bastian Posted February 14, 2014 Share Posted February 14, 2014 Però, se posso concedermi una punta di fioretto, Bastian in questo specifico caso c'entra anche la scienza. ... ma certo certo certo, mannaggia a me: ho dimenticato un "ANCHE". (il dibattito coinvolge ANCHE l'etica, la morale, la filosofia). Dio ci ha donato gli animali perché noi potessimo sostentarcene e per poterne disporne come nostro ausilio. Per noi cattolici gli animali non sono senzienti, sono involucri vuoti, la cui esistenza non può essere considerata rilevante. E' sempre stato così e così sarà. Che Dio li benedica! Questo ragazzo sta bene? che dio lo benedica! Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
FreakyFred Posted February 14, 2014 Share Posted February 14, 2014 (edited) Sei troppo presuntuoso per capire di cosa si parla quando si parla di etica sai Divertiti pure col tuo abitudinario Hume. (...) A distanza di un quarto d'ora sento di dover modificare questa risposta e specificare che: non ce l'ho con te (anche se le tue risposte traboccano dell'entusiasmo tipico dello scolaretto), ma anche se non c'entra un cazzo cogli animali non puoi venirmi a dire che le uniche due posizioni etiche sostenibili sono il kantismo e l'utilitarismo...prometto di non intervenire più, e di non leggere tue eventuali repliche, ché lo so ti sfogherai ancora per dar prova di essere il primo della classe. Dire "non leggo" è vecchia. Alla fine si leggerà, lo sappiamo benissimo. E altrettanto bene sappiamo entrambi che a me interessa, come sempre, dimostrare il teorema, risolvere il puzzle. Non mi interessano i complimenti di schopy, che invece ci tiene eccome ad essere il primo della classe e infatti ha una evidente passione per il contraddirmi e marcare il territorio filosofico :P Disgraziatamente tutto ciò non mi interessa perché non mi aiuta a risolvere il puzzle. E ovviamente se non si è colto che utilitarismo (a meno di usare il termine in modo completamente nuovo) e kantismo sono alla sostanza la stessa cosa vuol dire che non si è capito cosa sto dicendo. E pur non avendolo capito, si sente il bisogno di contestare... Questo non aggiunge pezzi al puzzle, e non ho niente da impararne, Isher, mi spiace :) Il mio profilo psicologico INTJ mi quadra anche qui a meraviglia: gli INTJ possono sembrare dogmatici o presuntuosi. E' diverso: hanno svolto un processo logico che ha portato a solidi risultati, e non ammettiamo che un solido processo logico e dei solidi risultati possano essere anche solo sfiorati da argomenti o processi che non abbiano la stessa assoluta solidità. Tutto cadrà alla prima critica SERIA. Tutto sarà perfezionato al primo contributo SERIO. Al contempo il primissimo attacco ad personam, essendo il simbolo primo di una mancanza di argomenti logici solidi, mi farà perdere la stima di chi ho davanti. Ciò detto, ammetto senza problemi che io la critica di Isher non l'ho capita. "Dover essere"... usatissima, la parola dovere. Ma poi che vuol dire di reale? E' diversa da uno di quei termini immaginari tipo "onnipotenza"? E' diversa da "triangolo con quattro lati"? C'è qualcosa nel mondo fisico o delle idee cui essa si riferisce? Sì, si riferisce a più cose, non c'è dubbio. Si riferisce a un senso psicologico; il dovere come ciò che stimola la voce della coscienza. Si riferisce ad un altro senso psicologico, quello del biasimo. Si riferisce ad un rapporto eteronomo di necessità fra azioni e risultati. Si riferisce ad una costrizione esterna. Si riferisce, ultima analisi, ad una legge. Se c'è una legge riconosciuta, sono costretto ad obbedirvi, mi sento in colpa a non obbedirvi, biasimo chi vi disubbidisce. Abbiamo dunque una serie di elementi pragmatici che fanno il dover essere. Almeno uno di questi deve esserci perché anche solo si possa nominare il dover essere. Se poi dobbiamo discuterne, ovvero farne una dialettica, devono esserci tutti. Potremmo anche dire che "i pianeti dovrebbero ballare la Macarena". Vuol dire che biasimiamo i pianeti se non lo fanno, o che nei loro panni ci sentiremmo in colpa a non farlo, o che vogliamo costringerli? Privato di tutte queste caratterizzazioni fisiche, e ribadisco pratiche, le norme morali sono prive di significato. Dire "i pianeti dovrebbero ballare la Macarena" è esattamente insensato come suona. Dover essere descrive una serie di atteggiamenti e comportamenti, prima di tutto dobbiamo capire cosa descrive, se no non arriviamo da nessuna parte, resta una locuzione vuota. Certo, tutti vanno a descrivere poi cosa dovrebbe voler significare, ma mai a definire in termini più immediati. Se non si riconduce a qualcosa che sperimento, allora non esiste. Dovere è posteriore a legge, viene a traino, non la trascina; è la determinazione pratica che produce una teoria a sostegno, come sempre. Diciamolo, in un certo senso è vero, io non sento il bisogno dell'etica. O meglio, non sento il bisogno della MORALE. Non sento il bisogno di leggi universali che trascendano la prassi. Quello che diceva Greed89, per esempio, è esattamente ciò che contesto: c'è un problema etico separato da quello politico, da quello di salute pubblica, da quello di convenienza. E dopo che hai tolto tutto ciò che cosa è rimasto al problema? Nulla. E' un problema vuoto, un dover essere vuoto, parole che non significano niente, "diritti" e "doveri" che spuntano fuori dal discorso come funghi e per quanto mi riguarda non vedo davvero la differenza con quelli letti sulla Bibbia. Al punto, addirittura, che non si dovrebbe... Ma lo facciamo! Che è ingiusto... ma va fatto! Cioè che è giusto, ma in realtà è ingiusto, e viceversa. Così diventa la fiera del paradosso. Isher mi prende un bel problema pratico, "cosa devo fare per ottenere ciò che mi fa bene", e mi chiede di essere più astratto, di richiamarmi al "dover essere". Ma Isher, lo sai quanto ci ho messo per prendere quel concetto vuoto che è il dover essere e rifare il percorso al contrario per capire a quali cose reali e pratiche si riferiva originariamente? Mi stai dicendo di smontare tutto il lavoro intellettuale di cui vado più fiero: ho spiegato cos'è il dover essere fisicamente, l'ho ridotto alla sua base ultima e adesso volendo posso dedurlo tutto da zero dato un qualsiasi set di condizioni fisiche di partenza; ora potrei immaginare un dover essere come andrebbe strutturandosi in un mondo animato da batteri senzienti o da cubi di silicio dotati di pensiero o da piante animate kamikaze che esplodono quando scopano... Io voglio arrivarci al dover essere, non partirne, a partire da ipotetici astratti principi di dover essere tirati fuori dal cappello sono bravi tutti. La sperimentazione animale serve per fare delle cose. Queste cose servono all'uomo? Che obbiettivi gli permettono di raggiungere? Siamo disposti ad imporre a tutti gli uomini di rinunciare a questi obbiettivi? Ci sentiremmo sereni dopo averlo fatto? E, soprattutto, gli altri uomini se ne staranno buoni e zitti mentre noi mutiliamo le loro vite di una possibilità così importante? Tutti questi problemi pratici sono, interamente, la questione etica. Non c'è una questione altra, più astratta e generale, rispetto a questi problemi; non c'è una questioni di animali che hanno o non hanno un diritto intrinseco alla vita, c'è solo la questione "che ne vogliamo fare, tutto considerato?" Edited February 14, 2014 by FreakyFred Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
schopy Posted February 14, 2014 Share Posted February 14, 2014 La sperimentazione animale serve per fare delle cose. Queste cose servono all'uomo? Che obbiettivi gli permettono di raggiungere? Siamo disposti ad imporre a tutti gli uomini di rinunciare a questi obbiettivi? Ci sentiremmo sereni dopo averlo fatto? E, soprattutto, gli altri uomini se ne staranno buoni e zitti mentre noi mutiliamo le loro vite di una possibilità così importante? Tutti questi problemi pratici sono, interamente, la questione etica. Non c'è una questione altra, più astratta e generale, rispetto a questi problemi; non c'è una questioni di animali che hanno o non hanno un diritto intrinseco alla vita, c'è solo la questione "che ne vogliamo fare, tutto considerato?" Ma se questo non è utilitarismo che cos'è??? Se queste domande retoriche condensano la tua posizione, pare davvero che tu tratti gli animali alla stregua di oggetti. E se questo non è "specismo", anche piuttosto duro, che cos'è? Perché nelle questioni che tu sollevi è implicita una netta preferenza per il benessere di una specie -la nostra- a discapito di tutte le altre. Posso anche condividere la tua posizione ma, prendine atto, si tratta di una tesi specista e utilitarista. Dover essere descrive una serie di atteggiamenti e comportamenti, prima di tutto dobbiamo capire cosa descrive, se no non arriviamo da nessuna parte, resta una locuzione vuota. Certo, tutti vanno a descrivere poi cosa dovrebbe voler significare, ma mai a definire in termini più immediati. Se non si riconduce a qualcosa che sperimento, allora non esiste. Dovere è posteriore a legge, viene a traino, non la trascina; è la determinazione pratica che produce una teoria a sostegno, come sempre. Diciamolo, in un certo senso è vero, io non sento il bisogno dell'etica. O meglio, non sento il bisogno della MORALE. Non sento il bisogno di leggi universali che trascendano la prassi. Quello che diceva Greed89, per esempio, è esattamente ciò che contesto: c'è