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La ricetta della Felicità


Sampei

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Tutti questi discorsi mi fanno venire in mente che quest'ansia di trovare la felicità, l'essere speciali per qualcuno, il tenersi occupati, in realtà sia solo la voglia di stare quanto più lontano possibile da quel rimosso che il caro vecchio Freud ha ben indagato: la morte.

La felicità per me è essere risolti con sé stessi. Non facile...

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Quando però riusciamo a essere speciali per le persone che ci sembrano speciali ecco che improvvisamente ci sentiamo felici.

 

Di recente, dopo aver per tantissimo tempo perseguito obiettivi per l'unico interesse personale di costruzione della mia persona, ho voluto provare a "raggiungere obiettivi" per poter essere "notato" da chi avrei voluto che mi notasse, ma la cosa mi ha fatto sentire triste e stupido. Come mai? Forse perché sono rimasto comunque inosservato. Se fossi stato notato allora sarei "felice".

 

C'è qualcosa che non va: è tutto molto meno "sotto controllo" di quanto possa esserlo una ricetta. Il risultato non può essere previsto, è del tutto casuale.

 

Bisogna dunque rassegnarsi nel procedere alla cieca? E in assenza del tanto agognato feedback, che cosa permette alle persone di orientarsi almeno un po' nelle loro attività e nelle loro scelte, nonostante l'obbligo di procedere a tentoni?

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@Salamandro

Peccato che "risolti con sé stessi" significhi tutto o nulla.

 

Vuoi sapere il senso vero della vita? Domandalo a un moribondo.

Chiedi a una persona che sta per lasciarci di cosa si rammarica maggiormente.

La risposta è sempre la stessa: "A vent'anni non ho scopato abbastanza"

 

Questa è la vera perfetta tragedia umana: le cose davvero belle durano un attimo.

Gli Antichi raccontano che l'Attimo è un giovane col ciuffo e la nuca rasata

che puoi afferrare solo quando viene verso di te e - una volta passato - è impossibile da riacciuffare.

 

 

Di recente, dopo aver per tantissimo tempo perseguito obiettivi per l'unico interesse personale di costruzione della mia persona, ho voluto provare a "raggiungere obiettivi" per poter essere "notato" da chi avrei voluto che mi notasse, ma la cosa mi ha fatto sentire triste e stupido. Come mai? Forse perché sono rimasto comunque inosservato. Se fossi stato notato allora sarei "felice".

 

C'è qualcosa che non va: è tutto molto meno "sotto controllo" di quanto possa esserlo una ricetta. Il risultato non può essere previsto, è del tutto casuale.

 

Bisogna dunque rassegnarsi nel procedere alla cieca? E in assenza del tanto agognato feedback, che cosa permette alle persone di orientarsi almeno un po' nelle loro attività e nelle loro scelte, nonostante l'obbligo di procedere a tentoni?

 

Brutto è sforzarsi di piacere e non riuscirci,

sembra quasi fosse meglio non averci provato affatto.

 

Il cazzo è un po' come un risultato universitario.

Sarebbe bello ottenerlo senza fare nulla, solo perché ce lo meritiamo.

E ci sembra ingiusto che chi si impegna poco sembri avere così tanti cazzi...

Ed è orribile studiare così tanto e ricevere un due di picche.

 

Sono i cazzi, i risultati universitari o le promozioni al lavoro a fare la felicità?

Sì, ovviamente. Oltre naturalmente ai risultati dell'Inter e ai successi dei figli.

 

Accettiamo che la vita è amara

e quel poco di nettare che ha da offrire

si assottiglia velocemente.

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Peccato che "risolti con sé stessi" significhi tutto o nulla.

Forse essere risolti significa non arrivare in punto di morte e rimpiangere di aver avuto pochi cazzi. Che prospettiva del cazzo!

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La mia felicità è... essere in relazione con un ragazzo che mi piace tanto e che ricambia i miei sentimenti.

