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La polizia blocca il Beach Pride Parade ugandese


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Silverselfer

 

Uganda, polizia interrompe gay pride

 

 

La si­tua­zio­ne per gli omo­ses­sua­li è dif­fi­ci­le in Ugan­da, a cau­sa di dif­fu­sa in­tol­le­ran­za e di­scri­mi­na­zio­ni che han­no spes­so un fon­da­men­to re­li­gio­so. Da tem­po si di­scu­te di un pro­get­to di leg­ge per ren­de­re il­le­ga­le l’omo­ses­sua­lità, con tan­to di pena di mor­te per i gay e ar­re­sto per chi li di­fen­de. Even­tua­lità che ha de­sta­to cri­ti­che da tut­to il mon­do e pre­oc­cu­pa­zio­ni an­che dall’Onu, per la sec­ca li­mi­ta­zio­ne del­le li­bertà e dei di­rit­ti.

No­no­stan­te ciò, i gay e gli at­ti­vi­sti per i di­rit­ti uma­ni si sono mo­bi­li­ta­ti in Ugan­da or­ga­niz­zan­do una Bea­ch Pri­de Pa­ra­de il 4 ago­sto ad En­teb­be . Ma pro­prio in quell’oc­ca­sio­ne è in­ter­ve­nu­ta la po­li­zia , che si è sca­glia­ta con­tro i ma­ni­fe­stan­ti e ar­re­sta­to di­ver­si at­ti­vi­sti, poi ri­la­scia­ti. Non si sa bene se a chie­de­re l’in­ter­ven­to del­le for­ze dell’or­di­ne sia sta­to un grup­po cri­stia­no che nei pa­rag­gi sta­va of­fi­cian­do un bat­te­si­mo, o gli abi­tan­ti del­la zona che sta­va­no os­ser­van­do il Pri­de. Se­con­do la po­li­zia, si sta­va svol­gen­do un ma­tri­mo­nio omo­ses­sua­le e due uo­mi­ni si sta­va­no ba­cian­do.

Si trat­ta dell’en­ne­si­mo epi­so­dio di omo­fo­bia nel pae­se afri­ca­no. Non è la pri­ma vol­ta in­fat­ti che la po­li­zia ir­rom­pe in ma­nie­ra bru­ta­le du­ran­te gli in­con­tri di omo­ses­sua­li, seb­be­ne le leg­gi an­ti-gay non sia­no for­mal­men­te in vi­go­re. Gli at­ti­vi­sti lo­ca­li han­no lan­cia­to quin­di un ap­pel­lo per sen­si­bi­liz­za­re l’opi­nio­ne pub­bli­ca in­ter­na­zio­na­le sul­la si­tua­zio­ne che i gay sono co­stret­ti a vi­ve­re in Ugan­da. In­di­ce dell’at­ten­zio­ne sul­la que­stio­ne, il re­cen­te ri­co­no­sci­men­to da par­te del se­gre­ta­rio di Sta­to Usa Hil­la­ry Clin­ton ab­bia as­se­gna­to pro­prio agli at­ti­vi­sti ugan­de­si. Per­ché il pro­get­to di leg­ge tan­to te­mu­to ri­schia an­co­ra di es­se­re ap­pro­va­to.

 

Vi ho incollato l'articolo dell'Uaar perché l'ho trovato più chiaro e meno militante e soprattutto è l'unico che pone l'accento sul fatto che, in questo caso, non sono gli islamici che infieriscono ma i cristiani.

 

Allego qualche immagine per meglio far rendere conto di cosa è stata questa beach parade

 

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Io mi meraviglio sempre nell'incontrare il sorriso dei manifestanti di un gay pride e sono sempre più convinto che questa sia una forza e non una debolezza ... chi era che diceva "vi seppellirò con un sorriso"?

 

Tanto per rimanere in tema, il giorno dopo del Beach Pride Parade, in Vietnam si è svolto il pirmo gay pride per le strade di Hanoi con ben altre aspettative. Vi posto l'ANSA al riguardo -

 

http://www.youtube.com/watch?v=5C18begJtdw

 

E ora venitemi a dire che il Gay Pride ha esaurito il suo ruolo storico.

Silverselfer

Kasha Jaqueline Nabagesera - non vi scordate questo nome, lei l'eroe. Secondo me ha una statura intellettuale e impegno civile paragonabile a una Rosa Luxemburg o una San Suu Kyi. Lei ha fondato il Freedom and Roam Uganda.

 

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Basta guardarla negli occhi per capire che il suo è lo sguardo di qualcuno determinato a morire per quello che fa. Ha la pace interiore di chi ne ha viste troppe e non potrebbe spaventarsi neanche davanti alla morte. Sì, sono di parte eccetera (da parte di ogni genere di eroe) ma non sto esagerando. Spesso i nemici di queste persone cercano di svilire il loro impegno accampando lamentele sulla solita retorica riguardo gli eroi (basti pensare in Italia a quanto scrive certa stampa su Saviano).