un problema etico separato da quello politico, da quello di salute pubblica, da quello di convenienza. E dopo che hai tolto tutto ciò che cosa è rimasto al problema? Nulla. E' un problema vuoto, un dover essere vuoto, parole che non significano niente, "diritti" e "doveri" che spuntano fuori dal discorso come funghi e per quanto mi riguarda non vedo davvero la differenza con quelli letti sulla Bibbia. Al punto, addirittura, che non si dovrebbe... Ma lo facciamo! Che è ingiusto... ma va fatto! Cioè che è giusto, ma in realtà è ingiusto, e viceversa. Così diventa la fiera del paradosso. E' tutto più semplice di come la fai tu. Il dover essere non descrive, casomai prescrive. Non credo occorrano leggi universali "che trascendono la prassi" per farsi una propria morale...d'altro canto tu confondi a più riprese gli aspetti descrittivi e quelli prescrittivi della riflessione etica. Se ci sia un problema etico riguardo gli animali "separato" da quello della salute pubblica, della convivenza, concerne esattamente i diritti che noi, in quanto specie "dominante", decidiamo di conferire ad altre specie; visto che, sebbene in forme diverse, conviviamo non solo tra noi ma anche con loro. Credo che nemmeno chi ha stilato la carta dei "diritti degli animali" si sogni di attribuire loro delle "prescrizioni"...tenta piuttosto di attribuire alla nostra specie dei limiti, dei veti, affinché garantiamo un certo tipo di rispetto a forme di vita non umane. Mi stai dicendo di smontare tutto il lavoro intellettuale di cui vado più fiero: ho spiegato cos'è il dover essere fisicamente, l'ho ridotto alla sua base ultima e adesso volendo posso dedurlo tutto da zero dato un qualsiasi set di condizioni fisiche di partenza; ora potrei immaginare un dover essere come andrebbe strutturandosi in un mondo animato da batteri senzienti o da cubi di silicio dotati di pensiero o da piante animate kamikaze che esplodono quando scopano... Io voglio arrivarci al dover essere, non partirne, a partire da ipotetici astratti principi di dover essere tirati fuori dal cappello sono bravi tutti. Non si può spiegare cos'è il "dover essere" fisicamente, proprio perché è una nozione che non riguarda affatto il mondo fisico... Kant mica pretendeva di ordinare al cosmo come comportarsi. Alla fine freaky sai cosa mi spaventa di tutta la tua argomentazione? Che, a quanto emerge, per te esistono pochi, pochissimi modi sensati per relazionarsi al mondo e agli altri...fondamentalmente, i tuoi. Di cui non riconosci nemmeno la parzialità. Ho letto e replicato perché sì, hai ragione tu, quando prometto di non replicare poi leggo delle cose che fan sì che io me la prenda....e fondamentalmente ho un sacco di tempo libero per cazzeggiare qui sul forum. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
FreakyFred Posted February 14, 2014 Share Posted February 14, 2014 (edited) L'utilitarismo è, almeno nel gergo filosofico, poi non so se tu usi invece il linguaggio comune (che peraltro attribuisce tipicamente al termine una funzione dispregiativa), la dottrina etica secondo la quale il giusto è ciò che produce la maggior felicità e il minor dolore degli esseri senzienti. Quello di Bentham, per intenderci, e in tempi più moderni di Singer. Si differenzia dal kantismo perché non pone l'accento sulla razionalità degli agenti né sugli aspetti formali della norma. Tuttavia quello che in effetti fa è ridurre tutte le norme ad una sola norma universale, la prescrizione di aumentare la felicità complessiva. Ti ho già detto cosa ne penso della parola "specismo": è una parola creata appositamente per sostenere l'antispecismo; prima è nata la parola antispecismo, poi è stato creato l'uomo di paglia dello specismo. Non riconosco valore a quella parola come viene portata avanti dagli antispecisti, che di solito sono gli unici ad usarla, anche perché neanche loro hanno le idee chiare ed univoche su cosa significhi. Ma visto che ormai il termine lo hanno creato, io lo posso usare a modo mio come tutti i vari filosofi lo usano a modo proprio: intendiamolo come un pregiudizio morale basato esclusivamente sulla differenza di specie. Il mio non lo è, perché non si basa sulla differenza di specie ma sulla differenza pragmatica che intercorre fra uomini ed animali rispetto alla capacità di accordarsi su norme di vita in comune. La specie, questo sfugge agli antispecisti, è un criterio di comodo, vantaggioso per la facilità con cui se ne individuano i confini e dunque con cui si applica il criterio (non esistono scimpanzuomini rattumani: esistono scimpanzè e ratti e nessuno può confonderli con uomini) e per la fortissima sovrapponibilità con i criteri che contano davvero, ma sono di più complessa applicazione. Gli antispecisti criticano l'uso della specie come confine definitorio, e hanno gioco facile a dimostrare che di per sé non ci dice tantissimo (tramite l'argomento dei casi marginali). Ma è lo stesso che mettersi a dire che "un'età minima di 18 anni per avere la patente non ha senso perché c'è gente che sa guidare anche prima e gente che non sa guidare neanche dopo". Non è che i 18 anni abbiano in sé qualcosa di magico per cui appena li compi diventi in grado di guidare, sono solo un confine convenzionale, facilissimo da individuare ed applicare, che rimanda a quegli aspetti di maturità personale che crescono con l'età è che sono presupposti per poter portare una macchina. E' tutto più semplice di come la fai tu. Il dover essere non descrive, casomai prescrive. E qual è la differenza? E' sempre un esposizione di contenuti con determinate connotazioni che possiamo individuare e sperimentare nella vita di tutti i giorni. Anche qui si gira intorno ai termini, senza arrivare ad un'impressione "prima". Prescrivere vuol dire imporre un dovere, e imporre un dovere significa prescrivere; sì è il contrario del no, no è il contrario del sì... ancora non abbiamo idea di cosa stiamo parlando. Non si può spiegare cos'è il "dover essere" fisicamente, proprio perché è una nozione che non riguarda affatto il mondo fisico... Vorrebbe dire che non esiste, che è una fantasia. Ma non ti seguirò su questa strada neanche per assurdo, perché esiste eccome, ha determinazioni pratiche ben precise. Sicuramente non c'è nessun "dover essere" metafisico, ma c'è eccome un dover essere pragmatico e derivato. Il punto che ti sfugge è proprio quello: come tutte le proposizioni, anche quelle morali hanno contenuti e sono dunque descrittive di fatti del mondo. Bisogna solo capire quali fatti sono descritti. I fatti descritti sono le relazioni di necessità fra comportamenti e risultati desiderabili. Per questo Isher dice che non posso distinguere la mia etica da economia, diritto e politica... ha ragione. Il mio punto è proprio questo: non esiste affatto una questione etica separata, trascendente e in generale più astratta e generale rispetto all'insieme delle questioni economiche, di diritto, di salute pubblica, di politica, di psicologia, eccetera eccetera. La questione se gli animali abbiano diritti, o anche se gli umani abbiano dei diritti, è una questione che così posta è sbagliata, perché prima di tutto i diritti si creano e non ci sono; dunque si pone semmai la questione dell'opportunità di creare questi diritti, con gli annessi sistemi retributivi e sanzionatori. Quest'opportunità sarà valutata tenendo conto di tutti gli argomenti portati in gioco: che si riassumono in "ci conviene farlo?" Che è una considerazione in realtà di ampiezza straordinaria, tutt'altro che una visione ristretta o "utilitaristica" in senso spregiativo: "mi conviene farlo" implica, certo, anche i vantaggi materiali, ma anche che conserva buoni rapporti con gli altri membri della società e che mi fa stare bene con me stesso dal punto di vista emotivo, il che rimanda ancora a questioni infinitamente più vaste di sociologia, psicologia, eudaimonologia. L'idea comune, che passa anche negli scritti di vari contrattualisti, è invece quella kantiana dell'autonomia assoluta della morale. Quello che appunto scrivevano greed89 e Bastian: ci sono tutte le questioni pratiche, ma l'etica è un'altra cosa, va discussa indipendentemente, trascende tutti gli aspetti pratici, e se anche tutte le questioni di convenienze ci spingessero verso una soluzione A, l'etica comunque potrebbe spingerci verso B. Addirittura personaggi come Singer vedono nel "disinteresse", ovvero nell'annullamento totale degli interessi personali, l'essenza stessa dell'etica (e non mi devo permettere di dire che è eredità cristiana...). Singer usa "egoista" come sinonimo di "cattivo"; nel linguaggio comune, con tutte le sue ambiguità, la persona chiamata egoista è una persona stronza che tutti biasimiamo ed odiamo perché interessata stupidamente e dannosamente solo a se stessa, ma un filosofo morale non dovrebbe permettersi ambiguità linguistiche così grossolane o di dare così tanto per scontato. In realtà qualsiasi azione umana è "eteronoma" e mira ad un certo beneficio personale: farò l'elemosina a quel barbone perché il suo sorriso mi farà star bene; non è diverso da squarterò quel topo perché sono un sadico e avrò un'erezione facendolo. Non esiste una cosa come "il dover essere in sé e per sé" che trascende gli interessi, al contrario: il dover essere si ricava dal volere, il volere si ricava dall'interesse. In questo senso potreste dirmi "utilitarista", ok. Dunque mi si chiede se