 

Fin quando ero single avevo momenti felici, solo momenti, non questa felicità costante

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Cercando di collocarmi nell'ottica del ragazzo che va in palestra

e fa l'intervento chirurgico, direi che senza aver fatto nessuna delle

due cose, forse la felicità per me è stata l'ebbrezza della libertà, più

dell'espressione della forza di volontà.

 

Magari è stato lo stesso per lui essendosi liberato da dei gravi complessi

mentre coloro che perseguono un ideale di perfezione e successo, rischiano

di cadere nella trappola della disciplina, della costruzione di una identità un

po' autoreferenziale, in cui la volontà diventa fermezza morale.

 

Il palestrato disciplinato, regolato, saggio....per me è un moralista ( magari vi

suonerà strano, ma io la vedo così....ed almeno in parte c'è della verità )

 

L'idea che questa persona viaggi, sia disinibita etc. mi fa pensare che così

non sia per lui ( ma ovviamente non lo conosco la butto lì ) che lui sia in grado

di sentire l'ebbrezza della felicità

 

Però questa più che la ricetta della felicità è la mia ricetta per una felice

giovinezza

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Chiedi a una persona che sta per lasciarci di cosa si rammarica maggiormente. La risposta è sempre la stessa: "A vent'anni non ho scopato abbastanza"

 

Ma anche no XD non gira tutto attorno a quanto scopi. Uno potrebbe rammaricarsi, ad esempio, di avere messo da parte delle passioni importanti per dedicarsi ad avere un lavoro sicuro (che ne so, volevo studiare musica e fare il violinista, ma siccome quella del musicista è una professione precaria e poco redditizia ho preferito buttarmi su ingegneria); oppure di non avere coltivato abbastanza le amicizie; oppure...

 

Il non avere scopato abbastanza è solo uno dei possibili rammarichi. Uno/una si rammaricherà di non avere scopato abbastanza se è particolarmente importante per lui/lei scopare alla grande: a tutti piace il sesso, ok, ma non per tutti è il centro dell'universo. Per te magari è particolarmente importante e quindi costituirebbe un rammarico non averne fatto abbastanza, ma non generalizzare :D

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Il cazzo è un po' come un risultato universitario. Sarebbe bello ottenerlo senza fare nulla, solo perché ce lo meritiamo.

No dai, anche se il fallimento è sgradevole e frustrante, credo che sia comunque giusto faticare per ottenerlo, ha senso, almeno se per cazzo intendiamo qualcosa di specifico come una persona nel suo complesso, come un cazzo specificamente individuato (proprio quello lì), e non come un cazzo qualsiasi (a random); in quel secondo caso penso sia un po' ingiusto ottenerlo difficilmente, almeno in un'ottica di do ut des molto semplificata riguardo a contenuti e tempistiche.

 

 

coloro che perseguono un ideale di perfezione e successo, rischiano di cadere nella trappola della disciplina, della costruzione di una identità un po' autoreferenziale, in cui la volontà diventa fermezza morale.

E' verissimo, è un meccanismo estremamente pericoloso anche perché quando lo inneschi è difficilissimo sia accorgerti dove stai andando a parare per davvero sia cambiare o almeno correggere direzione.

 

 

 

Siamo felici se ci sentiamo di "sfruttare" al meglio noi stessi.

Questa è una frase interessante e andrebbe approfondita, facendo però attenzione all'insidiosissimo problema della ricerca della perfezione che è sempre dietro l'angolo.

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Potrei anche dire che felicità è avere la pancia piena, non soffrire di malattie dolorose o con gravi conseguenze, fare un lavoro che piace, avere un giro di amici/conoscenti con i quali ci si trova bene, non rimpiangere il passato, temere il futuro il meno possibile. La felicità assoluta è aderire completamente al momento presente, lasciando fuori tutto il resto. Un momento privo di sofferenza ovviamente. Ma ovviamente temo che sia una prospettiva inattuabile. 

