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Isher

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se mi chiedi come tradurre "straight" ti risponderei "in quale contesto?"

se mi parli di orientamento sessuale, sta per etero, raramente ho sentito usare il termine heterosexual

altrimenti di definizioni ce ne sono per tutti i gusti
http://www.bing.com/Dictionary/search?q=define+straight&qpvt=straight+definition&FORM=DTPDIA

 

penso di non aver mai sentito usare "normal" per indicare un ragazzo "straight"

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Ho trovato anche il termine hetty sul dizionario del cellulare, anche se è la prima volta che sento questo termine. Non dovrebbe avere altri significati perciò sembra a prima vista abbastanza neutro.

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Nella canzone "let your body decide" di The Ark viene citata la frase "Am I straight or gay?" e penso straight che voglia dire semplicemente eterosessuale.

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privateuniverse

Se io volessi dire a un anglofono "mi sono innamorato di un ragazzo etero", direi "I've fallen in love with a straight guy".

 

Se un anglofono dicesse "I've had sex with a straight guy", per un italiano dovrei tradurre "ho fatto sesso con un etero".

 

Ieri sera ho visto "Elephant": uno dei personaggi, una ragazza, fa parte di un gruppo scolastico misto di gay e etero che si chiama "Gay-Straight Alliance".

 

Tutto il resto sono dettagli. :)

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Stesso e medesimo: loro differenza. 

 

Stesso e medesimo differiscono tra loro in questo: che stesso serve a dar rilievo a una persona o cosa, quasi accrescendone la realtà e separandola affatto dalle altre: mentre medesimo indica semplicemente che una persona o cosa corrisponde con sè stessa, vale a dire non è un'altra, nè mutata in un'altra da quella che si conosceva prima. Nondimeno si adoprano tutti e due sì nell'uno come nell'altro significato. Ambedue sono aggettivi e quando stanno senza un sostantivo che li regga, hanno bisogno dell'articolo, per prendere essi natura di sostantivi.

 

Questa differenza tra stesso e medesimo esisterà certamente, e mi sembra più che altro basata sull'uso, che è una categoria importante in una lingua ovviamente. D'altra parte, sembrerebbe una dstinzione del tutto parziale, visto che poi si precisa che i due termini sono usati scambievolmente. Se l'uso li scambia, vuol dire che la distinzione stessa è parziale.

 

Anche per questo mi domando allora se non ce ne sia un'altra, più profonda, cioè di tipo concettuale. 

 

Stesso: identità essenziale (= identità = unità assoluta)

Medesimo: identità categoriale (= identità = unità per somiglianza all'interno di una 'stessa' classe di oggetti)

 

che potrebbe corrispondere a una distinzione che solo il tedesco (e, se ho ragione, solo l'italiano) possiedono a fronte del francese e dell'inglese.

 

in effetti: das selbe = lo stesso / das gleiche = il medesimo.

 

Indubbiamente, anche questa distinzione, se è corretta, sarà trascurata dall'uso, che utilizzerà appunto in modo scambievole i due termini.

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  • 2 months later...

......la cui fondatezza e legittimità non può essere messa in dubbio...

 

Secondo voi uesta frase è corretta? O non si dovrebbe scrivere piuttosto non possono essere messe in dubbio?

 

La ragione per cui non mi sembra scorretta è che il nesso «la cui fondatezza e legittimità» indica un solo concetto: le due parole sono diverse, ma convergono in un solo concetto.

Altra ragione per cui mi sembra corretta è che non è ripetuto il «la cui».

 

In una frase del tipo 

 

...la cui fondatezza e la cui legittimità non possono essere messe in dubbio...

 

il plurale si imporrebbe.

 

Tuttavia c'è pur sempre la congiunzione «e». Secondo voi implica comunque il verbo al plurale?

