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è etico cambiare se stessi


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@akinori

 

la teoria queer lascia il tempo che trova.....

Cioé? Sai che significa "teoria queer"? Sai che cos'è il "tempo"? Sai che significano in italiano i verbi "lasciare" e "trovare"? Sono sempre basito - sopra - la supponenza di chi ignora di ciò che parla.

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Ma grazie! Hai reso un grande servizio alla collettività mettendo un link che spiega il significato di una locuzione oscura a tutti, prima che la scrivessi tu :- 9 Questo non dimostra però che tu ne conosca realmente il significato :-)

 

E in ogni caso, la teoria queer E' la risposta. L'ethos queer è proprio questa fluidità per la quale non ci si può immergere due volte nello stesso sesso, parafrasando Eraclito. L'etica queer decostruisce l'equivoco di fare del proprio orientamento sessuale un'ontologia. Mi rendo conto che spostando il discorso su un piano filosofico, nessuno probabilmente è in grado di seguirmi. Ma una domanda complessa merita una risposta che abbia un certo grado di complessità. Non si può rispondere semplicemente che è immorale non cambiare se stessi.

@akinori

 

prima mi accusi di non conoscere il significato di lasciare e trovare e pra dici che scrivo cose che non conosco completamente, cosa che può essere vera. e allora ?

 

comunque la teoria queer è solo una cazzata. te ne devi fare una ragione.  :laugh:

 

trovami due testi scientifici che parlino della teoria queer e mettimi i link o le loro referenze.

A me sembra che le cazzate le stai sparando tu, @marco77. Non c'è bisogno di nessuna scienza per invalidare o convalidare la teoria queer, che esprime l'aspetto umanistico della cultura umana (che sia sempre preservato!) e che in ogni caso, ha adoperato anche strumenti scientifici nel suo sviluppo, senza però esserne condizionata. Si tratta di una forma di pensiero filosofico ed è quanto di meglio abbia espresso la cultura omosessuale autentica nel corso della sua storia.

Ed alla sua base sta l'opera di una valentissima studiosa italiana, Teresa de Lauretis, che è dovuta emigrare in America per elaborare la sua teoria, in un ambiente accademico che non fosse provinciale, sessista e patriarcalista come quello italiano, con le sue baronìe incartapecorite

nella riproduzione del mero familismo autoreferenziale.

 

Quindi la tua affermazione, fatta per di più l'8 Marzo e in un sito lgbtq, è una gaffe imperdonabile.

 

En passant, senza la riflessione sul gender, cominciata, in verità, già prima della compiuta elaborazione di una teoria queer alla fine degli anni '60, non sapresti nemmeno la differenza fra identità sessuale, genere e orientamento sessuale.

 

Prima di palesare in modo così plateale la tua ignoranza, potresti riflettere se sei in grado di parlare di un argomento con cognizione di causa. Mi vergogno di te, credimi.

Edited by akinori

Io non certifico proprio nulla, mi dispiace. Ma se ignori i fondamenti della teoria queer non sei degno di essere un mio interlocutore. Tantomeno dovresti osare interloquire in discorsi che esulano dallo standard della tua mortificante mediocrità - e cerco di non infierire. Ti lascio alla tua semiotica infantile da messenger addict fuori tempo massimo.

Orientamento e identità sono delle costruzioni sociali, secondo la teoria queer più avvertita. Io aggiungo che sono costruzioni anche culturali. Di conseguenza, escluderei ogni discorso ontologico. Tu non sei il sesso che fai - punto Sfortunatamente, per recepire questa verità, bisogna essere queer, appunto :-) Quindi credere che esclusivamente sulla propria sessualità si possa fare un discorso identitario completo - ovvero ontologico - è un'illusione che generosamente forse dovremmo lasciare alle menti più deboli e fragili. Me ne rendo sempre più conto.

