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L'Africa sarà la Cina del futuro?


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L'Africa presenta oggi una reale opportunità d'investimento e le prospettive di crescita a breve termine sono ben migliori che per il resto del mondo; quanto alle prospettive di crescita nel lungo periodo, queste sono persino migliori che per alcuni grandi paesi emergenti, afferma uno studio diffuso a Parigi dal centro studi del gruppo bancario Natixis.

 

L'analisi prende l'insieme del continente africano, in altri tempi sconvolto da atroci catastrofi, come le malattie e le guerre civili. Ambedue questi fenomeni esistono ancora ma fanno meno paura di prima dopo i calvari e travagli che il continente ha attraversato con l'indipendenza politica dall'Occidente tra gli anni '50 e '70. Il dato che colpisce è l'impressionante andamento demografico del Continente Nero, che si appresta a diventare adulto sia come produttore sia come grande mercato internazionale. 

Dopo aver notato che il continente africano si sviluppa rapidamente da ormai più di un decennio, il rapporto esprime la convinzione che ormai l'Africa, nel suo insieme, possa essere annoverata tra le aree economicamente più compromettenti del pianeta, anche se esistono enormi squilibri tra le varie parti che la compongono. Proprio questa è una scommessa fondamentale: La crescita deve diventare più omogenea e meno dipendente dalle esportazioni di materie prime, afferma il rapporto del prestigioso centro studi francese. Un altro handicap è costituito dal basso livello di commercio tra paesi africani, che continuano a subire le conseguenze di un vecchio sistema coloniale basato sull'export-import con paesi lontani piuttosto che sull'interscambio tra Stati vicini e magari confinanti. Per ottenere questo scopo è indispensabile il miglioramento di tutte le infrastrutture, ciò impone all'Africa un particolare sforzo per attrarre investimenti esterni.

In un rapporto intriso d'ottimismo, il centro Natixis individua quattro pericoli fondamentali. Il primo rischio è che in un'economia ancora molto dipendente dall'export delle materie prime, il prezzo di queste ultimi sui mercati internazionali sia nei prossimi anni troppo basso.

Il secondo rischio consiste nel possibile calo d'interesse dei BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) per l'economia africana, che si tradurrebbe in una diminuzione degli investimenti esterni. Questo pericolo dipende dalla situazione attuale interna (politico-economica) dei BRIC, costretti a misurarsi con problemi che potrebbero distoglierli dalle avventure internazionali. Il terzo rischio è la possibile perdita di competitività, dovuta all'apprezzamento delle valute africane. Il quarto rischio è sotto gli occhi di tutti: il ritorno di un'accesa instabilità politica. Il caso egiziano provoca più di un punto interrogativo negli ambienti finanziari internazionali. Ma secondo il centro Natixis questi quattro rischi possono trasformarsi in altrettante ragioni per aiutare l'Africa, consentendole di diventare un fattore di stabilità globale. Il caso egiziano è emblematico: il resto del mondo ha tutto l'interesse di impedire che uno dei maggiori paesi arabi sia lacerato da una guerra civile dalle conseguenze imprevedibili.

L'Egitto è al secondo posto, alle spalle del Sudafrica, nella graduatoria dei paesi del continente sulla base del prodotto interno lordo (PIL). Al terzo posto c'è la Nigeria. Oggi questi tre paesi determinano ampiamente il destino della ricchezza e della stabilità dell'Africa, si trovano ad un bivio: la scomparsa di Mandela, simbolo vivente della riconciliazione sudafricana, il dopo-Morsi al Cairo, e infine l'attività dell'estremismo islamico in Nigeria. Vengono poi in ordine decrescente per la ricchezza annualmente prodotta l'Algeria, il Marocco, l'Angola, la Tunisia e l'Etiopia. Questi otto Stati producono il 72% del PIL africano. Altri paesi africani dispongono di un PIL poco rilevante a causa sia della loro tradizionale povertà, sia delle loro modeste dimensioni geografiche e demografiche.

In effetti il continente resta molto frammentato, e questa non è che una delle molte conseguenze del periodo coloniale. Per rendersene conto basta pensare all'incastro tra i territori del Senegal e Gambia. La frammentazione africana non deriva tanto dall'esistenza di 57 paesi, quanto da 2.100 lingue regolarmente parlate, di 48 valute e otto sistemi di cooperazione internazionale che esistono uno accanto all'altro, con la speranza di trasformarsi in autentiche comunità economiche.

 

A fronte delle perplessità, ci sono le realtà e le potenzialità. Una realtà è senza dubbio l'immensa ricchezza di risorse naturali del suolo e del sottosuolo. L'Africa ha per esempio il 57% delle riserve mondiali di cobalto, il 53% delle riserve diamantifere. La potenzialità sta nel fattore umano: nella prima metà di questo secolo la popolazione africana in età di lavoro passerà da 400 milioni a 1 miliardo e 400 milioni. Nello stesso periodo le analoghe cifre per l'Europa e per altri continenti mostrano una sostanziale stagnazione. L'Africa è un terreno straordinario per un potenziale sviluppo. 