esistano solo il kantismo e l'utilitarismo come opzioni. E come chiedermi se ci siano solo l'ateismo e il teismo, come opzioni. E poi quando rispondo "sì"* mi farete "ma come, ma che dici! C'è il Cristianesimo, c'è l'Ebraismo, c'è l'Islam, c'è l'Induismo!" Sì, ma sono sempre teismi, divisioni interne al teismo ma sempre teismo. C'è una dottrina della morale autonoma rispetto all'interesse, che si radica nel kantismo, che si radica nel cristianesimo, e una della morale eteronoma, che vede la morale come influenzata dal'interesse. Quest'ultima di solito viene tacciata addirittura di immoralismo, ovvero di essere una dottrina contro la morale, appunto perché secondo molti loschi e preteschi figuri la morale deve essere in un modo o nell'altro considerata autonoma per essere morale, e anzi il fatto stesso che si prenda in considerazione il fatto pratico e l'interesse la corrompe ed inquina. Salvo poi criticare gli immoralisti per il fatto che poi, all'atto pratico, anche in un background immoralista, per ragioni pratiche, finisce con l'essere applicato un'imperativo quasi-categorico sul modello kantiano. MA SE è QUELLO CHE ANDIAMO DICENDO DA SEMPRE?! XD Chiaro che alla fine il modello della norma è quello kantiano, stiamo solo dicendo che il modello kantiano è accidentale e non sostanziale, un'indicazione di prassi ma priva di valore come principio primo. Non stiamo dicendo che poi il mondo vada avanti benissimo senza nessuna regola generale di comportamento, stiamo dicendo che le regole non spuntano come i funghi per "necessità razionale", ma sorgono da interessi pratici. *non considero l'agnosticismo diverso dall'ateismo, ma comunque uso la cosa a titolo di ESEMPIO, dunque gentilmente non fatemi le pulci su aspetti non attinenti alla metafora Edited February 14, 2014 by FreakyFred Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
schopy Posted February 14, 2014 Share Posted February 14, 2014 D'accordo, allora sostieni che gli animali non godono di particolari diritti perché con loro non ci possiamo accordare. Spero tu non estenda questo ragionamento anche ai bambini o ai portatori di disabilità... La differenza tra descrizione e prescrizione non so proprio come rendertela più chiara...perché ricorrerei solo a dei sinonimi credo. Mi stupisce poi che tu affermi che esiste un dover essere pragmatico e "derivato" (da cosa poi?) visto che nei precedenti interventi tiravi sempre fuori Hume e la ghigliottina... Riconosco d'aver usato i due termini "utilitarismo" e "specismo" più prendendoli a prestito dal gergo popolare che da quello filosofico. Credo di non aver mai letto Bentham e di Singer ho solo sfogliato qualcosa...dei diritti degli animali non so un cazzo. E' tutto iniziato con Almadel che parlava della derattizzazione, tema a cui sono sensibile abitando in campagna Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Isher Posted February 14, 2014 Share Posted February 14, 2014 Purtroppo ho una connssione talmente lenta che non posso citare i passi in cui Freakyfred mi risponde o mi chiama in causa. Ma questa disavventura renderà più stringata la mia risposta, che è la seguente: Locke l'ho già letto! Non capisco, Fred, come tu sia tanto orgoglioso delle tue posizioni quando non ce n'è una che non ripeta alla lettera o non ricalchi le tesi del grande filosofo, in particolare il rigoroso nominalismo (sotteso a tutte le tue "confutazioni", come il nominalimo è il gesto primo della filosofia di Locke) e la negazione della realtà delle idee astratte, anche se Locke si serviva di tutto ciò per combattere e smontare l'innatismo, mentre tu pretendi, dogmaticamente e un po' passivamente (Locke aveva un grande compito critico e antidogmatico, alla sua epoca), che la tua nozione di etica sia l'unica possibile e che tutta la questione etica si riduca a quella contrapposizione che hai fatto e che ho già citata. Nel campo dell'etica esistono varie posizioni classiche, quella kantiana, quella aristotelica, quella empirista, quella spinoziana, quella cartesiana, quella husserliana, e tante tante altre. Quanto al famigerato dover essere, esso è «il possibile normativo» (non prescrittivo), vale a dire «ciò che è bene che avvenga, o che si può prevedere o esigere che avvenga in base a una norma» e il suo primo rappresentante ne è Platone, con il suo epekeina tes ousias, che per la prima volta a siicura uno spazio all'etica, e con la sua Idea del Bene (che già Aristotele ha smontato, con argomentazioni chirurgiche ed epistemologiche molto più sottili e interessanti che non qualunque smontaggio à la Locke del significato dei termini: una prospettiva che, a ripeterla oggi, in pieno trionfo della impostazione analitica, in pieno riduzionismo direi io, è, ma questa è una opinione personale, un po' misera): da Platone, dicevo, fino a Horkheimer e Adorno, in una pluralità di contesti filosofici, culturali, politici anche, davvero grande. Indubbiamente, uno può non sentire affatto l'esigenza del dover essere, e può non cogliere la potenza etica del possibile non ancora realizzato, ma questo, mentre è legittimo, è irrilevante: è una questione di differenze - culturali, psicologiche, e altre ancora - tra gli individui. Ora, in sostanza, io non contesto, come ti sarai reso conto, la legittimità della tua idea o non-idea dell'etica (dato che dici di non sentirne il bisogno). Solo, nella storia del pensiero, le grandi posizioni filosofiche stanno l'una accanto all'altra, e Locke non toglie Dascartes e l'innatismo (malgrado lo colpisca al cuore), come Aristotele non toglie Platone (malgrado gli dia colpi quasi mortali), e Hegel non toglie Kant, semplicemente perché le grandi posizioni teoretiche sono eterne. E' solo questa eternità che rende possibile e interessante la filosofia e a fortiori la storia della filosofia. In aggiunta, si potrebbe forse dire che se ha un senso, ancora oggi, occuparsi di filosofia, questo senso sta nel tenere conto di tutto ciò che è stato pensato, vedere i limiti e gli spazi lasciati aperti, o negati, da ogni grande filosofia, e percorrerne i sentieri. Questo tra l'altro sembra a me il vero grande antidoto contro il dogmatismo. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
FreakyFred Posted February 14, 2014 Share Posted February 14, 2014 (edited) D'accordo, allora sostieni che gli animali non godono di particolari diritti perché con loro non ci possiamo accordare. Spero tu non estenda questo ragionamento anche ai bambini o ai portatori di disabilità... L'argomento dai casi marginali... Non rappresenta un problema. Si basa su una confusione fra il principio ispiratore della norma morale (che è l'accordo dei contraenti) e il suo criterio applicativo (basato sulla specie). Il principio lascerebbe fuori, forse, alcuni disabili (ma non i bambini, perché tutti gli umani sono anche bambini in una fase della propria vita), ma il principio deve essere applicato tramite un criterio univoco. Si usa quello di specie perché è appunto molto semplice, molto univoco e non lascia fuori nessun soggetto di diritto. Vale ancora l'esempio della patente: il principio è che puoi guidare solo se sei abbastanza maturo; il criterio applicativo di questo principio è che devi avere raggiunto i diciotto anni. Poi potresti non essere abbastanza maturo a diciotto anni o esserlo già prima, ma il criterio è stato ritenuto quello che applica meglio il principio. Così è per la distinzione di specie; tutti coloro che possono accordarsi sono umani, e pochissimi umani non sono in grado di accordarsi in nessuna maniera. Se scegliamo come criterio applicativo l'essere membro della specie umana non abbiamo nessuna ambiguità su chi sia detentore di diritti e chi no (quindi nessun Hitler potrà fregarci su questo) e al contempo abbiamo "tenuto dentro" tutti gli individui razionali e in grado di accordarsi. Certo, abbiamo tenuto dentro anche qualche bambino anencefalico, ma questi non sono problemi di portata tale da abbattere un sistema così efficace. Non capisco, Fred, come tu sia tanto orgoglioso delle tue posizioni quando non ce n'è una che non ripeta alla lettera o non ricalchi le tesi del grande filosofo, in particolare il rigoroso nominalismo (sotteso a tutte le tue "confutazioni", come il nominalimo è il gesto primo della filosofia di Locke) e la negazione della realtà delle idee astratte, anche se Locke si serviva di tutto ciò per combattere e smontare l'innatismo, mentre tu pretendi, dogmaticamente e un po' passivamente (Locke aveva un grande compito critico e antidogmatico, alla sua epoca), che la tua nozione di etica sia l'unica possibile e che tutta la questione etica si riduca a quella contrapposizione che hai fatto e che ho già citata. 1) Io sono concettualista, non nominalista :) 2) Si può avere tante altre idee in testa di cosa sia l'etica, ma quello che poi è REALMENTE è esattamente quello che dico. Solo ciò che è reale è razionale, e questo non era Locke. Poi è chiaro che uno può credere davvero che l'etica stia scritta nella Bibbia, perché no? Solo che non è vero: gli piace credere che sia quello perché gliel'hanno insegnato e/o perché quel modello lì si confà particolarmente alle sue necessità pratiche. 