 

Sono completamente d'accordo. Ancora stento a comprendere la mentalità tipica del gay medio che riduce la sua percezione di sé alle sue pratiche sessuali. Nasciamo informati da un linguaggio così standard e ripetitivo che riduce ogni possibilità di cogliere le sfumature che colorano ogni situazione con cui ci confrontiamo nella vita. La conseguenza di questo condizionamento del linguaggio - dove per linguaggio io intendo ogni costruzione sociale e\o culturale - è che riteniamo la nostra sessualità un semplice fatto di appartenenza ad una categoria esclusiva, come se il sesso fosse il percorso obbligato che ci porta alla verità su noi stessi. Si potrebbe persino azzardare che concepiamo il sesso come un destino che ricade sulle nostre spalle e che siamo chiamati ad accettare, come la chiamata di Dio ad Abramo. 

Io credo che sia avvilente ridurre la propria libertà sessuale all'automatica accettazione di un percorso già tracciato da altri, senza la possibilità di poter esplorare altre regioni di questo universo sconfinato. Purtroppo credo che la retorica del "si deve essere se stessi" sia una scusa per poter vivere comodamente senza porsi troppe domande. Io credo che più che essere noi stessi, il nostro compito dovrebbe essere quello di "andare oltre" noi stessi, di eccedere la nostra limitata percezione di sé. Credo che far proprio questo piccolo precetto nella vita di tutti i giorni non sia affatto sbagliato, anzi sia un salutare modo per mettere in discussione sempre noi stessi e il mondo che ci circonda.

@nak9, io la vedo appunto al contrario: come dice @marco77.

 

Semplicemente ad un certo momento della vita di un gay

ci si ritrova con un compagno, una casa, cani, gatti, figli;

inseriti in un tessuto sociale di amici, parenti e colleghi.

 

A quel punto la propria libertà sessuale è poco importante

(semmai si è sessualmente liberi o lo si è mai stati).

Ci si ritrova semplicemente proiettati "in famiglia":

le uscite in discoteca diventano cene con altre coppie

o si avvertano altri cambiamenti di questo genere.

 

I passaggi sono gli stessi che ci sono per gli etero:

da single a fidanzato, da fidanzato a convivente, da convivente a papà.

Solo che per un gay "convivenza" significa dichiararsi in famiglia

e la "genitorialià" è un passaggio molto complicato per una coppia omo.

 

Per cui si tende a credere tutta l'identità data dalla nostra sessualità

si palleggi tra l'essere single e vedere il proprio ragazzo nei week end.

 

Ed è su questo che giudicate la vostra e l'altrui omosessualità:

come se fosse una adolescenza permanente e senza soluzioni

in cui l'unica cosa interessante da fare sia scopare e/o sognare il principe azzurro.

 

Ma a vostra madre e ai vostri colleghi non interessa quanto scopate.

Le domande diventeranno "Bevete abbastanza spremute?"

O "Il tuo fidanzato può darmi la ricetta della coda di rospo con le patate?"

E tutta questa ossessione sulla "sessualità gay" vostra e altrui sparirà.

O almeno dovrebbe.

Sono completamente d'accordo. Ancora stento a comprendere la mentalità tipica del gay medio che riduce la sua percezione di sé alle sue pratiche sessuali.... Purtroppo credo che la retorica del "si deve essere se stessi" sia una scusa per poter vivere comodamente senza porsi troppe domande. Io credo che più che essere noi stessi, il nostro compito dovrebbe essere quello di "andare oltre" noi stessi...
Sottoscrivo in pieno tutto il tuo post e in particolare questi stralci citati sopra, che ritengo particolarmente significativi.

 

Io penso che il gay medio riduca la percezione di sé alle sue pratiche sessuali, come tu scrivi, perché si è istituzionalizzato nel ghetto omonormativo. La sua identità coincide con la falsa libertà della sua soddisfazione libidica, spesso compulsiva. Andare oltre se stesso, potrebbe provocare una deflagrazione ontologica: non saprebbe più chi è e avrebbe paura di essere quello che non ha voluto essere. Quindi preferisce essere quello che è, cosa che pur distruggendo altre possibilità lo rassicura sulla pseudo-identità che altri hanno costruito per lui.

Semplicemente è più comodo affidare ad altri il proprio destino, perché risparmia l'angoscia della scelta esistenziale. Il gay contemporaneo viene allevato come consumatore che a sua volta diventerà merce in un sistema degli oggetti e di corpi-oggetto dove la sua felicità coincide con la sua depersonalizzazione.