Grazie per le risposte


@privateuniverse @GreenLamb @Almadel @conrad65

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@@Isher Quando i due soggetti sono collegati da congiunzioni coordinative il verbo può essere sia singolare che plurale. Quando le due parole formano un tutto unico, un'unica idea il soggetto è al singolare ,altrimenti è al plurale ;)

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Grazie Marcolino! MI ero scordato che tu sei professore di Lettere, altrimenti ti avrei taggato. :-)

 

Quindi  .....la cui fondatezza e legittimità non può essere messa in dubbio...

è corretto, a  quanto mi dici.

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Al mio orecchio la concordanza a senso

suona molto male e - poiché la usava

il mio professore bresciano di Greco -

mi puzza pesantemente da settentrionalismo.

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Scopro adesso che anche l'Accademia della Crusca

la considera una "variante bassa settentrionale".

 

Io la eviterei nello scritto,ma non la correggerei negli altri.

I Cruscanti la definiscono "quasi grammaticalizzata"

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@@Isher no, insegno matematica ma mi è capitato in passato di pormi questo dubbio ed ho consultato diversi testi di grammatica delle scuole superiori. Anche a me, tuttavia, piace di più il plurale, semplicemente perchè "suona" meglio (grammaticalmente però sono corrette entrambi)

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Grazie ad Almadel e a Marcolino! :-)

 

A me di primo acchito suonava meglio il singolare, tanto consideravo un'unità «la cui fondatezza e legittimità». Poi, rileggendo lo scritto, mi

dava fastidio. Ora è davvero un questione di eufonia, appurato che le due forme sono corrette entrambe (mentre a me era venuto il dubbio

che il singolare fosse scorretto). Grazie ancora......
 

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 A valle, "fondatezza" e "legittimità" non mi sembra esprimano lo stesso concetto, tant'è vero che una cosa può essere fondata, ma non legittima (ad esempio giuridicamente) e viceversa. Ad esempio, il matrimonio omosessuale può avere un fondamento politico, ma non è legittimato in Italia - infatti non è riconosciuto. Al di là della precisazione semantica, il verbo deve essere messo al plurale e non per ragioni eufoniche (perché "suonerebbe" meglio), bensì per ragioni logiche: se anche le due parole in quel contesto esprimessero lo stesso concetto, si tratta sempre di due parole, quindi grammaticalmente ci troviamo di fronte ad una pluralità e il verbo va messo al plurale, necessariamente.

 

A monte c'è la norma grammaticale italiana a fare piazza pulita di ogni dubbio, non occorre nemmeno consultare il sito della Crusca.

 

In mezzo c'è l'impoverimento della lingua italiana, di cui l'uso, specie nel parlato - ma molto diffuso anche nello scritto, a quanto pare - della concordanza verbale al singolare quando c'è una pluralità nominale, è un esempio tipico.

 

 

Non mi aspetto ringraziamenti :-)

Edited by akinori
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Eppure altri hanno detto che è corretta anche l'altra forma. 

 

I due termini sono diversi ed esprimono due concetti diversi, però sono molto vicini e convergono in un nesso forte, nel contesto in cui giacciono.

 

Grazie ovviamente anche a te Akinori :-)

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@Isher

 

devi sapere che akinori è molto colto :fie: e per questo gli viene un'allergia quando degli utenti scrivono in italiano tedescofono o scorretto.  :gamer:. Inoltre gradisce sempre di venir ringraziato.  :nomention:

 

con me scrive spesso che non si riesce a dialogare a causa del mio pessimo italiano.  :prankster:

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Che bel thread! Isher, hai tutta la mia stima! Mi riposiziono sul toro, facendo retromarcia, perché questo gioco l'ho scoperto solo oggi.