 

Credo che l'Africa magari alla fine di questo secolo, con le innovazioni e un progresso rapido globale si assesterà ad uno standard socio-economico simile a quello occidentale. Ovviamente sono ipotesi e solo previsioni, una buona fetta di povertà assoluta del mondo è in Africa centrale e non è un fattore rimovibile in pochi decenni, credo che però questo centro Natixis lo sappia. Voi credete che l'Africa alla fine di questo secolo sarà un continente più progredito, stabile e "ricco"?

Edited by Rotwang
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PietroUomoDiPietra

Non penso che l'Africa, spontaneamente, riuscirà ad essere qualcosa di più... che Africa per il resto del secolo (per quelli dopo nessuno può dre... ma nessuno può dire nemmeno per il resto del mondo!). Per diventare un'altra Cina gli manca  un'ingrediente fondamentale: essere  un solo Stato (o almeno una solida federazione di Stati) e avere di conseguenza un unico gruppo dirigente. La Cina di oggi esiste perché un preciso gruppo di potere (il partito comunista cinese) ha voluto che esistesse. E lo stesso, con approcci e problemi diversi, vale anche per quasi tutti i paesi asiatici che nell'ultimo secolo sono emersi come potenze economiche (a cominciare dal Giappone). In Africa non esiste a tutt'oggi niente di simile che si proponga di realizzare degli obiettivi e si coordini per raggiungerli e di questo, secondo me, a meno di non dare l'avvio a queste trasformazioni con stimoli COMPLETAMENTE esterni (cioè, tecnicamente, con un nuovo colonialismo), non se ne parlerà fino ad almeno oltre la metà di questo secolo.

La risposta è No. In sintesi, posso dirti che l'Africa presa interamente non può essere neppure considerato un continente in via di sviluppo. l problemi centrali sono principalmente due:

 

1) Differenziazioni culturali-economiche tra i vari territori. Basti pensare che alcuni territori avendo avuto influenze arabe-europee (per quest'ultimo, previa colonialismo, poi evolutosi in imperialismo) sono riusciti a conoscere un'economia medievale-moderna nonché il popolo, che è riuscito a prendere coscienza dello spirito nazionalistico, importantissimo e indispensabile per la crescita del singolo territorio ma anche per la creazione di una Nazione, poi di uno Stato (le due definizioni spesso vengono confuse e resi sinonimi). Mentre, invece, quella che noi tutti conosciamo, cioè l'Africa Nera, è caratterizzata praticamente da una piena vitalità delle tradizioni tribali. Queste zone non conoscono neppure la moneta. Hanno ancora una base economica-politica primitiva.

 

2) Sarà strano. Ma quello che impedisce la crescita è proprio la tradizione tribale di alcuni territori. Perché non solo in un singolo territorio vi sono più tribù spesso in guerra tra loro, ma ci sono vari territori che spesso entrano in conflitto per ragioni propriamente tribali (mi viene in mente il Burundi e Ruanda che han scatenato proprio un conflitto poi degenerato in un genocidio, oppure del Congo). Tuttavia, in alcuni casi, quando un singolo territorio non ha di questo problema, ossia di più tradizioni tribali, il popolo può avere la possibilità di rendersi coscienze del proprio spirito nazionalistico (vedi la storia del Kenya).

 

Ce ne sarebbero altri motivi ma questi sono i principali (tipo la questione anche palestinese, che non è mica da dimenticare). Aggiungo solo che un neocolonialismo, in senso di una ripresa di una politica espansionistica, sarebbe impossibile. Dal 1945 le politiche espansionistiche sono finite e regolate da trattati nazionalistici (parlo del colonialismo generato dai paesi più sviluppati). E seppure accadesse il primo equilibrio a cadere sarebbe la deterrenza nucleare (che porterebbe alla terza guerra mondiale). Il perché non può esserci un neocolonialismo? Riprendo le parole di un grande rivoltosi agli USA del Novecento, Carnage: per ottenere prestigio internazionale e soprattutto egemonia nei confronti degli altri paesi, gli USA non devono civilizzare alcuna popolazione indigena bensì ottenere il proprio potere imperialistico basandolo sull'economia e sull'industria (non a caso si parla di neoimperialismo).

Potremo, quindi, parlare di un colonialismo con dipendenza economica-industriale (adesso mi sfugge la terminologia esatta, ma è quel rapporto che oggi l'Inghilterra ha con l'India). Ma non c'è alcun interesse ad attuarlo nei territori africani proprio a causa del primo punto sopracitato.

 

Questo per fartela breve. Ci sarebbe da discuterne parecchio (tra cui anche di una politica demografica troppo faticosa da attuare)  :D

Edited by Ferdydurke

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