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L'appuntamento.


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Smezziamo una sigaretta.


“La settimana scorsa ci siamo fidanzate” mi dice senza guardarmi e aspettandosi il peggio, poi aggiunge d’un fiato “è ufficiale” per renderlo leggermente più odioso e realistico, quindi si alza, dandomi le spalle.


Per un secondo mi attraversa l’idea di mettermi a urlare così forte da far voltare tutti i passanti, allora le sorrido più piano che posso, per mantenere un controllo che non sono sicura di avere e tutto quello che riesco a recuperare dal fondo stanco delle mie tasche è un falsissimo “mi fa davvero piacere, ti si legge in faccia che sei felice!”, per poi tornare a mordermi la lingua ad appena un passo di distanza da lei.


Mezzo minuto di traffico e comparse.


“Conosci la differenza tra un fiammifero e una candela?” mi chiede tornando di colpo dai suoi pensieri, facendomi cadere dalle mani due o tre frasi di circostanza che stavo raccogliendo sentendo più vicino il momento di salutarci.


Mi sfugge un “no” molto poco intelligente e subito capisco dove vuole andare a parare.


“Contrariamente alla candela che brucia lentamente,” mi spiega, “un fiammifero si esaurisce subito”.


Pausa.


“Noi siamo state solo un fiammifero”. 


Ed è lapidaria e sorridente proprio come la ricordavo, mentre mi osserva sgretolare davanti ai suoi occhi senza battere ciglio.


Cercando di essere il più discreta possibile lancia uno sguardo all’orologio accanto a noi e per una volta è un sollievo sapere che è ora di andare, così ho il tempo di ricomporre almeno la facciata: ai cocci ci penserò più tardi.


“Non vedo l’ora di arrivare a casa e fare una doccia prima di uscire”, afferma per riempire uno spazio vuoto o per crearne uno nuovo.


Io annuisco pensando che non me ne frega niente.


Esci con lei? Ma non glielo chiedo.


Vorrei invece intervistare un osservatore esterno e chiedergli del nostro amore.


“Mi scusi” gli direi, “lei lo percepisce ancora?” 


Cosa penserebbe di noi un passante? 


Saprebbe leggere il linguaggio segreto dei nostri corpi? 


Ci troverebbero ancora abbracciate e nude oltre la spessa coltre di silenzi e parole taglienti sotto la quale ci siamo seppellite?  


Ci avviciniamo, sorride.


Metto nel personalissimo registratore della mia mente un nastro vuoto e premo REC più in fretta che posso per non perdermi neanche un ultimo particolare di quel momento, la ruvidità della giacca, il braccio accogliente, la familiarità della sua pelle morbida nell’incavo caldo del collo, quel suo profumo.


STOP.


Le scale della metropolitana ci dividono al rallentatore e la lascio andare via con un banalissimo “ciao” che non ricorderà nemmeno. 


Tornando sui miei passi, mentre metto sempre più distanza tra di noi, ecco farsi strada a ondate una sensazione di squallida desolazione, come a festa finita, quando tutti gli invitati se ne sono andati e non restano che bicchierini di carta mezzi vuoti e accasciati con i nomi propri scritti male a pennarello e gli avanzi dei salatini sul tavolo.


Mi viene da piangere.


Via Carducci.


Un vecchio sputa il suo malcontento per terra, mentre camminando ci incrociamo.


Nel mio stomaco un caffè naufragato ha un moto di sdegno.


Oltrepasso senza troppa empatia un piccione ramingo, due cicche, un tombino per lo scarico neve e qualche foglia secca.


Tutto attorno mi si presenta con pungente ironia la noncurante normalità di una giornata anonima fatta di rassicuranti abitudini (la scuola, il lavoro, i negozi, le commissioni...) che preme forte per tornare a fare il paio con ore lente e tutte uguali.


Quindi Corso Magenta, un tram, il marciapiede sempre più stretto di via Meravigli.