 

Farebbe comodo al tanto squallore umano che c'è in giro che non fosse così, ma gli eroi esistono e non c'entrano un cazzo con le figure mitologiche. Sono di carne e sangue e sono fragili come ognuno di noi. E' falsa l'accusa che gli si muove "cercano solo popolarità per le loro ambizioni". La maggior parte degli eroi muore nel silenzio o deve aspettare l'avvento di altri eroi prima che gli si riconosca lo straordinario impegno civile (Biko in Sud Africa per esempio).

 

Rimanendo in tema, spesso leggendo del destino leggendario degli eroi che si trova l'ispirazione per continuare la loro battaglia. Probabile che per Kasha sia accaduto lo stesso, quando la storia le ha consegnato il testimone che era stato di David Kato Kisule. Un insegnante ugandese che aveva vissuto la caduta del sistema dell'apartheid sudafricana e con esso le leggi di stato contro la sodomia.

 

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Tornò in patria portando con sé la ferma decisione di squarciare il velo d'ipocrisia che copre l'omosessualità in Africa (il reato di sodomia indica una pratica e non un genere sessuale). David fa CO e il suo ruolo di educatore lo rende ancora di più scomodo. Dopo aver partecipato ad una conferenza stampa, verrà fermato e torturato dalla polizia. Niente di strano, ogni eroe ha bisogno delle sue stigmate. A seguito di questi avvenimenti David matura la convinzione di arrivare fino in fondo. Diventa cofondatore dello SMUG, in cui ricoprirà il ruolo di conciliatore legale. Ci sono altri insieme a lui, ma è sua la voce che riesce a grattare via la platina di ipocrisia su cui le vecchie e nuove tradizioni stanno per partorire un disegno di legge che prevede, oltre l'ergastolo, la pena di morte per il reato di sodomia (anti-homosexuality bill).

 

David è diverso dagli altri, quando parla non accetta di essere interrotto, non ha più la pazienza di stare ad ascoltare ragioni assurde che lo negano come essere umano. David è il più piccolo di un parto gemellare e fin dalla sua nascita conosce la discriminazione perché questa condizione gli nega per legge il primo nome di famiglia (Kisule). E' arrabbiato e pretende l'attenzione di chi vorrebbe voltare la faccia da un'altra parte. E' esigente e soprattutto impaziente, vuole tutto e subito perché non chiede altro che un semplice "sì".

 

La condizione Ugandese non costituisce una triste eccezione, ma è lì che l'orgoglio omosessuale ha trovato la voce per affermare se stesso. In un certo senso è questo che ha generato la recrudescenza del sentimento omofobico. Se i gay ugandesi se ne fossero rimasti nell'ombra come altrove, nessuno avrebbe sentito l'esigenza di reprimerli e cancellarli in modo più incisivo, più di quanto non facesse già la tradizione e le sue leggi.

 

Il 4 ottobre del 2010 il tabloid ugandese "Rolling Stone" inizia a pubblicare una lista di cento nomi di omosessuali cui dar la caccia, visto che "la legge" da sola non ha il coraggio di condannarli a morte.

 

Kato, Kasha e Onzima Patience riescono ad ottenere dall'alta corte ugandese l'interruzione della pubblicazione dei nomi corredati da foto e indirizzi. Da notare che altri giornali avevano seguito il Rolling Stone perché la gente era avida di sapere, generando un clima di vera e propria caccia alle streghe.

La sentenza del 3 gennaio 2011 è una vittoria legale per il movimento e uno schiaffo alla tracotanza omofoba che si credeva legge inconfutabile. Kato e gli altri hanno contro un'intera società che inspiegabilmente li teme come fossero spiriti maligni della foresta.

 

Sono le 14 00 di un giorno come tanti per Kato, Da qualche settimana le violenze contro gli omosessuali sono cresciute sia di numero che per efferatezza. Le strade non sono sicure specie per lui che è un volto noto. Erano le 14 00 e Kato era nella sua casa di Bakusa quando verrà ammazzato a martellate in testa ... il martirio dell'eroe.

 

Ora è Kasha il volto della lotta omosessuale non solo ugandese, perché a quel movimento oggi guardano altre tristi realtà che non hanno la forza, o il coraggio, di uscire dall'ombra.

 

Il riconoscimento per bocca della Clinton è qualcosa di molto importante, anche per questo dobbiamo sperare che Obama non perda le prossime elezioni americane; perché Romney e specie Paul Ryan che è apertamente contro i diritti civili per i gay, non fa comodo che sui giornali si racconti questo genere di storie "epiche".

Mi fa piacere che ci sia qualcuno a raccontare queste storie e queste facce pronte a lottare con un rara forza.

 

Non so se possiamo fare qualcosa per far conoscere questi volti nel nostro paese, affinché la diplomazia internazionale dia qualche piccolo risultato.