 

Se invece abbiamo il coraggio di pensare alla differenza ontologica della scelta omosessuale, in virtù della quale la sua pratica non potrà mai essere speculare e simmetrica a quella della scelta eterosessuale, ecco che è possibile ripensare una identità - o meglio una "diff/identità" - che si pone come istanza rivoluzionaria contro il corpo sociale dis-organizzato, attraversandolo con la fludità del suo desiderio macchinico. Una macchina desiderante sana ed efficente non può essere eteronormativizzata, né può essere omonormativizzata, perché è fuori dalla triangolazione edipica, che è il dispositivo grazie al quale il sistema, servendosi della cellula familiare, addomestica la singolarità educandola alle sue (del sistema) regole di godimento e castrazione.

Queste regole sono funzionali alla riproduzione del sistema stesso, struttura perfetta e sempre più disumana, in millenni di autoperfezionamento, di dominio dell'uomo sull'uomo.

 

Il primo passo, per un gay, è la consapevolezza della propria alienazione rispetto al ghetto omonormativo. Il primo passo, per un etero, è la consapevolezza della propria alienazione rispetto alla società eteronormativa. Dopodiché, da questa duplice scelta, si dipanano due serie divergenti e asimmetriche, che trovano un punto d'incontro solo nel nodo rappresentato dalla fluidità queer.

 

 

P.s.

 

Molto carina la descrizione della famiglia "mulino-rosa" fatta da Almadel. Sembra uno spot pubblicitario bell'e pronto per vendere qualche biscotto o qualche ogm appositamente pensato per il target gay :-)

La mamma che si occupa ancora se il figlio 40enne frocio si fa le spremute e chiede le ricette al compagno è poi di una edipicità sconcertante. Questo proprio è tutto quello che si deve rifiutare, con un grosso sputo (ops) cognitivo.

Edited by akinori

Io penso che il gay medio riduca la percezione di sé alle sue pratiche sessuali, come tu scrivi, perché si è istituzionalizzato nel ghetto omonormativo. La sua identità coincide con la falsa libertà della sua soddisfazione libidica, spesso compulsiva. Andare oltre se stesso, potrebbe provocare una deflagrazione ontologica: non saprebbe più chi è e avrebbe paura di essere quello che non ha voluto essere. Quindi preferisce essere quello che è, cosa che pur distruggendo altre possibilità lo rassicura sulla pseudo-identità che altri hanno costruito per lui.

Semplicemente è più comodo affidare ad altri il proprio destino, perché risparmia l'angoscia della scelta esistenziale. Il gay contemporaneo viene allevato come consumatore che a sua volta diventerà merce in un sistema degli oggetti e di corpi-oggetto dove la sua felicità coincide con la sua depersonalizzazione.

 

 

Il primo passo, per un gay, è la consapevolezza della propria alienazione rispetto al ghetto omonormativo. Il primo passo, per un etero, è la consapevolezza della propria alienazione rispetto alla società eteronormativa. Dopodiché, da questa duplice scelta, si dipanano due serie divergenti e asimmetriche, che trovano un punto d'incontro solo nel nodo rappresentato dalla fluidità queer.

 

 

P.s.

 

Molto carina la descrizione della famiglia "mulino-rosa" fatta da Almadel. Sembra uno spot pubblicitario bell'e pronto per vendere qualche biscotto o qualche ogm appositamente pensato per il target gay :-)

La mamma che si occupa ancora se il figlio 40enne frocio si fa le spremute e chiede le ricette al compagno è poi di una edipicità sconcertante. Questo proprio è tutto quello che si deve rifiutare, con un grosso sputo (ops) cognitivo.