3) uno può non sentire affatto l'esigenza del dover essere, e può non cogliere la potenza etica del possibile non ancora realizzato, ma questo, mentre è legittimo, è irrilevante: è una questione di differenze - culturali, psicologiche, e altre ancora - tra gli individui. Sì, la fallacia del relativista. Che si ripete qui: Ora, in sostanza, io non contesto, come ti sarai reso conto, la legittimità della tua idea o non-idea dell'etica (dato che dici di non sentirne il bisogno). Solo, nella storia del pensiero, le grandi posizioni filosofiche stanno l'una accanto all'altra, e Locke non toglie Dascartes e l'innatismo (malgrado lo colpisca al cuore), come Aristotele non toglie Platone (malgrado gli dia colpi quasi mortali), e Hegel non toglie Kant, semplicemente perché le grandi posizioni teoretiche sono eterne. E' solo questa eternità che rende possibile e interessante la filosofia e a fortiori la storia della filosofia. In aggiunta, si potrebbe forse dire che se ha un senso, ancora oggi, occuparsi di filosofia, questo senso sta nel tenere conto di tutto ciò che è stato pensato, vedere i limiti e gli spazi lasciati aperti, o negati, da ogni grande filosofia, e percorrerne i sentieri. Questo tra l'altro sembra a me il vero grande antidoto contro il dogmatismo. Sì, al livello di idee sopravvivono sicuramente tutte, anche solo perché ogni sistema di pensiero si basa su assiomi arbitrari e perfino nelle regole di inferenza c'è un certo arbitrio. Eppure non tutti i sistemi di pensiero funzionano ugualmente nelle questioni pratiche. Al livello pratico i vari filosofi si tolgono a vicenda eccome, e se te ne piace uno quello che dice l'esatto contrario non ti piace. E visto che tieni tanto alle differenze psicologiche interindividuali avrai anche capito che ci sono due tipi di discorsi che è completamente inutile presentare a uno con la mia psicologia perché è come se non li sentissi nemmeno: quelli che non hanno una rigorosa struttura ideale, e quelli che hanno una struttura ideale ma non vanno a parare mai, nemmeno alla lontana, da nessuna parte dal punto di vista pratico. Se le idee di Platone e di Aristotele non si tolgono a vicenda ma sono semplicemente eterni giocattoli su cui scrivere libri fino alla fine del cosmo stesso, allora sono tutti e due inutili, non vanno a parare da nessuna parte, e non mi interessano. Io discuto di un problema teorico solo se la sua risoluzione è di qualche utilità, e soprattutto se la sua risoluzione è possibile; venire a dirmi che tanto non esiste una soluzione (dire che tutte le soluzioni, anche contraddittorie, sono possibili, è lo stesso che dire che non ve ne sono di esatte) Tutti i problemi filosofici io li risolvo nel pratico, quindi potresti anche dire che in effetti non amo la filosofia... il problema è che non abbiamo un altro termine per designare questa mia antifilosofia se non filosofia a sua volta. E di solito si chiama pragmatismo. Edited February 14, 2014 by FreakyFred Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
schopy Posted February 14, 2014 Share Posted February 14, 2014 Eppure non tutti i sistemi di pensiero funzionano ugualmente nelle questioni pratiche. Al livello pratico i vari filosofi si tolgono a vicenda eccome, e se te ne piace uno quello che dice l'esatto contrario non ti piace. (...) Io discuto di un problema teorico solo se la sua risoluzione è di qualche utilità, e soprattutto se la sua risoluzione è possibile; venire a dirmi che tanto non esiste una soluzione (dire che tutte le soluzioni, anche contraddittorie, sono possibili, è lo stesso che dire che non ve ne sono di esatte) Tutti i problemi filosofici io li risolvo nel pratico, quindi potresti anche dire che in effetti non amo la filosofia... il problema è che non abbiamo un altro termine per designare questa mia antifilosofia se non filosofia a sua volta. E di solito si chiama pragmatismo Non colgo bene il significato dell'affermazione "non tutti i sistemi di pensiero funzionano a livello pratico". Nel senso che non capisco se ritieni idonei solo quei sistemi di pensiero che poi si rivelano per qualche ragione "vincenti" a livello politico, sociale, storico (...?) Non capisco nemmeno di cosa parli esattamente quando parli di risoluzione possibile (e, evidentemente, anche si risoluzioni "impossibili") ad un problema teorico: potresti portare degli esempi? Non ha senso dire che i problemi filosofici tu "li risolvi nel pratico" mentre la filosofia mancherebbe di farlo: se il filosofo si interroga, ad esempio, a proposito di conflitti etico-morali, per indicare una strada percorribile, mentre tu SAI GIA' qual è la strada da percorrere, questo prova che un sistema di valori che guidi la tua azione lo incarni anche tu... Non mi sento toccato dalla precisazione di Isher circa il dover essere, che corrisponderebbe al "possibile normativo" e non al prescrittivo, perché pur apprezzando molto la suddetta locuzione, credo che la mia precedente affermazione ("il dover essere non descrive, casomai prescrive") suggerisse pressappoco la stessa cosa. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Isher Posted February 14, 2014 Share Posted February 14, 2014 Ripto che purtroppo non posso citare brani, ma E visto che tieni tanto alle differenze psicologiche interindividuali avrai anche capito che ci sono due tipi di discorsi che è completamente inutile presentare a uno con la mia psicologia perché è come se non li sentissi nemmeno rende bene quel dogmatismo di cui parlavo. E potrei aggiungere: me ne ero reso conto che non li senti nemmeno! Tu chiami la coesistenza nella storia del pensiero di varie posizioni teoretiche diverse fallacia del relativista, io la considero l'essenza della filosofia, e considero l'essenza della filosofia la domanda piuttosto che la risposta: quest'ultima è sempre contingente. Sarebbe facile mostrare quanto Descartes soprvvive in Locke che lo attacca, quanto Aristotele c'è, forse inconsapevolmente, in Berkeley. Ma è coessenziale al pensiero anche perché, per citare Heidegger, «dà da pensare»: l'impostazione di un problema filosofico non ne prescinde mai, almeno nei grandi filosofi. Capisco che tu sia pragmatista, che a te interessino le soluzioni e le applicazioni pratiche, ma questa posizione finisce per essere (ed è stato così proprio storicamente) troppo riduzionista, troppo ingenua anche. Sono stati scritti libri per dimostrare che la deduzione trascendentale (della quale Kant era particolarmente fiero) delle categorie non funziona, o almeno non funziona perfettamente: questo non toglie nulla alla grandezza e alla coessenzialità alla filosofia di quella deduzione, che comanda un altro secolo e mezzo di storia del pensiero. Il contrasto, in filosofia, non è una questione di tifo in senso calcistico: se tieni per uno, allora odi l'altro. Anche questo è troppo riduzionista e ingenuo: S. Tommaso era un aristotelico, e tutta la Scolastica lo è, eppure il nodo centrale del pensiero di Tommaso è da lui risolto in modo platonico. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
FreakyFred Posted February 14, 2014 Share Posted February 14, 2014 (edited) Non capisco nemmeno di cosa parli esattamente quando parli di risoluzione possibile (e, evidentemente, anche si risoluzioni "impossibili") ad un problema teorico: potresti portare degli esempi? Esempio. Problema epistemologico, astratto: l'induzione finita è un meccanismo cognitivo affidabile? Tentativi di soluzione astratti: inferenze logiche, deduzione trascendentale del principio di causa, eccetera. Soluzione pratica: puoi vivere facendo a meno del suddetto meccanismo cognitivo? No. Discorso inutile, si passi oltre. Isher, ciò che dici ha un piccolissimo problemino: va contro il principio di non contraddizione, che effettivamente a molti filosofi sta poco simpatico ma disgraziatamente ci serve un po' a vivere e a pensare senza deliri. Allora anche il mio pensiero "riduzionista e ingenuo" sta accanto al tuo. O almeno questo è quello che dici tu, per parte mia ti assicuro che non faranno mai pace. Quelli come me, malgrado possano avere una finezza filosofia spesso straordinaria, di solito finiscono a fare gli scienziati per questo, che vogliono arrivare da qualche parte nel loro ragionare. Si arriva da qualche parte anche con la filosofia? Volendo sì, basti dire che la filosofia ha prodotto la scienza, e la scienza arriva da qualche parte, quindi per proprietà transitiva la filosofia arriva da qualche parte. Il problema però è che quelli come me non riusciranno mai a convivere con quelli come te, quelli per cui è più un passatempo fatto per il diletto di pensare. Che sia dilettevole, ok. Ma deve essere anche utile, andare a parare a un risultato esattamente come fa la scienza; se no tanti saluti, c'è la settimana enigmistica per far giocare il cervello senza risultati visibili. Edited February 14, 2014 by FreakyFred Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