Quale mezzo vi sembra più opportuno?

Silverselfer

Non so se possiamo fare qualcosa per far conoscere questi volti nel nostro paese

 

Cosa ne sarebbe di Achille se non ci fosse stato un Omero?

 

Bisogna che ognuno di noi racconti a suo modo quelle gesta. Se guardi la foto che ho postato di Kasha, ti accorgerai che quel fotografo ci ha messo tanto del suo per raccontare quel volto. Il riflesso che c'è nel vetro della finestra è straordinario. In primo piano vedi una maschera forte al limite dell'apatico, nello specchio c'è una donna affranta, quasi piangente ....

 

La fascinazione e il carisma sono doti fondamentali cui il genere umano è molto sensibile. innamoriamoci di queste persone e il resto verrà da sé.

 

Ci sono altre realtà altrettanto tragiche che però non hanno ancora trovato un volto a cui affidare la loro richiesta d'aiuto. Penso ai quartieri orientali sciiti di Baghdad, dove insieme ai gay vengono trucidati anche gli "Emo". Vi posto questo articolo di denuncia -

 

GRUPPO EVERYONE: “INTERVENGANO SUBITO ISTITUZIONI INTERNAZIONALI E RAPPRESENTANZE UE”

 

Il Gruppo EveryOne, organizzazione internazionale per i diritti umani, ha inviato oggi un appello urgente alle istituzioni internazionali ed europee affinché prendano un’immediata posizione sul massacro in Iraq, in corso da oltre sei settimane, di giovani gay, transgender ed “emo” (con stile di vita che deriva dal punk/dark e si basa su una visione della vita come malinconia esistenziale) per opera delle milizie sciite e delle “Anger Brigades”.

 

“Secondo le testimonianze anche documentali dei locali attivisti per i diritti umani,” spiegano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti di EveryOne, “da inizio anno oltre 120 ragazzi sono stati trucidati per le strade perché considerati omosessuali o comunque appartenenti allo stile di vita ‘emo’, in base anche alle proprie movenze, alla propria pettinatura e al vestiario all’occidentale. Per molti iracheni, infatti, ‘emo’ è anche sinonimo di gay. Ieri alcune fonti ospedaliere anonime hanno confermato la barbara uccisione nel versante orientale di Baghdad di ben 14 ragazzi solo nell’ultima settimana. Qualche giorno fa, nel quartiere sciita di Sadr City,” continuano gli attivisti, “sono stati diffusi per le strade le generalità e gli indirizzi di casa di 33 ragazzi; la lista riportava il disegno di due pistole e alcuni versetti del corano, seguita dalla minaccia di ‘abbandonare ogni comportamento immorale entro e non oltre quattro giorni, pena la vendetta dei miliziani attraverso la messa a morte’”.

 

EveryOne ha chiesto l’immediato intervento presso il Governo iracheno di Navi Pillay, Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, e di Catherine Ashton, Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza e vice-presidente della Commissione europea. “E’ necessario fermare questo massacro” scrivono Malini, Pegoraro e Picciau, “con una forte condanna unanime da parte delle nazioni democratiche e degli organi di controllo a livello internazionale. E’ un dovere civile cui le istituzioni internazionali ed europee non possono sottrarsi, per non essere complici, con la loro indifferenza, della barbara violazione dei diritti fondamentali di migliaia di giovani innocenti”.

 

L’appello è stato rivolto anche a Gerardo Carante, Ambasciatore d’Italia a Baghdad, e al ministro degli esteri italiano Giulio Terzi, affinché intercedano con il Governo iracheno per fermare l’escalation di persecuzione e morte. “Ricordiamo” spiegano ancora da EveryOne, “che da inizio anno il ministro degli interni iracheno ha definito ‘adoratori del diavolo’ i giovani ‘emo’, dopo l’approvazione di una legge che rende illegale tale stile di vita. Per altro, alcuni giovani gay iracheni hanno confermato che le stesse forze di polizia governative perseguitano e minacciano omosessuali, transgender ed ‘emo’, e che in più occasioni hanno comminato torture e vessazioni che in alcuni casi hanno portato alla morte.

 

Pertanto” concludono gli attivisti del Gruppo, “è necessaria e impellente una ferma presa di posizione sull’operato del Governo iracheno, che non lasci ulteriore margine alla cultura della violenza, del terrore, della persecuzione verso minoranze sessuali e stili di vita alternativi”. Il Gruppo EveryOne ha infine inviato una nota agli uffici dell’Alto Commissario per i Rifugiati delle Nazioni Unite, affinché tutte le richieste di protezione internazionale provenienti da giovani iracheni vengano esaminate e seriamente prese in considerazione, stante il clima sociale di privazione dei diritti fondamentali dell’individuo e di atroce persecuzione in relazione alla propria condizione personale.

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