi con la vodka, che mi sono trascinato dietro tutto il giorno. Buona parte dei forumisti si unì al rito. Era dunque giunto il momento dell’ultimo definitivo saluto, ma quella volta ebbe davvero un sapore molto speciale.

 

“Mamma Roma ci accoglie con le sue mille luci. Il traffico caotico sembra festeggiarci mentre ci facciamo lo slalom in mezzo per arrivare sulla rampa della Palmiro Togliatti. Due semafori e un incrocio. Mi fermo davanti ai cancelli della torre di cemento, dove abita Puro. Siamo entrambi consapevoli di aver appena condiviso qualcosa di unico e irrepetibile. Sì, ne è valsa la pena. Lo guardo fermo sul passaggio pedonale, con quel suo baule di valigia e negli occhi quanto non avrà mai il coraggio di pronunciare. Gli soffio un bacio. Giro la macchina. Un ultimo cenno. Lui mi fa ciao con il saluto militare. Mi diriggo verso i boschi di Diana, dove tramonta Ecate trismegista. Altri 35 minuti e sono a casa … Sound of San Francisco, Global DJ”.

 

Dedicato alla causa più frocia d’Italia, senza la quale mi sarebbe mancata la curiosità di partecipare a quel raduno.

 

  • 1 year later...
Silverselfer

Fancuo sto cazzo di forum ... sono tre volte che cerco di aggiungere una dannata risposta ... insomma ... proprio in questi giorni di tre anni fa si verificava quanto ho io stesso scritto ... eppure oggi mi sembra così lontano e ... impersonale ... faccio fatica a riconoscermi in quanto è stato mio e consapevolmente ero conscio di perdere  ... eppure ... come un folle volevo ... vanamente desideravo ... quanto inevitabilmente è arrivato ... l'amore è una cosciente truffa che operiamo ai danni di noi stessi?

 

Oggi ho riletto il primo capitolo che mi ha già provocato uno smottamento emotivo ... nei prossimi giorni ne leggerò altri  .. credo sia giunto il tempo di volgere lo sguardo al passato ... 

 

Sono convinto di aver amato ... ora voglio capire cosa ... nella speranza di poterlo dimenticare ... 

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