schopy Posted February 14, 2014 Share Posted February 14, 2014 Esempio. Problema epistemologico, astratto: l'induzione finita è un meccanismo cognitivo affidabile? Tentativi di soluzione astratti: inferenze logiche, deduzione trascendentale del principio di causa, eccetera. Soluzione pratica: puoi vivere facendo a meno del suddetto meccanismo cognitivo? No. Discorso inutile, si passi oltre. Si ma se si procede così si sfronda tutta la storia della filosofia come discorso inutile....è questo il tuo scopo? Quelli come me, malgrado possano avere una finezza filosofia spesso straordinaria, di solito finiscono a fare gli scienziati per questo, che vogliono arrivare da qualche parte nel loro ragionare. Si arriva da qualche parte anche con la filosofia? Volendo sì, basti dire che la filosofia ha prodotto la scienza, e la scienza arriva da qualche parte, quindi per proprietà transitiva la filosofia arriva da qualche parte. Il problema però è che quelli come me non riusciranno mai a convivere con quelli come te, quelli per cui è più un passatempo fatto per il diletto di pensare. Non mi azzarderei, se possedessi la tua straordinaria finezza filosofica, a dire che "la filosofia arriva da qualche parte perché ha prodotto la scienza CHE ARRIVA DA QUALCHE PARTE"...anche se capisco la tua scelta pro-scienza, in ciò sei sicuramente figlio dei tuoi tempi più di Isher e me...più di me di sicuro visto che siam quasi coetanei. Condivido comunque quel che scrive Isher; nell'indagine filosofica non c'è per forza una "meta". Ma non per questo è solo un diletto. Non capisco perciò perché te ne appassioni tanto se trovi più divertente i cruciverba...ah, e buona fortuna coi sudoku! Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
ragazzopio Posted February 14, 2014 Share Posted February 14, 2014 @schopy Che Dio possa lenire il tuo senso di inferiorità verso @FreakyFred! Che Dio ti benedica! Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
FreakyFred Posted February 14, 2014 Share Posted February 14, 2014 Si ma se si procede così si sfronda tutta la storia della filosofia come discorso inutile....è questo il tuo scopo? No. Io credo che la filosofia arrivi da qualche parte eccome. Per questo la tua curiosità sul perché me ne appassioni è fuori luogo :P E in realtà è più un problema semantico, secondo me, come ho già detto: non abbiamo una parola per descrivere una linea di pensiero astratto che critichi la filosofia, se non a sua volta filosofia. Se consideri filosofia il vagare nel pensiero senza una meta, allora la mia non è filosofia, ma questa è una questione semantica e basta. Vorrei vedere come chiamarla, allora XD Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
bastian Posted February 15, 2014 Share Posted February 15, 2014 1) Io sono concettualista, non nominalista :) 2) Si può avere tante altre idee in testa di cosa sia l'etica, ma quello che poi è REALMENTE è esattamente quello che dico. Solo ciò che è reale è razionale, e questo non era Locke. Poi è chiaro che uno può credere davvero che l'etica stia scritta nella Bibbia, perché no? Solo che non è vero: gli piace credere che sia quello perché gliel'hanno insegnato e/o perché quel modello lì si confà particolarmente alle sue necessità pratiche. l'affermazione hegeliana di un'identità tra reale e razionale non comporta l'impossibilità per una riflessione di ordine etico di fondarsi su un terreno altro dalla praticità. semmai conferma vi sia un sapere assoluto al quale la nostra coscienza, divenuta spirito attraverso la sua esperienza fenomenologicamente intesa, perviene. hegel è un altro per il quale la religione o dio non possono certo essere messi da parte: anzi, sono il culmine del suo idealismo. perciò, FreakyFred, su questo, a mio avviso, devi essere più chiaro. a meno che tu non voglia contraddire quanto sostieni circa la preferenza esclusiva per il pensiero di questo filosofo anziché di quest'altro: ossia, che se concordi, per esempio, con la visione nichilistica di nietzsche, va da sé che non potrai non rigettare la teoria leibniziana delle monadi. voglio dire: definirsi contemporaneamente un "concettualista" e un "pragmatico" è lecito, ma non tenendo il piede in due scarpe e, al tempo stesso, fieramente affermando poi il proprio supposto dogmatismo. perché, se il tuo unico interesse è quello di ricomporre il puzzle, devi, come sai, far combaciare esattamente i pezzi l'uno all'altro per avere il cosiddetto quadro d'insieme. e scrivo "devi" non a caso. sostieni che la sola ragione d'essere di un'etica ammissibile, per te, è l'utilità, o la convenienza di ordine pratico, che da essa se ne può trarre. ma la riflessione etica si muove, in qualsiasi direzione essa poi andrà, a partire da ciò che è, da ciò che il fatto stesso di vivere comporta. cosa? una scelta, un comportamento, il giusto modo d'agire rispetto a una situazione concreta. un altro discorso è, poi, la morale, le radici della cui istanza si radicano nella coscienza di uno o più essere/i umano/i. a prescindere da quale sia la scaturigine di questa istanza o da quale dio possa imporla a colui o coloro che l'avvertono, è l'interiorità che entra in gioco con la morale. e, su questo, posso convenire con te che possa pure non essercene alcun bisogno. ma l'etica attiene alla questione di quale comportamento assumere nei confronti di una data questione di ordine pratico. e, tornando ai test sugli animali, senza che io sia capace come isher di riassumere sintetizzandoli i punti di vista espressi da ognuno di noi, la questione non è la pietà o qualsiasi sentimento morale nei confronti di una specie inferiore: piuttosto, è la responsabilità che, in quanto esseri umani, siamo tenuti ad assumerci nei confronti tanto dei nostri simili, quanto di ogni altro animale e di ogni forma di vita sul pianeta terra. perché scomodarsi? perché è soltanto mettendosi in discussione che si possono fare passi avanti. la sperimentazione animale è necessaria, si è detto. perciò, a che pro pensarci? perché, se la scienza medica persegue la finalità di guarire da un male altrimenti incurabile un essere umano, forse, è preferibile la ottenga senza macchiarsi del sangue di un'altra vita. preferibile, sì. eticamente. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
FreakyFred Posted February 15, 2014 Share Posted February 15, 2014 (edited) l'affermazione hegeliana di un'identità tra reale e razionale non comporta l'impossibilità per una riflessione di ordine etico di fondarsi su un terreno altro dalla praticità. Che invece in realtà è proprio il problema chiave irrisolto dalla filosofia hegeliana e ragione fondamentale del tradimento di Marx: con la filosofia di Hegel non puoi riflettere sul dover essere al livello pratico e proporre azioni concrete, la filosofia di Hegel si limita a spiegare il mondo e non lo cambia, parafrasando sempre Marx. hegel è un altro per il quale la religione o dio non possono certo essere messi da parte: anzi, sono il culmine del suo idealismo. perciò, FreakyFred, su questo, a mio avviso, devi essere più chiaro. a meno che tu non voglia contraddire quanto sostieni circa la preferenza esclusiva per il pensiero di questo filosofo anziché di quest'altro: ossia, che se concordi, per esempio, con la visione nichilistica di nietzsche, va da sé che non potrai non rigettare la teoria leibniziana delle monadi. voglio dire: definirsi contemporaneamente un "concettualista" e un "pragmatico" è lecito, ma non tenendo il piede in due scarpe e, al tempo stesso, fieramente affermando poi il proprio supposto dogmatismo. perché, se il tuo unico interesse è quello di ricomporre il puzzle, devi, come sai, far combaciare esattamente i pezzi l'uno all'altro per avere il cosiddetto quadro d'insieme. E' chiaro che non ha inteso affatto il mio approccio, il che è bizzarro perché è lo stesso approccio di TUTTI i filosofi della storia.Io mi rifiuto, si è capito questo, di passar sopra alle contarddizioni: se Hegel dice A e e Shopenhauer dice non-A, su quell'argomento uno dei due ha torto e l'altro ha ragione. Ma su quell'argomento, e solo sull'affermazione A. Se Hegel dice A e Schopenhauer dice B, può logicamente essere sia A che B (a meno che B non sia =non-A). Nietzsche, ad esempio, ha influenze sia hegeliane (attraverso Stirner) che schopenhaueriane, non c'è contraddizione in questo, in realtà sta dicendo qualcosa di diverso da tutti e due. E spero fosse chiaro che Hegel qui lo stavo parafrasando, non dogmatizzando; a me Hegel sta abbastanza sul cazzo. Certo, se Hegel ha espresso un concetto interessante che io posso far mio, ovviamente mutatis mutandis, è giusto che lo citi nei credits, altrimenti c'è il rischio che Isher mi accusi di furto di pensiero :P un altro discorso è, poi, la morale, le radici della cui istanza si radicano nella coscienza di uno o più essere/i umano/i. La coscienza è un prodotto sociale, culturale, psicologico. Si modifica più o meno a piacimento. ma l'etica attiene alla questione di quale comportamento assumere nei confronti di una data questione di ordine pratico. e, tornando ai test sugli animali, senza che io sia capace come isher di riassumere sintetizzandoli i punti di vista espressi da ognuno di noi, la questione non è la pietà o qualsiasi sentimento morale nei confronti di una specie inferiore: piuttosto, è la responsabilità che, in quanto esseri umani, siamo tenuti ad assumerci nei confronti tanto dei nostri simili, quanto di ogni altro animale e di ogni forma di vita sul pianeta terra. perché scomodarsi? perché è soltanto mettendosi in discussione che si possono fare passi avanti. "Siamo tenuti"? Un momento, io ho firmato un contatto per cui sono tenuto a lavorare in laboratorio per tre anni e produrre una tesi alla fine. Quando sono nato, ancora incapace di intendere e di volere mi hanno appioppato un contratto sociale, al quale tuttavia ora che sono adulto non mi converrebbe sottrarmi e non ne ho intenzione, per cui sono tenuto a pagare le tasse e a non infrangere la legge. Non ricordo però di aver mai firmato un contratto di "responsabilità nei confronti di animali e forme