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Questa è una frase interessante e andrebbe approfondita, facendo però attenzione all'insidiosissimo problema della ricerca della perfezione che è sempre dietro l'angolo.

Una persona felice questo problema non se lo pone: la ricerca della perfezione è una questione per sole persone infelici.

 

A chi è felice poco importa se quell'attimo è il migliore possile.

Gli basta il fatto che quell'attimo porta in sé la felicità di cui ha bisogno.

 

"Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto,

ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.

La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia" (K. Gibran).

Edited by Fe92
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@NewComer, il sesso è una metafora: la vera differenza la fa l'avere vent'anni.

 

Tutti i poeti hanno cantato la bellezza che sfiorisce

e le belle sconosciute che non abbiamo trattenuto...

i rimpianti per le scelte universitarie non hanno avuto l'onore dell'immortalità.

 

Credo che la felicità sia strettamente legata al non avere rimpianti:

alla consapevolezza di aver vissuto il più intensamente possibile.

 

Perché il sesso e non il violino? Perché il dionisiaco e non l'apollineo?

Appunto perché è effimero e pertanto incarna meglio il rimpianto.

Per visitare musei, godersi i tramonti e ascoltare ottima musica c'è sempre tempo

è il tempo dell'orgia, dell'entusiasmo e della frenesia che passa.

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Posso giusto aggiungere che la consapevolezza di essere sbagliati e della necessità di doversi modificare sia mentalmente che fisicamente è piuttosto destabilizzante perché di solito ti insegnano che non sei tu ad essere sbagliato. Invece è così: sei proprio tu ad essere sbagliato. La ricetta diventa "semplice" nel momento in cui realizzi quanto sei sbagliato come persona per perseguire ciò che ti interessa, quanto siano errati e fuori luogo i tuoi connotati e la tua mente, cosicché puoi procedere alla coartazione della tua identità psicofisica per il raggiungimento di ciò che ti interessa.

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Personalmente concordo abbastanza con Gilbert, non vedo la felicità come qualcosa di stabile e perdurante, ma come frangenti effimeri capaci comunque di sprigionare un gran forza e che poi costituiscono i picchi di quel sentore maggiormente duraturo che intendo per serenità.

Non credo esistano ricette, la trovo una questione esageratamente soggettiva, personalmente non credo che rimpiangerò mai di non aver scop##o abbastanza (senza nulla togliere a chi dà estrema importanza a questo aspetto, ovviamente), non mi perdonerei invece il non potermi guardare tranquillamente allo specchio qualora mi rendessi protagonista di atti vergognosi.... Ed ora la mia (banale) ricetta personale: vorrei vivere in una piccola casa in un posto che mi piace, vorrei un lavoro che non mi dia troppi pensieri, che mi lasci abbastanza tempo libero, e mi dia il necessario per vivere tranquillamente e magari qualche soddisfazione nei rapporti con gli altri, vorrei un cane (se avessi tempo per occuparmene), vorrei tempo e modo di occuparmi dei miei hobby/sport, e di seguire le mie passioni, viaggiare, vorrei pochi amici ma di quelli con la A maiuscola, e una vita sentimentale/sessuale appagante (non penso si possano fare programmi troppo dettagliati in tal senso, per la serie "quelli che cercano una relazione" li sento mooolto distanti dal mio modo di pensare).... non mi viene in mente altro :)

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Ahahah piantatela di linkare struggenti e accorate melodie d'altri tempi! Scrivetemi qualcosa di bello! Dai qualsiasi cosa va bene, una frase ad effetto, una considerazione subitanea, un afflato liricheggiante, un'ottava in endecasillabi sciolti.

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@NewComer, il sesso è una metafora: la vera differenza la fa l'avere vent'anni.

 

Tutti i poeti hanno cantato la bellezza che sfiorisce

e le belle sconosciute che non abbiamo trattenuto...

i rimpianti per le scelte universitarie non hanno avuto l'onore dell'immortalità.