Sento crescere l’urgenza di levarmi in fretta da lì e rifugiarmi da qualche parte per riprendere un fiato che non mi ero accorta di avere rumorosamente sempre più corto.


Ora mi sento smaniare dentro il mio stesso corpo.


Cordusio, in lontananza le panche di pietra davanti alle Poste.


Mi siedo.


Socchiudo gli occhi un istante.


Ho la mente bianchissima e vuota, arsa, come una salina abbacinante sotto la canicola di ferragosto. 


Mi viene da vomitare.


Cerco di calmarmi guardando i turisti incantarsi meravigliati su angoli della città che non noto più.


Sembra tutto irreale e prossimo alla sublimazione.


Provo per un attimo la sensazione di scivolare lentamente all’indietro, sempre più all’interno della mia testa.


Chiudo e riapro gli occhi.


Davanti a me, dritta in piedi a picco sul mare, ritrovo lei sorridente e abbronzata nella sua maglietta a righe, i capelli in balia del vento.


“Fammi una foto!” , mi chiede estiva mettendo una margherita dietro l’orecchio.


Scendo dall’auto per accontentarla ma lei è già scomparsa.


“Mettiamo a letto le mie nipoti, vuoi?” dice ora dolcemente allungando una mano per cercare la mia.


Sorrido, quello è uno dei ricordi che preferisco. 


Allungo la mano per rispondere al suo tocco, chissà se lo sto facendo davvero.


Mentre sto seduta lì, uno dopo l’altro riaffiorano dal mio mangianastri spezzoni di momenti vividissimi che non sapevo di avere conservato, come se in una dimensione parallela esistessero altre due noi che all’infinito ripetono ogni nostro singolo istante.


Alzo lo sguardo e siamo in macchina al semaforo di Via Santa Sofia che cantiamo canzoni demenziali con i finestrini abbassati e l’aria di due sedicenni senza nulla da perdere.


Neanche il tempo di intonare il motivo della canzone che subito la scena si sposta a casa mia: stiamo facendo l’amore così tanto da rompere il letto!


“Sorry the flowers!” ripete ridendo facendomi il verso mentre mi scuso con il vicino per avergli ucciso la piantina in un gesto di troppo amore. 


Intanto ci rivedo fumare in piedi l’ultima paglia prima di cenare al solito tavolo che prenotiamo quando la faccenda si fa un po’ più seria, mentre da un angolo remoto della mia mente riaffiorano messaggi d’amore blu elettrico scritti a gambe incrociate usando il “grillo parlante”.


“Non ricevo!” fa lui, “riprova e controlla!”


Poco più in là stiamo litigando come se non esistesse un domani, rinfacciandoci anche storie che non abbiamo mai vissuto.


Ora, invece, ci stiamo conoscendo. 


E lì, ecco, lì ci siamo appena incontrate.


“E tu che cosa ci fai qui?” mi chiede senza nessuna timidezza una ragazza che non ho mai visto, senza sapere che con quella domanda mi ha già conquistata.


Sono così stanca, ora, che vorrei solo dormire.


Lentamente riaffiora un altro ricordo e spero sia l’ultimo.


A pochi passi dalla panchina mi vedo tornare a casa dopo una lunga assenza.


Rivedo di sfuggita il mare infrangersi sugli scogli, casa sempre più grande e assolata, lo sguardo indulgente di mia madre.


Mi vedo custodire gelosamente un segreto, il ridermi dentro nascondendomi tra le lenzuola pulite del mio letto, mentre armata di molto coraggio e dopo un profondo respiro, chiudo gli occhi e mi innamoro di lei, sprofondando il viso tra le piume dei cuscini in un momento di pura gioia.


Un’altra scena, di nuovo in treno, di nuovo Milano.


Sono le 8 del mattino e sto percorrendo a grandi passi Piazza Duca D’Aosta.


Ancora una volta per la fretta di confessarle i miei sentimenti dimentico di comprare le brioches.