 

Anche su questi punti torno a trovarmi d'accordo con akinori. E vorrei aggiungere solo questo: il punto è che si può vivere anche nel ghetto, ma quantomeno bisogna essere consapevoli che è un ghetto e non un paradiso. Si può scegliere la strada della famiglia "mulino-rosa", ma certamente non si può pensare che ottenuti i diritti civili la questione omosessuale sarà risolta. Anzi, io spesso dietro questa battaglia legittima vedo un atteggiamento sbagliato, mirante ad ottenere dei diritti "speciali", riservati ad una categoria, quando questi diritti (essendo caratteristiche della legge la generalità e l'astrattezza) dovrebbero essere riconosciuti a tutti, indistintamente dal loro orientamento sessuale. E sappiate che un giorno i diritti LGBT saranno riconosciuti, ma a patto di sottostare alle leggi di mercato. Questo pericolo va scongiurato, e credo che un modo buono per farlo sia innanzitutto spogliarsi una buona volta di questa storia dell'identità. E se di identità vogliamo parlare dovremmo riferirci all'unione indistinta di tanti fattori, di tanti accidenti che formano la nostra percezione di sè; e dovremmo tener presente che la sessualità è solo uno di questi fattori, non è né prevalente, né esclusivo e nemmeno perpetuo. 

Edited by nak9

@nak9, nessuno chiede dei "diritti speciali".

Vogliamo la possibilità di un banale matrimonio,

dove "banale" è il contrario di "speciale".

 

E non c'è "legge di mercato" nell'idea

che io e il mio ragazzo paghiamo le tasse come una coppia eteroe

non come due single che convivono. E' uguaglianza.

Come chiedere lo stesso stipendio tra maschi e femmine.

 

Smetterà di esserci (probabilmente) una identità gay,

quando non ci saranno differenze legislative

e tu potrai dire a tuo padre: "Che bel pacco quel tipo lì!"

come potresti dirgli "Che belle tette quella!".

Perché è questa differenza di trattamento che crea una identità

e non il fatto di andare al Bar X rispetto al Bar Y.

La cosa migliore è essere liberi e consapevoli. Accettarsi significa spesso accettare ciò che altri hanno scelto per sé e vorrebbero imporre a tutti come norma. La sessualità è solo una costruzione sociale e culturale. Freud lo aveva capito e scrisse che nasciamo perversi sessuali polimorfi. Poi è l'educaSTRAzione ad addomesticarci e a farci accettare qualcosa. Purtroppo Freud calò le braghe davanti al dispositivo edipico, poiché era espressione di una società borghese e decise di essere pensatore sistemico e non antagonista. Davanti ai raggi di luce che uscivano dall'ano del presidente Schreber, chiuse gli occhi e ripiegò sul suo Totem (il nome del padre) e i suoi tabù (la triangolazione edipica). Ma Deleuze e Guattari hanno poi disinnescato questo dispositivo. Il re è nudo!

 

Pertinente il riferimento di Nak9 alla legge come generalità e astrattezza. Suggerirei ai pasdaran di pseudoidentità obsolete di leggersi Kant, se hanno bisogno di una Morale.

 

Mentre francamente è un po' patetico questo piagnucolarsi addosso scimmiottando gli etero, un gender da cui bisogna misurare la distanza e non un esempio da seguire. La società eteronormativa, infatti, esprime al meglio questo sistema di cui siamo ostaggi tutti, incapaci ormai anche solo di cercare di formulare un'idea di rivolta. E il concetto di omosessualità che cerca diritti mimetici a quelli che si sono dati (e hanno dato a tutti) gli eterosessuali è funzionale ad una logica etrosessista e schiavista, fondata sul nome del Padre.

Edited by akinori

La cosa migliore è essere liberi e consapevoli. Accettarsi significa spesso accettare ciò che altri hanno scelto per sé e vorrebbero imporre a tutti come norma. La sessualità è solo una costruzione sociale e culturale.

 

La logica dell'accettazione implica un eroico sacrificio di sé fine a se stesso, anzi finalizzato alle logiche del biopotere. Laddove l'omosessualità potrebbe essere il grimaldello per instaurare il dubbio socratico in chi va sbandierando con sicumera le proprie pseudo-verità, essa invece viene sottomessa e controllata, per non turbare l'ordine prestabilito.

 


Mentre francamente è un po' patetico questo piagnucolarsi addosso scimmiottando gli etero, un gender da cui bisogna misurare la distanza e non un esempio da seguire. La società eteronormativa, infatti, esprime al meglio questo sistema di cui siamo ostaggi tutti, incapaci ormai anche solo di cercare di formulare un'idea di rivolta. E il concetto di omosessualità che cerca diritti mimetici a quelli che si sono dati (e hanno dato a tutti) gli eterosessuali è funzionale ad una logica etrosessista e schiavista, fondata sul nome del Padre.