 

Intuitivamente, si può immaginare il toro come un salvagente gonfio. Un salvagente sgonfio è semplicemente una doppia circonferenza, ovvero una corona circolare. Gonfiando questa doppia circonferenza si ottiene il toro. L'esempio dell'hula hoop non è pertinente, perché l'asse attorno al quale ruota il cerchio deve appartenere allo stesso piano della generatrice, ovvero della circonferenza. Ed è ovvio che nel movimento dell'hula hoop il piano non è sempre lo stesso, altrimenti non si spiegherebbe perché c'è chi riesce a giocarci e chi no. Questioni di ritmo nel movimento del bacino. Che anche nell'hula hoopista più esperta, può essere mantenuto solo in una ben definita unità di tempo. Poi il toro cade giù :girlcrazy:
L'esempio del salvagente mi sembra dunque più pertinente. Una volta che l'hai gonfiato, il toro è lì, e non hai bisogno di muovere il culo a tempo per confermarne la sua perfetta topologia. Eviti l'assiomatizzazione cartesiana, che diventa tripletta nello spazio (x, y, z) e il calcolo trigonometrico :rtfm:
Eviti, metaforicamente, la triangolazione edipica.
E' anche più facile calcolarne il volume, usando come valore fondamentale la quantità di aria immessa, ma mi scoccio a quest'ora di formalizzare matematicamente il tutto :shout:

L'hula hoop costringe il tuo corpo a sbattersi, il salvagente lo mantiene a galla, se il tuo corpo è immerso  in una superficie liquida. Il toro come salvagente è queer, il toro come hula hoop è banalmente gay.
La cosa straordinaria, da un punto di vista topologico, è che il toro equivale a un quadrato: volete costruirne subito uno, anche, se data la stagione, non avete un salvagente a portata di mano, o, se la stagione è giusta, non avete fiato per gonfiarlo? prendete un foglio di carta quadrangolare, di quelli comuni che si vendono a blocchetti per prendere appunti. Piegatelo una prima volta in modo da ottenere un rettangolo. Poi piegate ancora due a caso dei quattro lati rimanenti, avvolgendo il rettangolo di carta intorno ad una matita: quello che non è matita, è toro!


Da un punto di vista topologico è ancora più interessante il discorso dei generi (e sì, esistono anche in geometria, mica solo nella teoria drgli orientamenti sessuali!).
La sfera è genere 0, poiché non ha buchi. Il toro è genere 1, perché ha un solo buco. In topologia, è il numero di buchi che fa genere. Il toro, dunque, avendo un solo buco, è ancora una volta metafora sessuale di un determinato orientamento, ragionando in termini di fisiologia "bassa" ( ventre e sue simmetrie). Il toro è gay, in questo senso.
La bottiglia di Klein invece sarebbe lesbica.
Come i miei lettori possono facilmente intuire, io sono interessato a topologie del terzo tipo, ovvero genere 3. Come ad esempio il three-dimensional torus.


 

Il three-dimensional torus è una buona metafora topologica della sensibilità queer :bye:

post-4344-0-31137900-1364331795_thumb.png

Edited by akinori
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@akinori

 

scusa ma non ho capito sei della categoria del toro a tre buchi per bocca, ano e vagina o per altri motivi che mi sfuggono.  :sarcastichand:

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Dopo il toro (a proposito, forse la spiegazione più intuitiva di questa figura la si potrebbe accennare facendo riferimento al cock ring, ieri ho dimenticato di scriverlo  :azz:    ) andando sempre a ritroso e a passo dantesco, passiamo a straight.

 

Straight, nel senso di eterosessuale, lo si trova a partire dal 1941; pari derivi da "straight and narrow path" ovvero dal termine "retta via" (letteralmente "via diritta e angusta") che a sua volta si basa su un misundestatement di un passo di Matteo. L'origine è dunque religiosa, e contrappone il comportamento morale dell'etero a quello immorale dell'omosessuale, secondo la morale cristiana. Come ha già notato qualcuno, contrappone dunque un comportamento retto ad un comportmaneto perverso.

La traduzione più appropriata del termine in italiano dunque sarebbe "retto" (aggettivo), senonché "retto" è una parola ambigua, designando come sostantivo la parte terminale dell'intestino crasso, compreso tra sigma e ano... :sorriso:

Io tradurrei con "stretto", che si rifà alla stessa etimologia inglese e che ha uno spettro semantico abbastanza ampio anche in italiano. "Stretto" mi dà anche l'idea della costrizione cui è sottoposto l'etero a causa della morale o di una sua scelta, nella vita sessuale, che si limita spesso alla funzione procreativa. Allo stesso tempo mi dà l'idea di un "blocco anale" e quindi di una sessualità che non riesce a fluire attraverso tutti i canali. In questo modo capovolgo lo stigma biblico e ribalto il termine contro gli stessi etero, che essendo definiti "stretti" vengono inchiodati alla loro sessualità limitata.

