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L'identità


nak9

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ogni esperienza vissuta rende un essere umano soggetto della propria unica storia.

l'identità, a meno che non si voglia intenderla matematicamente, presuppone la diversità.

ognuno di noi parla in prima persona singolare, ma l'io non esprime di un essere umano che la superficie. anzi: la maschera sociale.

c'è chi pensa sia una esauriente definizione di se stesso quella che i dati anagrafici registrano (nome, sesso, stato civile, professione, altezza, colore degli occhi) e che a questa si limita fedelmente ad attenersi e c'è chi, invece, della propria identità ne fa una questione sempre aperta, il principio di un'indeterminatezza o dell'impossibilità di definire se stessi una volta per tutte.

 

il sesso e il modo di vivere la propria sessualità, nella misura in cui esprimono del nostro corpo quanto di ognuno di noi più si sottrae alla presa della ragione, è certamente un elemento primario e imprescindibile nella costituzione del proprio sé: un elemento del quale, a mio avviso, noi omosessuali, raggiunto un certo grado di esperienza e di consapevolezza, diventiamo la più profonda ed esplicita incarnazione. 

agli occhi di un eterosessuale il modo di vivere la propria sessualità difficilmente comporterà il porsi una questione circa la propria identità: scopa come natura crea. con il conforto, per di più, del "così fan tutti".

un omosessuale, invece, nella misura in cui deve necessariamente risalire una corrente che gli va, dalla nascita, contro, sempre che non soccomba alle mortifere semplificazioni o generalizzazioni o stigmatizzazioni sociali, tenderà a fare del proprio sesso e del modo di vivere la propria omosessualità una questione che attiene l'affermazione della propria identità, altrimenti negata o tradita.

 

quanto a me, ho assodato di essere lesbica e credo, ormai, di portarlo scritto in faccia.

ma, quando il fatto di portarlo scritto in faccia induce un altro a ridurmi a questa sola condizione per così dire minoritaria o eccezionale, mi sento fortemente combattuta tra il dare un pugno sul naso al mio interlocutore oppure lo stendere un velo pietoso sulla sua superficialità guardandolo dritto negli occhi e in silenzio tornando, intanto, ad ascoltare quella voce, di qua dalla mia pelle, che - come quella voce che è dentro ognuno di noi - è quasi sempre sconosciuta, misconosciuta, inaudita o inascoltata.

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