 

Purtroppo, come dicevi in un post precedente, per arrivare ad una simile consapevolezza bisognerebbe quantomeno conoscere i fondamentali della Teoria Queer. Ma siamo in Italia: le idee che si elevano un minimo dal luogo comune e dal buonismo rassicurante difficilmente attecchiscono nella nostra mentalità ipocrita e falsamente emancipata.

Se è questa l'idea di Teoria Queer che avete, siamo spacciati.

O - comprensibilmente - è spacciata la Teoria Queer.

 

La Bio-Politica è fondamentalmente mettere in gioco i propri corpi.

E' una politica che si fa coi baci in piazza,

che manifesta contro i manganelli e contro i pugni dei Fascisti;

contro le regole dei preti sull'utero e contro le regole dei genitori sull'orgasmo.

 

Sarebbe un miracolo se voi foste il 10% di quello che fingete di essere.

Avete addomesticato la Teoria Queer sull'identificazione

al solo scopo di non dire a mamma e papà che siete gay

e la "bio-politica" non la fate coi corpi, ma con proclami reazionari e senza volto sul web.

 

O non avete capito un cazzo o la Teoria Queer ha sbagliato tutto.

Potenzialmente potevate essere tutto e invece siete tutti uguali.

"Gay incapaci di mettersi in gioco fino in fondo"

e non sarebbe un male dopotutto, se non pretendeste che fosse un vanto,.

E non un limite.

 

Il Web non è un modo sufficientemente carnale per discutere di biopolitica.

Essere Queer significa occupare uno spazio sociale da sottrarre alle logiche di mercato;

non è una scusa per scappare dall'essere froci, piuttosto è un buon motivo

per ricreare dinamiche relazionali, ricreative e poliche nuove.

Almadel ha il coraggio di scrivere:

"La Bio-Politica è fondamentalmente mettere in gioco i propri corpi.

E' una politica che si fa coi baci in piazza,

che manifesta contro i manganelli e contro i pugni dei Fascisti;

contro le regole dei preti sull'utero e contro le regole dei genitori sull'orgasmo."

 

Cerco di rispondere ad Almadel mantenendo un minimo di serietà:

Ahahhahah! Tu ignori cosa sia la biopolitica, faresti bene a tacere: stai facendo la stessa figura di cacca che ha fatto marcio77 con la teoria queer. Le regole dei genitori sull'orgasmo dimostri di avele assimilate tu, poiché pretendi che lo Stato etronormativo certifichi il tuo orgasmo e quello del tuo compagno - che poi sono due pseudo-orgasmi ghettizzati nel lattice - nella forma giuridica del nucleo familiare, esattamente come avviene per gli etero. Tu vuoi che lo Stato riconosca il tuo Edipo invertito (il latte del papà invece di quello della mamma, come avviene per i poveri etero) in modo da essere felice ed avere un'identità. Sei un illuso! Edipo non esiste, è un mito! Leggiti l'Anti-Edipo! Tu sei una vittima della biopolitica, perché ti presti alla riproduzione del corpo sociale cercando di essere etero in tutto e per tutto!

E basta con questa cosa del "mettersi in gioco fino in fondo", molti di noi non si riconosceranno mai nelle macchiette seminude che si sbattono con le piume di struzzo sui carri navali del Pride. Fattene una ragione! La politica omosessuale deve cambiare e tu sei il vecchio che ostacola il cambiamento. Ancora a parlare di facce, di tessere, locali convenzionati e uteri in affitto per sentirsi etero fuori e froci dentro allo stesso tempo.

E poi che presunzione, non saremmo visibili perché Almaberlustalin non ci conosce e non facciamo la pubblicità a noi stessi mettendo l'avatar nel profilo. Qui veramente abbiamo superato ogni misura! Non puoi imporci il culto della personalità. La logica berlusconiana dell'apparire che precede l'essere e le idee te la lasciamo volentieri. Basta con questa demagogia antifascista, ancora ad evocare manganelli ed olio di ricino per paura di rinnovare una politica basata su più di mezzo secolo di rendita di posizione.