Riemerge dal passato una coinquilina assonnata che mi lascia entrare in casa.


Il tempo è lentissimo, forse sta tornando indietro e io non me ne accorgo nemmeno.


Mi rivedo aprire piano la porta della sua stanza, con la testa vuota e il cuore in gola, senza quasi più gambe a sorreggermi.


 


E’ bellissima così nuda e addormentata, con il corpo liscissimo mollemente avvolto nelle lenzuola, proprio come nei film, mentre il sole del mattino inizia a farsi strada tra le assi del pavimento. 


 


Anche la ragazza nuda accanto a lei è bellissima.


 


Le guardo ancora una volta senza dire niente, pensando che siamo state tutto.


 


Quanto costa una scopata?

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https://www.gay-forum.it/topic/23719-lappuntamento/
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Molto carino.. :-) peró mi stona il titolo.. Mi sembra un pó insipido per un racconto cosi pieno di emozioni.. E così anche l'ultima frase perchè lei se ne è innamorata subito non dopo la scopata..

 

Comunque complimenti!! :-)

Mi piacerebbe anche una versione piú grezza e con un linguaggio piú scazzato e diretto (parolacce ecc).. Sarebbe interessante..

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https://www.gay-forum.it/topic/23719-lappuntamento/#findComment-668719
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@@hope_91 : grazie, che carino :) eheheh sono decisamente più segugio che altro, scrittrice direi di no ;) questo raccontino mi girava nella testa da qualche tempo, ma nulla di che proprio :)

 

@@faby91 : grazie, mi fa piacere leggere questo parere :) In realtà sono contenta che il titolo suoni insipidino rispetto al contenuto, dopotutto nella mia mente l'idea era quella di un incontro il più possibile misurato (la tizia seduta che non esprime i suoi sentimenti quando potrebbe arrivando a fingere felicità per l'altra, così come quest'ultima che parla di banalità e che le dà una notizia importante in maniera sbrigativa per togliersi subito il pensiero) da appuntamento con un grado 0 di coinvolgimento che poi cresce di intensità (solo nella testa della tizia seduta) e si esaurisce in una frase.

 

Per la versione più grezza non posso accontentarti, è un tipo di scrittura che non riesco ad adottare, ho provato qualche volta ad avere un linguaggio diverso ma non sembro io: mi devo arrendere, sono proprio da piombo sentimentale stracciapalle XD

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https://www.gay-forum.it/topic/23719-lappuntamento/#findComment-668726
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:D ahahaha! E' vero, mancano e di proposito, perché non sono poi molto importi, è una storia qualunque e non servono troppi particolari fisici. Non mi piace descrivere le persone, ho preferito dare rilievo ai pensieri. In fondo puoi comunque immaginarti quelle vie di Milano come preferisci (o cercarle su google maps!) e soprattutto puoi dare tu stesso un volto alle due ragazze (tre, considerata l'amante) ;) 

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Io il titolo non l'ho trovato stonato, alla fin fine quello fra le due protagoniste è un appuntamento, seppur non il classico e canonico "romantico".

Quindi il senso di rottura che c'è fra il titolo e le aspettative che ti vengono implicitamente suggerite e come si struttura po effettivamente si struttura la storia, lo trovo azzeccato.
Ma è gusto mio

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Smezziamo una sigaretta.

“La settimana scorsa ci siamo fidanzate” mi dice senza guardarmi e aspettandosi il peggio, poi aggiunge d’un fiato “è ufficiale” per renderlo leggermente più odioso e realistico, quindi si alza, dandomi le spalle.

Per un secondo mi attraversa l’idea di mettermi a urlare così forte da far voltare tutti i passanti, allora le sorrido più piano che posso, per mantenere un controllo che non sono sicura di avere e tutto quello che riesco a recuperare dal fondo stanco delle mie tasche è un falsissimo “mi fa davvero piacere, ti si legge in faccia che sei felice!”, per poi tornare a mordermi la lingua ad appena un passo di distanza da lei.