di vita". La responsabilità ce l'hai se hai fatto un accordo per assumertela; come tutti i concetti morali (etica è sinonimo di "filosofia morale", quindi tutta questa differenza fra i due termini in realtà non può essere posta più di tanto, o per lo meno non nei tuoi termini) nasce solo dopo che ci si è messi d'accordo. perché scomodarsi? perché è soltanto mettendosi in discussione che si possono fare passi avanti. Avanti dove? Verso "Il Bene" Platonico? Avanti per chi, e rispetto a quali parametri interessanti? perché, se la scienza medica persegue la finalità di guarire da un male altrimenti incurabile un essere umano, forse, è preferibile la ottenga senza macchiarsi del sangue di un'altra vita. preferibile, sì. eticamente. SAREBBE preferibile, SE fosse possibile. Non essendo possibile, non è neanche preferibile, non più di quanto non sia preferibile che i pianeti ballino la Macarena. Poi posso essere d'accordo che se cambiassimo le condizioni di partenza, ovvero fosse dispensabile la sperimentazione animale, sarebbe preferibile rinunciarvi. Ma anche questo punto, su cui concordo, è TUTTO DA DIMOSTRARE. Tutt'altro che "un assioma". EDIT: mi è venuta in mente una cosa buffa, e cioè che nelle ultime cinque ho omesso dei passaggi importanti che, se non sono sottointesi dal lettore, aprono la porta a una pesante obiezione. Sono sicuro, però, che NESSUNO mi farà l'obiezione in questione che io subito farei XD Edited February 15, 2014 by FreakyFred Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
bastian Posted February 15, 2014 Share Posted February 15, 2014 @FreakyFred che i pianeti ballino la macarena non sta né in cielo né in terra. tutt'al più è una masturbazione mentale. se accetti il presupposto che l'etica sia una riflessione originata dal fatto - e non da un'idea - di vivere, capirai che il tuo paradosso non regge. richiamare una responsabilità in vista di una scelta capace di orientare un'azione pratica o concreta non ha niente a che fare con una logica o ragionamento dell'assurdo e per l'assurdo. il progresso, se lo si astrae da qualsivoglia considerazione etica, non è detto sia tale. (della medesima opinione era einstein, non soltanto un utente di questo forum). basti pensare agli effetti dell'urbanizzazione e dell'industrializzazione sul pianeta terra. perciò non farei più di tanto dell'ironia, in questo caso: il bene platonico lasciamolo pure nell'iperuranio, io sto semplicemente provando a discutere con te di una possibilità, che tu vuoi negare per un differente convincimento. no, tu non hai firmato un contratto di "responsabilità nei confronti di animali e di altre forme di vita". ma esiste una concezione dello stare al mondo differente dalla tua secondo la quale, evidentemente, il dovere è da intendersi in un'accezione meramente coercitiva. personalmente preferisco farmi un'idea di ciò che mi circonda e, a prescindere dal mio ruolo sociale, ad agire secondo le mie personali convinzioni. "La coscienza è un prodotto sociale, culturale, psicologico. Si modifica più o meno a piacimento". dici? certamente la coscienza, come il pensiero, non è concepibile se non la si rapporto al fenomeno che ci riguarda tutti: la vita. quindi sì, la coscienza è inscindibile dal respiro di chi l'ascolta dentro di sé. ma che sia un prodotto, non sono d'accordo. c'è coscienza e coscienza. e che la coscienza di ognuno sia propria di ognuno fa sì che ritenerla un'esclusiva produzione sociale e culturale, alle mie orecchie almeno, suona come il tentativo di ridurre a un elemento ciò che elemento non è. vero è che aggiungi pure per gentile concessione l'attributo psicologico a quello che ritieni sia un "prodotto". di conseguenza, t'invito a riflettere se la psiche umana sia qualcosa di matematico, come una grandezza più o meno estesa o se non sia, invece, un'oscurità meno chiarificabile. quanto ad hegel che, pur standoti sul cazzo, hai utilizzato come argomento comprovante l'inutilità pratica di ogni riflessione etica, mi aspettavo di più. e "se Hegel dice A e e Shopenhauer dice non-A", uno dei due ha torto e l'altro ragione, sì. ma entrambi i passaggi, al di là della loro contrapposizione, possono servire a un terzo per dire, rispetto a quel dato argomento per cui uno dice A e l'altro non-A, che non è né A né non-A: è B. all'origine della filosofia, resta sempre una domanda, come ricordava isher. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
FreakyFred Posted February 15, 2014 Share Posted February 15, 2014 (edited) che i pianeti ballino la macarena non sta né in cielo né in terra. tutt'al più è una masturbazione mentale. se accetti il presupposto che l'etica sia una riflessione originata dal fatto - e non da un'idea - di vivere, capirai che il tuo paradosso non regge. richiamare una responsabilità in vista di una scelta capace di orientare un'azione pratica o concreta non ha niente a che fare con una logica o ragionamento dell'assurdo e per l'assurdo. Non è questa l'obiezione che mi aspettavo. L'obiezione che mi aspettavo è che non ho specificato la relazione di necessità, ovvero ho detto che la sperimentazione animale è indispensabile, ma non ho detto per cosa, e quindi non ho dimostrato in che modo la sperimentazione animale debba essere. Dovevo specificare il fine desiderabile che orientava la considerazione sul comportamento. il progresso, se lo si astrae da qualsivoglia considerazione etica, non è detto sia tale. Se non è il bene dell'iperuranio a cui si tende con 'sto progresso, allora mi si deve spiegare a cosa si tende. Progresso vuol dire un movimento verso una certa direzione, se non si è data la direzione non si è detto nulla. E una volta che sia stata data la direzione, si è detto qualcosa, ma manca ancora il passo di giustificarla ("vogliamo andare in questa direzione perché..." segue un elemento movente-motivante). "Progresso" detto così, magari con l'aggiunta ancora più astratta "progresso etico" è esclusivamente retorica, non si forma niente nella mia mente che univocamente si riferisca a quella parola o coppia di parole. no, tu non hai firmato un contratto di "responsabilità nei confronti di animali e di altre forme di vita". ma esiste una concezione dello stare al mondo differente dalla tua secondo la quale, evidentemente, il dovere è da intendersi in un'accezione meramente coercitiva. personalmente preferisco farmi un'idea di ciò che mi circonda e, a prescindere dal mio ruolo sociale, ad agire secondo le mie personali convinzioni. Allora tu ti stai riferendo esclusivamente ad una pulsione interna tua. Puoi "doverla" seguire solo nel senso in cui i sassi "devono" cadere, non perché tu debba forzarti a farlo ma semplicemente perché è la tua necessità interna. Ma io non mi sento di usare il verbo dovere nello stesso modo quando lo uso per dire che un sasso deve cadere e anche quando dico che io devo produrre la tesi alla fine dei tre anni. Inoltre consegue che poiché tu ti appelli semplicemente al tuo senso interno come autorità sull'"etica", automaticamente consegue che essa vale solo ed esclusivamente per te. Quindi tu non farai sperimentazione su animali. Mah. Io non ho mai tentato di costringerti... c'è coscienza e coscienza. e che la coscienza di ognuno sia propria di ognuno fa sì che ritenerla un'esclusiva produzione sociale e culturale, alle mie orecchie almeno, suona come il tentativo di ridurre a un elemento ciò che elemento non è. Non so cosa intendi tu per "elemento", ma direi che come lo intendo io la coscienza è la cosa meno elementare che ci sia al cosmo. E' appunto uno dei prodotti ultimi e più complessi di una molteplicità incalcolabile di fattori. Comprenderla richiede il riferimento continuo a questi fattori. Mi è rimasto impresso un uso del termine "coscienza" paradossale più o meno come il tuo. Hai presente gli arzigogoli dei preti, no? Tipo "si è veramente liberi solo nell'obbedienza a Dio" e simili paradossi fatti passare per profondi ragionamenti... Una volta ne lessi uno, c'era un prete che diceva che per un cristiano bisogna seguire la propria coscienza. Obiezione di un lettore: "ma io in coscienza sono favorevole all'aborto in certi casi" Risposta del prete: "sì, bisogna decidere in coscienza, ma prima bisogna formarsi una retta coscienza" Ovvero la coscienza dovrà adeguarsi a quello che dice il papa. Be', è questo quello che fa la coscienza: si adatta alle necessità esterne, di sicuro non è affatto una cosa irriducibile, e il prodotto emergente dei prodotti emergenti, lo scomponi, lo studi, lo educhi. A dimostrazione di ciò, non ce ne sono due uguali. In conseguenza di ciò la coscienza non è un autorità universale... è un superio, una cosa che si costruisce nel tempo. quanto ad hegel che, pur standoti sul cazzo, hai utilizzato come argomento comprovante l'inutilità pratica di ogni riflessione etica, mi aspettavo di più. Hegel era uno che diceva e argomentava cose, esattamente come me. Non credo che qualcuno potrebbe mai usare "l'ha detto FreakyFred" come argomento comprovante alcunché, o almeno mi auguro che nessuno lo faccia mai. Di sicuro non lo faccio io con Hegel. Ribadisco: l'ho citato solo per dargli il "credit" di una cosa interessante che ha detto, e che io peraltro uso in un contesto e con un'interpretazione abbastanza diversa.Io sono un fautore de "la filosofia cambia il mondo", quindi certo che ho spazio per la riflessione sui comportamenti umani più o meno appropriati. Rifiuto ogni tentativo di scollegare fra loro "giusto" e "opportuno secondo le circostanze e gli obbiettivi da perseguire". e "se Hegel dice A e e Shopenhauer dice non-A", uno dei due ha torto e l'altro ragione, sì. ma entrambi i passaggi, al di là della loro contrapposizione, possono servire a un terzo per dire, rispetto a quel dato argomento per cui uno dice A e l'altro non-A, che non è né A né non-A: è B. Al livello di "sistema" la cosa sarebbe valida; il "sistema" di Nietzsche (virgolette obbligatorie) ha elementi hegeliani e schopenhaueriani. Ma non è che "li conserva entrambi", semmai li nega entrambi: non "avevano ragione tutt'e due" ma "avevano torto tutt'e due". Edited February 15, 2014 by FreakyFred Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