Non c'è differenza tra corpo e web, se hai un'idea di cosa sia una macchina desiderante, ma tu ignori, come tanti saccenti gay pseudoacculturati, tutti gli sviluppi della filosofia francese contemporanea, troppo antagonista per il tuo comunismo ai bigoli. E' grazie a gente come te che la Sinistra storica sta per essere - fortunatamente - spazzata via.

 

Sono totalmente d'accordo con Nak9 invece, in particolare quando scrive: "Ma siamo in Italia: le idee che si elevano un minimo dal luogo comune e dal buonismo rassicurante difficilmente attecchiscono nella nostra mentalità ipocrita e falsamente emancipata.".

E' in persone come Nak9 che io vedo il futuro del movimento lgbtqi, dopo anni di battaglie solitarie in cui il pensiero unico omosessuale ha cercato di soffocare la mia voce o di annullarla con la congiura del silenzio.

Edited by akinori

di teoria queer e biopolitica non so molto, magari mi informo meglio

ma leggendovi non posso fare a meno di rimembrare nostalgicamente le borZettate che voi due :spiteful:vi davate nell' altro forum  e la chiosa illustrata che ne traevo :evil:

 che tempi, che tempi!!! :rofl:

Edited by prefy

Non so di cosa stiate parlando: non ho mai frequentato altri forum, non sono mai stato cattolico - anzi, qui iniziai un thread che poi mi fu chiuso, il quale parlava della necessità di bruciare la bibbia! Suscitò le ire di qualche cattolico velato (tipologia più diffusa di quanto immaginiate nella popolazione gay italiana) :-)

 

Le "borzettate" (con la z! :-)) sono un modello di interazione che non mi appartiene, ma che mi sembra tipico del cosiddetto "gay effeminato" o "checca", in cui vedo che invece voi vi riconoscete. Vabbé, il mondo è bello perché è variamente colorato, come l'arcobaleno! Quindi c'è posto anche per un'immaginario finocchiesco da commedia all'italiana di serie c degli anni '70 (la cosa triste è che sembra quello prevalente, almeno qui in Italia).

 

Una cosa però la so: state tentando di offtopicizzare la discussione, probabilmente perché ho toccato qualche tasto dolente :-)

Accusare di "dissociazione mentale" persone rispetto alle quali non si riesce a contro-argomentare mi sembra un po' meschino e un chiaro sintomo di impotenza dialettica, che si associa al conclamato deficit culturale.

Inviterei dunque il moderatore a trasferire gli ultimi interventi nella sezione apposita, grazieeeee!

 

p.s.

inviterei anche la new entry "prefy" a rileggersi (se mai l'abbia letta), la policy della board. Non mi pare che siano contemplati commenti monoriga, per lo più costituiti da un solo emoticon!

Edited by akinori
  • 2 weeks later...

...nella vita come in ogni cosa è solo questione di fortuna,,,e di saper prendere al volo il proprio destino alla meglio.....e quindi ogni cambiamento ha un suo successo....non ha alcun senso un cambiamento se non si ha uno scopo.

in realtà credo che il punto fondamentale sia quanto la sessualità è percepita come egodistonica, e anche quanta importanza viene data alla sessualità dal soggetto, dalla sua struttura di personalità e da come questo aspetto influisce nella sua vita.

Per questo motivo non può esistere una vera risposta a questa domanda, perché non si può generalizzare.

Volendo fare questa generalizzazione, penso che chi si ponga in una posizione di voler cambiare il proprio Sé a tutti i costi non abbia come principale problema la sessualità, bensì l'ossessione o la fantasia di essere "perfetto".

Potrei voler non essere omosessuale perché mi infastidisce l'idea di essere preso in giro, oppure perché ritengo che la sessualità perfetta sia quella etero. Il problema non è tanto l'essere omosessuale, ma il motivo per cui non si può volerlo essere. 
Così come una donna può rifarsi il seno malgrado abbia una buona misura ma abbia deciso che la perfezione stia in una prima scarsa. Penso sia più etico cercare il motivo della sua richiesta piuttosto che accontentare e basta.