Mezzo minuto di traffico e comparse.

“Conosci la differenza tra un fiammifero e una candela?” mi chiede tornando di colpo dai suoi pensieri, facendomi cadere dalle mani due o tre frasi di circostanza che stavo raccogliendo sentendo più vicino il momento di salutarci.

Mi sfugge un “no” molto poco intelligente e subito capisco dove vuole andare a parare.

“Contrariamente alla candela che brucia lentamente,” mi spiega, “un fiammifero si esaurisce subito”.

Pausa.

“Noi siamo state solo un fiammifero”. 

Ed è lapidaria e sorridente proprio come la ricordavo, mentre mi osserva sgretolare davanti ai suoi occhi senza battere ciglio.

Cercando di essere il più discreta possibile lancia uno sguardo all’orologio accanto a noi e per una volta è un sollievo sapere che è ora di andare, così ho il tempo di ricomporre almeno la facciata: ai cocci ci penserò più tardi.

“Non vedo l’ora di arrivare a casa e fare una doccia prima di uscire”, afferma per riempire uno spazio vuoto o per crearne uno nuovo.

Io annuisco pensando che non me ne frega niente.

Esci con lei? Ma non glielo chiedo.

Vorrei invece intervistare un osservatore esterno e chiedergli del nostro amore.

“Mi scusi” gli direi, “lei lo percepisce ancora?” 

Cosa penserebbe di noi un passante? 

Saprebbe leggere il linguaggio segreto dei nostri corpi? 

Ci troverebbero ancora abbracciate e nude oltre la spessa coltre di silenzi e parole taglienti sotto la quale ci siamo seppellite?  

Ci avviciniamo, sorride.

Metto nel personalissimo registratore della mia mente un nastro vuoto e premo REC più in fretta che posso per non perdermi neanche un ultimo particolare di quel momento, la ruvidità della giacca, il braccio accogliente, la familiarità della sua pelle morbida nell’incavo caldo del collo, quel suo profumo.

STOP.

Le scale della metropolitana ci dividono al rallentatore e la lascio andare via con un banalissimo “ciao” che non ricorderà nemmeno. 

Tornando sui miei passi, mentre metto sempre più distanza tra di noi, ecco farsi strada a ondate una sensazione di squallida desolazione, come a festa finita, quando tutti gli invitati se ne sono andati e non restano che bicchierini di carta mezzi vuoti e accasciati con i nomi propri scritti male a pennarello e gli avanzi dei salatini sul tavolo.

Mi viene da piangere.

Via Carducci.

Un vecchio sputa il suo malcontento per terra, mentre camminando ci incrociamo.

Nel mio stomaco un caffè naufragato ha un moto di sdegno.

Oltrepasso senza troppa empatia un piccione ramingo, due cicche, un tombino per lo scarico neve e qualche foglia secca.

Tutto attorno mi si presenta con pungente ironia la noncurante normalità di una giornata anonima fatta di rassicuranti abitudini (la scuola, il lavoro, i negozi, le commissioni...) che preme forte per tornare a fare il paio con ore lente e tutte uguali.

Quindi Corso Magenta, un tram, il marciapiede sempre più stretto di via Meravigli.

Sento crescere l’urgenza di levarmi in fretta da lì e rifugiarmi da qualche parte per riprendere un fiato che non mi ero accorta di avere rumorosamente sempre più corto.

Ora mi sento smaniare dentro il mio stesso corpo.

Cordusio, in lontananza le panche di pietra davanti alle Poste.

Mi siedo.

Socchiudo gli occhi un istante.

Ho la mente bianchissima e vuota, arsa, come una salina abbacinante sotto la canicola di ferragosto. 

Mi viene da vomitare.

Cerco di calmarmi guardando i turisti incantarsi meravigliati su angoli della città che non noto più.

Sembra tutto irreale e prossimo alla sublimazione.