schopy Posted February 15, 2014 Share Posted February 15, 2014 Ma come Freaky? Non ti sei documentato sull'esistenza di logiche paraconsistenti? Io eviterei di infilare nello stesso discorso Hegel e il principio di non contraddizione.... Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
ragazzopio Posted February 15, 2014 Share Posted February 15, 2014 Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
FreakyFred Posted February 15, 2014 Share Posted February 15, 2014 Ma come Freaky? Non ti sei documentato sull'esistenza di logiche paraconsistenti? Io eviterei di infilare nello stesso discorso Hegel e il principio di non contraddizione.... Sei uno dei seguaci della leggenda secondo cui Hegel andava contro il principio di non contraddizione? :P Guarda che quando Hegel diceva "logica" usava la stessa parola che si usa quando si parla di Aristotele, ma è del tutto evidente, quando te la vai a leggere, che in realtà si riferiva ad una cosa completamente diversa, precisamente ad un diverso ambito; parlava di una struttura dei contenuti, laddove la logica formale è per definizione la logica studiata indipendentemente dai contenuti. Certo, il concetto "buio" necessita per esistere del concetto "luce" e entrambi in dialettica costituiscono, che so io, il concetto sintetico di "visione". Questo non significa che il principio Aristotelico "se è buio non c'è luce" non si apllichi. "Se A non-non-A" è valido per qualsiasi contenuto e indipendentemente da esso, la logica Hegeliana indaga sulla natura intima dei contenuti, apples and oranges. Se vogliamo, possiamo dire anche che la logica Hegeliana reinterpreta il processo deduttivo in virtù di un'analisi diversa dei contenuti; ovvero mentre il logico tradizionale dirà che una serie di deduzione "estrae" contenuti già presenti negli assiomi, l'interpretazione hegeliana sarà che lo spirito si è evoluto o rivelato nel processo. Ma appunto è solo una reinterpretazione, non è che la logica aristotelica di per sé è messa in crisi. I progressi nella logica formale sono stati più o meno tutti fatti, dopo Aristotele, nel '900. Di sicuro Hegel non ci ha messo mano perché non faceva logica formale. Poi, restando in ambito formale, si possono fare infinite logiche, eh. Anche qui, bisogna vedere quali descrivono meglio le cose che sperimentiamo. Io ad esempio sono un fan sfegatato della fuzzy logic. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
bastian Posted February 15, 2014 Share Posted February 15, 2014 non era e non è mia intenzione intervenire allo scopo di indovinare quella o quest'altra obiezione che tu avresti ritenuto giusto opporre alla tua argomentazione, caro @FreakyFred. ciò non toglie che io cerchi di dialogare per trovare un punto d'incontro tra noi, se il tentativo non ti dispiace. se un progresso può muoversi in una direzione che risparmia a un animale di essere ridotto a uno strumento, tale progresso sarà non soltanto scientificamente ma anche eticamente tanto più da perseguire. ma per te evidentemente sono un prete per questo. credo di non essere l'unico essere umano al mondo che si dà autonomamente dei doveri. il dovere, scrivi, sarebbe per me una pulsione interna: devo seguirla così come un sasso cade, aggiungi. mentre tu, spieghi, non usi il verbo dovere per dire che un sasso deve cadere così come quando lo usi per dire che devi produrre una tesi entro i prossimi tre anni. beh, non è così Freakyfred, neanche per me. innanzitutto, il dovere per me non è una pulsione. una pulsione è un istinto. e il dovere per me non è un istinto. anzi, magari riuscissi a fare una cosa soltanto perché sento di doverla: come se bastasse una necessità interna. il dare a me stessa dei doveri è un processo che parte dalla mia coscienza e, se riesco ad agire con coerenza secondo i miei personali convincimenti, può farmi approdare a qualcosa di reale: altrimenti, se non ci riesco, ti assicuro, non è che la cosa mi lasci indifferente, così come può lasciarmi del tutto indifferente, invece, il fatto che un sasso cada. se tieni un sasso nel palmo della mano e poi lasci la presa, inevitabilmente questo sasso cadrà a peso morto per terra o su qualsiasi altra superficie piana la tua immaginazione voglia farlo cadere: questo, più che un dovere, è per me una legge fisica. il dovere di cui sto cercando di discutere qui è una necessità che una coscienza - e non ritengo soltanto la mia - può far sentire come tale. che tu debba scrivere una tesi entro tre anni, per tornare al tuo esempio, non è un obbligo: potresti anche non farla o non riuscirci. ma tu vuoi farla e ti darai da fare per farla. perché devi, senti di doverlo, a te stesso e per te stesso: per una ragione che non è certo soltanto il fatto di aver vinto una borsa di studio per un dottorato. tu devi, perché per te è importante. in effetti, quanto alla "tua" coscienza, "elemento" non era proprio il termine più appropriato. intendevo dire che la definizione da te fornita della coscienza, nel tuo precedente post, "elementarizzava" la coscienza. sostenere che "la coscienza è un prodotto sociale, culturale e psicologico, che si modifica più o meno a piacimento" (parole tue) è ridurla a una sorta di grandezza più o meno estesa, con l'effetto di sminuirne la portata. ora, però, chiarendo la tua definizione come "uno tra i prodotti più complessi di una molteplicità incalcolabile di fattori", la tua opinione mi risulta più chiara. e, forse, su questo non siamo poi così distanti. se il "sistema" (virgolette obbligatorie, concordo) di nietzsche nega hegel e schopenhauer, hegel e schopenhauer sono stati comunque necessari a nietzsche per arrivare al suo "sistema": il "sistema" di nietzsche non li conserva né li nega, li attraversa e li supera. progresso filosofico. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
FreakyFred Posted February 15, 2014 Share Posted February 15, 2014 se un progresso può muoversi in una direzione che risparmia a un animale di essere ridotto a uno strumento, tale progresso sarà non soltanto scientificamente ma anche eticamente tanto più da perseguire. ma per te evidentemente sono un prete per questo. Perché non lo giustifichi, lo cali generosamente nelle teste dei fedeli, come i preti il dare a me stessa dei doveri è un processo che parte dalla mia coscienza Ma la tua coscienza non parte da te, parte da convenzioni sociali+istinti naturali+ una grossa dose di interessi personali. Il problema infatti è che tu riduci la coscienza a fatto elementare, o per meglio dire, la ELEVI a fatto elementare, ad assoluto e ad originario. Invece non c'è niente di meno originario, è un sottoprodotto del sottoprodotto del sottoprodotto, ed è anche facile individuarne le componenti, tanto sono state studiate dalla sociologia, dalla psicologia e dall'economia. Anche qui, ci devi calare un dogma senza il quale il resto crolla: la coscienza come assoluto. Ma che non sia assoluto è proprio la cosa più evidente: infatti la tua coscienza non mi riguarda, non la sento e per me non conta niente. Se fosse assoluta, allora tutti ne dipenderebbero. Quindi se volessimo strutturare una norma generale di comportamento, una definizione di giusto e di bene da applicarsi addirittura al progresso dell'intera umanità, dovremmo prenderla dalla tua coscienza. Cioè, io e quello che penso e sento io nemmeno esistono in questa concezione. E sai qual è la cosa ironica? Tanto sforzo per assolutizzare la tua coscienza conduce alla neutralizzazione logica della tua coscienza. Questo sì è un concetto molto hegeliano... poiché la consideri assoluta e realizzata in sé, in realtà il significato reale che le dai è di puro nulla, esattamente come la pura luce e il puro buio sono entrambi cecità. tu devi, perché per te è importante. Stai facendo confusione. Innanzitutto ho un patto e una promessa da rispettare. Se non la mantengo ne subirò conseguenze negative sul piano psicologico dell'autostima e sul piano reale della mancata indipendenza economica. Ma non c'è che "devo perché devo", devo fare X SE voglio Y o voglio evitare Z; dove Y sicuramente può essere una forma di realizzazione personale sul piano emotivo o dei rapporti sociali, sicuramente; ma dove Y non può essere "nulla" o "il dovere in sé e per sé". Non esiste proprio il dovere in sé e per sé. O almeno, per me non esiste, poi forse tu sei Dio e io no, possibile. se il "sistema" (virgolette obbligatorie, concordo) di nietzsche nega hegel e schopenhauer, hegel e schopenhauer sono stati comunque necessari a nietzsche per arrivare al suo "sistema": il "sistema" di nietzsche non li conserva né li nega, li attraversa e li supera. progresso filosofico. Sì, come diceva Hegel di Fichte e Schelling. Adesso Fichte e Schelling gli studenti manco se li ricordano e si ricordano solo Hegel, tanto li ha "conservati e superati". Non comprate conservanti da Hegel. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