Anche nel caso di una sessualità egodistonica secondo me è etico cambiare, nel senso che in uno stato di diritto un cittadino dovrebbe avere la possibilità di essere messo in grado di viversi la sessualità che preferisce. Se sei gay ma non ti accetti e vuoi essere etero, devi avere la possibilità di farlo, perché il tuo non accettarti cagiona sofferenza. Naturalmente, è una decisione che deve prendere un soggetto maggiorenne, non il genitore dell'adolescente in crisi, di cui dovrebbero occuparsi strutture sociali adeguate.

Tuttavia il mio punto di vista era differente: io partivo dall'eticità gnoseologica, se così si può dore, del cambiamento, tipica della fluidità queer.

Per un queer mantenere la sua sessualità fluida, non eteronormativizzata né omonormativizzata, è un dovere. E quindi è etica.

Talmente piena di spunti che non saprei da che parte cominciare, se non ringraziandovi: andrò a dare un'occhiata a tutti gli autori citati, ed ho goduto delle belle parole di Carmelo Bene, putacaso, un attore.

Data per buona l'idea che nicolosate siano inutili, odiose e fasciste, e che il cambiamento sia auspicabile innanzitutto nei cervelletti bigotti, alcuni pensieri.

L'omonormatività altro non è che eteronormatività, o se vogliamo sono altre facce di consumismo e capitalismo, ma come voi penso che le sessualità altre siano un buon grimaldello per decostruire la società eteronormata.

Le righe di @@akinori e @@nak9 , per quanto interessanti e stimolanti sono intrise, oltre che di un'insopportabile spocchia sulla quale sorvolerò, anche di profondo giudizio, che in un'ottica di auto.in.determinazione stanno come la nutella sul merluzzo. Se è la libertà identitaria e comportamentale che stiamo discutendo, ogni ricetta, ogni ortodossia mi sta sul cazzo. Ci sono tuttavia moltissime delle cose che penso nelle loro parole, a partire dalla costruzione dell'identità (sessuale e non). Ricordo la mia difficoltà nel capire il concetto di "ruolo di genere", causata probabilmente da un problema anagrafico. L'identità è soggetta alla costruzione, una costruzione esogena: da qui il rischio di decostruire la differenza riproponendo per sè il modello di di vita di Gino l'impiegato grezzo.

La minaccia del mulino rosa esiste, ma non sarò io lo stronzo a dire al mio amico che è sbagliato sognare una vita del genere. Marito pargoli e utilitaria in garage mi terrorizzano, ma non posso nascondermi dietro ad un dito: sono affezionato al principio egualitario, e nonostante io continui a chiedere la luna imbrattando le chiese e mostrando politicamente l'uccello ai passanti in centro (mi vanto) penso che questo sia il presupposto. Da qui l'idea di un cosciente cambiamento di se stessi ha caratteri più nitidi. E posso continuare ad agire l'immaginazione, come facevo prima, e in culo la famiglia e tutto il resto.
Trovo severo  e anche disonesto @@Almadel quando banalizza i due infiammati accusansoli di criptofrociaggine intellettuale. Suvvia, che bassezza. L'errore sta da entrambi i lati: ogni dichiarazione o non dichiarazione di identità è esistenzialismo strumentale, è una presa di posizione che è necessaria ma che ci distorce a tutti i costi. Affermazione identitaria scappata anche ad akinori (7 marzo "bisogna essere queer per eccetera eccetera"). Ovviamente questa non basta, e vi auguro molte avventure con delle belle grassottelle, che sperimentare è sano. E, che ve lo dico a fare, è possibile, senza cambiare se stessi, o meglio, senza dover affermare di essere cambiati. O continuare invece a fare sesso con lo stesso corpo tutta la vita, pur abbracciando le teoriE queer.

Sono sempre ben contento del confronto, della contaminazione, della ricchezza, del cambiamento, e penso che la fluidità sessuale sia un fatto, e non una meta, e che queer sia un verbo, più che un sostantivo (astratto?). Infatti alcune delle differenze rimarcabili in questa discussione sono secondo me riconducibili alla relazione tra identità ed azione. Nella mia pelle io ci sto stretto, ma fortunatamente questa è un involucro poroso: come essere umano voglio violare ed essere violato. Dunque perchè l'identità non può essere anche performativa? Vorrei respingere a tutti i costi qualsiasi "compito", (da bambino ero il cocco della maestra, ora basta!): il cambiamento non è obbligatorio, semplicemente succede, sta a noi coglierne le potenzialità. La mia camera continua ad essere in fondo a destra ma non è ancora arrivato nessuny
per sempre vostro amato freakettone postpost-litteram

@Rouck, la tensione non è mai tra chi vuole il Mulino Rosa

e chi pratica una sessualità polimorfa.