Provo per un attimo la sensazione di scivolare lentamente all’indietro, sempre più all’interno della mia testa.

Chiudo e riapro gli occhi.

Davanti a me, dritta in piedi a picco sul mare, ritrovo lei sorridente e abbronzata nella sua maglietta a righe, i capelli in balia del vento.

“Fammi una foto!” , mi chiede estiva mettendo una margherita dietro l’orecchio.

Scendo dall’auto per accontentarla ma lei è già scomparsa.

“Mettiamo a letto le mie nipoti, vuoi?” dice ora dolcemente allungando una mano per cercare la mia.

Sorrido, quello è uno dei ricordi che preferisco. 

Allungo la mano per rispondere al suo tocco, chissà se lo sto facendo davvero.

Mentre sto seduta lì, uno dopo l’altro riaffiorano dal mio mangianastri spezzoni di momenti vividissimi che non sapevo di avere conservato, come se in una dimensione parallela esistessero altre due noi che all’infinito ripetono ogni nostro singolo istante.

Alzo lo sguardo e siamo in macchina al semaforo di Via Santa Sofia che cantiamo canzoni demenziali con i finestrini abbassati e l’aria di due sedicenni senza nulla da perdere.

Neanche il tempo di intonare il motivo della canzone che subito la scena si sposta a casa mia: stiamo facendo l’amore così tanto da rompere il letto!

“Sorry the flowers!” ripete ridendo facendomi il verso mentre mi scuso con il vicino per avergli ucciso la piantina in un gesto di troppo amore. 

Intanto ci rivedo fumare in piedi l’ultima paglia prima di cenare al solito tavolo che prenotiamo quando la faccenda si fa un po’ più seria, mentre da un angolo remoto della mia mente riaffiorano messaggi d’amore blu elettrico scritti a gambe incrociate usando il “grillo parlante”.

“Non ricevo!” fa lui, “riprova e controlla!”

Poco più in là stiamo litigando come se non esistesse un domani, rinfacciandoci anche storie che non abbiamo mai vissuto.

Ora, invece, ci stiamo conoscendo. 

E lì, ecco, lì ci siamo appena incontrate.

“E tu che cosa ci fai qui?” mi chiede senza nessuna timidezza una ragazza che non ho mai visto, senza sapere che con quella domanda mi ha già conquistata.

Sono così stanca, ora, che vorrei solo dormire.

Lentamente riaffiora un altro ricordo e spero sia l’ultimo.

A pochi passi dalla panchina mi vedo tornare a casa dopo una lunga assenza.

Rivedo di sfuggita il mare infrangersi sugli scogli, casa sempre più grande e assolata, lo sguardo indulgente di mia madre.

Mi vedo custodire gelosamente un segreto, il ridermi dentro nascondendomi tra le lenzuola pulite del mio letto, mentre armata di molto coraggio e dopo un profondo respiro, chiudo gli occhi e mi innamoro di lei, sprofondando il viso tra le piume dei cuscini in un momento di pura gioia.

Un’altra scena, di nuovo in treno, di nuovo Milano.

Sono le 8 del mattino e sto percorrendo a grandi passi Piazza Duca D’Aosta.

Ancora una volta per la fretta di confessarle i miei sentimenti dimentico di comprare le brioches.

Riemerge dal passato una coinquilina assonnata che mi lascia entrare in casa.

Il tempo è lentissimo, forse sta tornando indietro e io non me ne accorgo nemmeno.

Mi rivedo aprire piano la porta della sua stanza, con la testa vuota e il cuore in gola, senza quasi più gambe a sorreggermi.

 

E’ bellissima così nuda e addormentata, con il corpo liscissimo mollemente avvolto nelle lenzuola, proprio come nei film, mentre il sole del mattino inizia a farsi strada tra le assi del pavimento. 

 

Anche la ragazza nuda accanto a lei è bellissima.

 

Le guardo ancora una volta senza dire niente, pensando che siamo state tutto.

 

Quanto costa una scopata?