bastian Posted February 16, 2014 Share Posted February 16, 2014 ah, sicché sono io che elevo la coscienza ad assoluto, ora? francamente, non riesco a seguirti. del resto, il dogmatico sei tu, ricordi? io sono il prete e, ragazzo mio - tanto per immedesimarmi nei panni in cui ti ostini a calarmi, la coscienza è soggettiva. ecco ciò che ne fa non soltanto un prodotto, o un sottoprodotto del sottoprodotto del sottoprodotto (nella tua versione aggiornata), ma qualcosa di cui non credo si possa arrivare a dare un'univoca, chiara e immutabile definizione. tu, infatti, non senti "tua" la "mia" coscienza. E CI MANCHEREBBE. 'sta storia che io assolutizzerei la mia coscienza al punto da ritenerla la sola, un'entità realizzata in sé, non so dove l'hai presa. e nemmeno lo voglio sapere. siamo andati davvero troppo O.T. e a me, poi, le masturbazioni mentali non piacciono. travisa pure le mie parole. scripta manent. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
FreakyFred Posted February 16, 2014 Share Posted February 16, 2014 Se è soggettiva, non possono derivarne doveri sociali. Al massimo possono derivarne tue scelte personali. Non c'è dubbio che le scelte umane siano influenzate da due cose due e basta, non ve ne sono altre: - pulsioni interne - limiti esterni Molti si divertono a spostare avanti e indietro il confine fra le due cose: ad esempio alcuni chiameranno il superio "interno" in quanto comunque guida i comportamenti a partire dall'io, altri invece accentueranno il fatto che è un prodotto di pressioni sociali e dunque sarebbe una costrizione "esterna" posta dalla società sul "vero" Io, ovvero sull'Es. Ma questo non è importante, non ci interessa sapere, in questo discorso, se un determinato comportamento viene di più da pulsioni interne o da costrizioni esterne: è comunque una delle due o una somma delle due, ma non una terza cosa. Tu introduci il concetto di "costrizione interna"; la tua coscienza ti costringerebbe dall'interno. L'esempio del sasso serviva semplicemente a spiegare come ciò sia un nonsense: se fa parte dell'intima natura del tuo io, allora è una sua legge interna e come tale non puoi avvertirla neanche come costrizione, esattamente come il sasso che cade non si sente "costretto" a cadere o il leone non si sente "costretto" a mangiare la gazzella. Se invece avverti questa "coscienza" come una costrizione, allora non è interna al tuo io, ma evidentemente contiene una componente sociale che ti rifiuti di riconoscere; e questa è la dimensione del dovere. In realtà, l'approccio più risolutivo qui è riconoscere che la molteplicità e disunità dell'Io al suo interno è maggiore di quanto si pensa di solito, mentre invece assai più stretta di quanto si possa pensare e l'interrelazione Io-Mondo, al punto che rischi di confonderli e di arrivare a pensare che ci siano elementi che non ricadano in nessuno dei due, che ci sia una "terza cosa", la Coscienza. No, non c'è, ci sono Io e Mondo, o se preferisci Io-Mondo. Il tuo comportamento non sarà dettato da un terzo elemento, ma emergerà, naturalmente, da questa dialettica. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Mario1944 Posted February 17, 2014 Share Posted February 17, 2014 (edited) se un progresso può muoversi in una direzione che risparmia a un animale di essere ridotto a uno strumento, tale progresso sarà non soltanto scientificamente ma anche eticamente tanto più da perseguire. Avendo avuto nella mia vita fin da bambino numerosi cani e gatti (per la cui morte non mi sono vergognato di piangere) ed avendone tuttora, non posso non essere d'accordo con questa affermazione. Il problema però grave e (credo) irresolubile è che quell'etica che definisce questa affermazione è solo ed esclusivamente ed ineluttabilmente una produzione nostra, a nostro uso, a nostro consumo e soprattutto a nostro autostimante compiacimento. Quando stabiliamo diritti per le altre specie animate o no, siamo noi che stabiliamo i confini, i contenuti, i destinatari di questi diritti e quindi inevitabilmente li stabiliamo a nostro arbitrio. Non solo, ma proprio in quanto concediamo diritti alle altre specie, perciò affermiamo la nostra superiorità di specie diversa da loro, di specie con potere di concessione. La contraddizione irresolubile sta quindi in questo: mentre tentiamo di sollevare le altre specie dalla condizione bruta di strumenti a nostra assoluta disposizione, ne affermiamo contemporaneamente l'assoluta subalternità alla nostra specie umana! Edited February 17, 2014 by Mario1944 Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
marco7 Posted February 17, 2014 Share Posted February 17, 2014 @Mario1944 molte specie animali si considerano superiori alle altre specie, non solo quella umana. io vedrei una piccola contraddizione nel fatto che noi umani stabiliamo per legge ad esempio come devono essere ammazzate le galline o i conigli, in un modo non troppo cruento. in natura però nessun animale si preoccupa di non ammazzare in modo troppo cruento un altro animale. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Mario1944 Posted February 17, 2014 Share Posted February 17, 2014 @Marco, non so se altre specie si considerino superiori ad altre, ma certo, se così fosse, la contraddizione ineluttabile di cui ho parlato sopra e che riguarda la nostra specie non sarebbe eliminata! Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
marco7 Posted February 17, 2014 Share Posted February 17, 2014 @Mario1944 purtroppo tutto quel che noi umani riusciamo a tenere come subalterno lo facciamo, non solo per gli animali. il clima cambia perchè la terra stessa è subalterna alla nostra economia. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Mario1944 Posted February 17, 2014 Share Posted February 17, 2014 Credo che la subalternità della Terra (nel senso di pianeta) sia molto, ma molto temporanea e superficiale: la Terra ha alcuni miliardi di anni e la parte che abitiamo noi è una sottile crosta irrilevante. Basterebbe una sua lieve scossa per distruggerci tutti con tutte le nostre opere più solide e comunque tra qualche milione d'anni (se non tra qualche migliaio), tempo brevissimo per la Terra, probabilmente saremo del tutto estinti. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
bastian Posted February 17, 2014 Share Posted February 17, 2014 ciao @Mario. la straordinaria complessità dell'essere umano fa sì che la nostra consapevolezza di essere al mondo - pur se alla pari con gli altri esseri animali non portatrice di alcuna verità assoluta circa la nostra origine, il senso del nostro esserci, il significato della morte - fa sì che, nei confronti della vita o del fatto di respirare e di esistere, noi si possa o, per chi vuole, si debba addirittura rispondere di ciò che facciamo sul pianeta terra. e del pianeta terra. dici che questa è la prova della subalternità degli altri esseri viventi rispetto agli esseri umani? sarà. ma c'è anche chi ha sostenuto che questa peculiarità eminentemente umana non fosse, poi, portatrice di chissà quale beneficio, derivato da chissà quale superiorità dell'essere umano rispetto agli altri esseri viventi. anzi. magari è il nostro problema. quale? il fatto di non accettare i nostri limiti, forse. lo stesso istinto di sopravvivenza che porta il leone a sbranare una gazzella è forse il solo argomento valido, per me, che può giustificare la strumentalizzazione degli animali da parte dell'uomo in vista della salvezza della vita dei propri simili. in tre parole, a ben guardare: la nostra animalità. se, ai nostri occhi, la sopravvivenza di un essere umano è ragione tale da giustificare il sacrificio degli animali ridotti a nostre cavie, per me, non dice altro che il nostro rifiuto della morte. se l'essere umano si serve dell'esercizio del diritto per regolamentare i diversi ambiti dell'esistenza - fino ad arrivare a conferire agli animali diritti che non è certo la natura a stabilire - è una conseguenza del fatto che, diversamente da quella degli altri esseri viventi, la condizione umana comporta o si fa carico di una responsabilità, il cui principio non si limita alla considerazione della vita come lotta per la sopravvivenza. il linguaggio, la cultura, la sempre più complessa organizzazione delle nostre società dicono, nel bene o nel male, la nostra umanità. che gli esseri animali (non umani) siano subalterni agli esseri (animali) umani è ovviamente un'affermazione condivisibile, finché guardiamo il mondo dal punto di vista della nostra storia. ma l'incontestabilità di questa affermazione non ci esime, comunque, dalla considerazione della nostra ineludibile mortalità. quella stessa per la quale la nostra storia racconta della nostra adattabilità, della nostra creatività, della nostra intelligenza, della nostra evoluzione così come della nostra ambizione, della nostra miseria, della nostra debolezza, della nostra fallibilità: perché si può pure arrivare sulla luna ma il nostro destino è comune a quello di qualsiasi altro essere vivente. siamo qui di passaggio. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
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