La tensione è tra chi pretende di essere normativo

e chi invece vuole assicurarsi che ciascuno

abbia gli spazi per esprimersi senza colpevolizzazioni.

Dal mio punto di vista per un giovane....pensare al mulino

rosa come a qualcosa di mortifero è se vogliamo pure sano,

intendiamoci. Soprattutto se dai 6 anni ai 20 uno è stato il "cocco

della maestra"...se entriamo nella sostanza del discorso cioè la

descrizione di un percorso individuale.

 

Una volta che ci si è tolti il peso di questo passato, che si sente

di aver espresso ciò che era compresso, represso, si pensa anche

al futuro, perchè non si può vivere solo di passato, in relazione al

proprio passato.

 

Sotto questo profilo io non credo che l'identità gay consista di

un insieme di "compiti" ( assegnati da chi a chi? ) salvo il fatto

che siccome i gay chiedono dei diritti, ovviamente devono in qualche

modo assegnare un certo rilievo alla operatività legale-convenzionale

di certe azioni.

 

D'altronde se tutto fosse solo performativo o performance vivremmo

in un mondo senza libertà, senza speranza....totalmente già normato,

mentre noi questo mondo lo vorremmo cambiare ( senza che questo

necessariamente implichi che noi dobbiamo stravolgerci come individui

per essere a sua immagine e somiglianza...)


L'omonormatività altro non è che eteronormatività, o se vogliamo sono altre facce di consumismo e capitalismo, ma come voi penso che le sessualità altre siano un buon grimaldello per decostruire la società eteronormata.
Le righe di @@akinori e @nak9 , per quanto interessanti e stimolanti sono intrise, oltre che di un'insopportabile spocchia sulla quale sorvolerò, anche di profondo giudizio, che in un'ottica di auto.in.determinazione stanno come la nutella sul merluzzo. Se è la libertà identitaria e comportamentale che stiamo discutendo, ogni ricetta, ogni ortodossia mi sta sul cazzo. Ci sono tuttavia moltissime delle cose che penso nelle loro parole, a partire dalla costruzione dell'identità (sessuale e non). Ricordo la mia difficoltà nel capire il concetto di "ruolo di genere", causata probabilmente da un problema anagrafico. L'identità è soggetta alla costruzione, una costruzione esogena: da qui il rischio di decostruire la differenza riproponendo per sè il modello di di vita di Gino l'impiegato grezzo.
La minaccia del mulino rosa esiste, ma non sarò io lo stronzo a dire al mio amico che è sbagliato sognare una vita del genere. Marito pargoli e utilitaria in garage mi terrorizzano, ma non posso nascondermi dietro ad un dito: sono affezionato al principio egualitario, e nonostante io continui a chiedere la luna imbrattando le chiese e mostrando politicamente l'uccello ai passanti in centro (mi vanto) penso che questo sia il presupposto. Da qui l'idea di un cosciente cambiamento di se stessi ha caratteri più nitidi. E posso continuare ad agire l'immaginazione, come facevo prima, e in culo la famiglia e tutto il resto.

 

Ti ringrazio per aver notato la spocchia (sul serio, e non lo dico con ironia o sarcasmo)... in effetti, mi dispiace aver dato quest'impressione, ma è una brutta forma mentis che mi porto dietro quando cerco di far emergere un mio punto di vista. In realtà io la penso come te: cioè, io non dico che la famiglia del mulino rosa non abbia diritto di cittadinanza (ognuno fa quel che gli pare), ma è un'immagine nella quale io non mi rispecchio e, quanto meno, vorrei che potessero avere maggiore visibilità anche altri modi di vivere la sessualità. A ognuno poi la sua libertà di scegliere, tutto qua.

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