 

Bellissimo...Sono nuova del sito e non avevo capito che era un racconto...l'ho letto vivendolo...ora Milano..può avere un altro colore....oltre al grigio delle nuvole! 

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https://www.gay-forum.it/topic/23719-lappuntamento/#findComment-669687
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  • 2 weeks later...
  • 2 months later...
  • 4 weeks later...

L'ho letto tutto d'un fiato.
Adoro quei racconti che ti danno emozioni senza legarle ad un luogo specifico, in fondo le strade potrebbero essere quelle di Roma, di Genova, di qualsiasi posto, potrebbero anche essere le piazzette in mattone e pietra, medievali, di Pescasseroli, per dire. Quegli anfratti con l'edera che sale sui muri di prepotenza, oppure il mio quartiere di cemento e poca peculiarità.

I luoghi non sono tutto, ed è per questo che è bello, è rapido, scorre, emozionante, sembra come leggersi le prime pagine di Livingston.

Veramente bello.
Complimenti.

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... eh, secondo mio cugino una scopata con una mignotta costa sempre meno ... filosofia etero  :roulette:

 

Scherzi a parte, veramente un bel racconto. Nonostante la brevità, sei riuscita a infilarci dentro una storia intera. I flashback diventano metafore che riassumono paginate di romanzo ... io non ci riuscirei mai, ti invidio moltissimo! Nella scorrevolezza si sente il paziente lavoro del cesello ... anzi, non si sente per niente, il che lo rende un lavoro davvero pregevole. 

 

Beh, leggendo viene subito in mente Virginia Woolf. All'inizio mi hai ricordato un racconto breve della mitica, ma non mi ricordo il titolo ... e forse manco l'aveva ... un raccontino che narra l'incontro di due possibili innamorati che però a malapena si parleranno ... poi, mentre si snodano le strade con i loro marciapiedi e le atmosfere che ispirano e allo stesso tempo distraggono il flusso di pensiero, e mbè ... Mrs Dalloway! Ma non il romanzo, la Mrs Dalloway in dowing street. il racconto. Sul finire, invece, con i riferimenti al mare ... Gita al faro, ovviamente. 

 

Insomma ... bello, bello ... se proprio dovessi trovarci un difettuccio ... la battuta finale stona. "Quanto costa una scopata" dopo cotanta beltade, stride un po' con il resto del registro lessicale. Per il vero, anche quando usi il termine "paglia" per sigaretta, già stona un pochino. Ma si tratta di una tua scelta, spero solo che tu non lo abbia fatto per alleggerire quanto ti sembrava troppo serioso o pesante o aulico ... perché ti assicuro che non è niente di tutto ciò, Ripeto, proprio un bel racconto e se vivessimo in america ti consiglierei di spedirlo a qualche rivista letteraria ... mi piange il cuore ogni volta che leggo qualcosa che vale e penso che rimarrà chiusa in un cassetto ... 

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  • 3 weeks later...

@Silverselfer : quando ho letto il tuo commento sono rimasta di stucco, veramente! Grazie per questi paragoni letterari, immeritatissimi! (E, sì, mi vergogno, ma della Woolf non ho mai letto nulla... Inizierò dai titoli che hai citato!) 

I termini più colloquiali (paglia, su tutti, ma anche intere frasi come "sorry the flowers") sono stati una scelta voluta, forse stonata, ma specchio fedele di parole dette realmente, in quegli stessi contesti, una sorta di lessico (ormai) famigliare.

"Quanto costa una scopata" soprattutto descrive con parole non esattamente auliche lo shock di un tradimento dopo, appunto, "cotanta beltade"  :ghgh:

Rileggendo a distanza di qualche mese questo racconto, ci sono molte cose che cambierei (non sono mai contenta  :asd: ), eviterei alcune ripetizioni, alcuni passaggi proverei a scriverli con più attenzione.

In ogni caso non mi aspettavo tanti commenti così gentili, grazie!

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