Edited by akinori
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Icoldibarin
......la cui fondatezza e legittimità non può essere messa in dubbio...

 

 

Discutere delle sottigliezze grammaticali può risultare un po' bigotto perché spesso si riconduce ad estirpare il comportamento estraneo alla norma consolidata dalla maggioranza.

Ovviamente la maggioranza e le regole hanno un senso poiché in un sistema comunicativo è fondamentale, appunto, la capacità di comunicare e quindi accordarsi sulle convenzioni prese.

Tuttavia quando non sono possibili fraintendiementi si possono considerare le varianti come una possibilità e non come un errore lasciando libertà all'interlocutore di fare come meglio crede.

Piuttosto può essere interessante vedere se la variante semplifica la lingua o se produce impoverimento semantico.

Nel primo caso penso che la variante sia preferibile laddove si affermi, nel secondo caso meglio evitare e fare uno sforzo riadattativo.

 

"La Giovanna arriva fra poco" variante settentrionale di "Giovanna arriva fra poco" non crea fraintendimenti tuttavia produce dei risultati strani perché se da un lato elide una regola "I nomi propri non vogliono l'articolo" dall'altro risulta un tantino ridondante perché i nomi propri sono già determinati e non avrebbero necessità di altra determinazione. Altresì è considerabile il caso, perfettamente accettato nella lingua italiana, di ridondanze assai più pericolose come in "Non ho visto nessuno" dove a livello di logica classica si dovrebbe dedurre data la doppia negazione che qualcuno si è visto, cioè l'esatto opposto di quanto verosimilmente si voleva esprimere...

 

Un altro caso di semplificazione interessante è la progressiva scomparsa del futuro semplice. Nell'italiano parlato è oramai assolutamente consueto dire "Domani vado al mare" in luogo di "Domani andrò al mare", in effetti pare ridondante coniugare il verbo appositamente per esprimere l'idea di futuro già espressa benissimo dall'avverbio "domani". Sembra invece ancora fondamentale discernere fra azione conclusa e perdurante e probabilmente per questo non sentiamo "Ieri vado al mare"...

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Discutere delle sottigliezze grammaticali può risultare un po' bigotto 

Non per me, lcoldibarin, perché per me la lingua è un valore. [Perché usi "bigotto"? Forse volevi dire "pedante"?]

Tutto sta a vedere quando applicarle. In effetti quella frase era compresa in un testo scritto. Ora la misura di un testo scritto non è la stessa

della lingua parlata, e se nel parlato esistono vari livelli di comunicazione e di espressione, nel testo scritto ancora di più, e l'espressione

diventa qui fondamentale. 

 

La tua osservazione sulla scomparsa del futuro semplice (non parliamo del futuro anteriore) nel parlato è interessante. Non è il caso di mettersi a

piangere per questo, è quello che avviene costantemente in inglese ad esempio. Però anche qui dipende dalla persona con la quale parli. Il presente

è colloquiale, ma se parli con il tuo capoufficio, con una persona di riguardo, all'interno di una struttura di lavoro, il futuro semplice rispunta. Dipende

anche dall'estensione dl futuro. Con «domani» il presente è diffusissimo, ma con «fra tre giorni» o «la settimana prossima» si userà spessissimo il futuro.

 

La Giovanna io lo trovo molto carino, proprio perché, credo, sono nato e vivo in una ragione dove non si userebbe mai l'articolo davanti al nome proprio. 

I settentrionali del forum possono dire se c'è, come a me pare, una piccola sfumatura affettiva (positiva, direi, ma potrebbe anche essere negativa?)

nell'uso di questa simpatica formula, che credo siamolto radicata nell'uso e difficilmente scomparirà. 

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