 

la tua visione della 'bellezza che sfiorisce' francamente mi mette un po' ansia....

ognuno ha i suoi tempi nel trovare l'amore...

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Ahahah piantatela di linkare struggenti e accorate melodie d'altri tempi!

 

Ma devi ammettere che contengono risposte precise e meditate al tuo quesito :D

 

In ogni caso, io penso che la felicità sia troppo instabile e malsicura per poter essere un concetto operativo nella vita. Potrei fare mille esempi di come la felicità fondata su cose-persone-beni-traguardi posseduti o raggiunti può cessare da un momento all'altro per il più imprevisto e crudele dei motivi. Riporre poi la felicità nel piacere agli altri o nell'avere successo è un concetto troppo passivo e limitato della felicità.  Ci sono alcune cose che bisogna assolutamente avere nella vita per non stare male, non essere infelici, ma se si cerca la più importante, quella da cui tutto il resto dipende, per me bisogna indicarlo nell'entusiasmo, (adesso userò diverse espressioni, ma per indicare uno stesso atteggiamento psichico), nella capacità di avere desideri e realizzarli (il conatus di Spinoza), nella capacità di progettarsi e nell'avere interesse per la vita - meglio se un forte interesse per la vita. Chi ha questo, ha tutto, o almeno ha l'essenziale; chi non ha questo, non sarà mai felice (o sereno, o quale che sia il termine che si voglia usare). 

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Accettiamo che la vita è amara

e quel poco di nettare che ha da offrire

si assottiglia velocemente.

 

...ma è solo per via del compleanno che mi sei più crepuscolare del solito? :D

 

Ci sono alcune cose che bisogna assolutamente avere nella vita per non stare male, non essere infelici, ma se si cerca la più importante, quella da cui tutto il resto dipende, per me bisogna indicarlo nell'entusiasmo, (adesso userò diverse espressioni, ma per indicare uno stesso atteggiamento psichico), nella capacità di avere desideri e realizzarli (il conatus di Spinoza), nella capacità di progettarsi e nell'avere interesse per la vita - meglio se un forte interesse per la vita. Chi ha questo, ha tutto, o almeno ha l'essenziale; chi non ha questo, non sarà mai felice (o sereno, o quale che sia il termine che si voglia usare). 

 

Apprezzo il riferimento a Spinoza, anche se io non credo l'entusiasmo abbia a che fare poi colla serenità...perché se il mio entusiasmo non è premiato da un qualche risultato, alla lunga si rischia di deprimersi (...su poche cose sono "testone", ma qualche volta mi vien ricordato che perseverare è diabolico...).

 

A mio avviso piacere a chi ci piace, come suggerisce Almadel (se inteso in senso lato e quindi anche al di là del desiderio erotico) è un buon indizio per cogliere il nocciolo della soddisfazione, o della realizzazione (compresa in senso ampio): molte volte quel che si desidera, anche chessò in un ambiente di lavoro, è di riuscire ad entrare in una comunità entro cui il tuo contributo è apprezzato, le tue idee valorizzate, il tuo sforzo apprezzato. E divertirsi. Ecco, combinare tutte queste esigenze per me è stato quasi un lavoro per un po' di tempo (pur non avendo io quasi mai "lavorato" con regolare retribuzione)...al solito ho esagerato, volevo piacere a troppi.

Edited by schopy
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Io desidero piacere a chi piace - il Bello - essere amico di chi ha

molti amici - il Simpatico - lavorare per chi è in grado di valorizzare

le mie capacità - il Potente.

 

Il Bello, il Simpatico ed il Potente...ci trascina dalla raffinatezza di Milly

in quella che sembra la parodia del titolo di un film di Sergio Leone Lol

 

Ma è un esempio che mi serve per rendere evidente una cosa: io nel titolo

non ci sono...ci sono Loro

 

Certamente può essere un inizio di vita: un balsamo per l'autostima fragile

di un adolescente, un modo per integrarsi in una comunità ed iniziare ad

aver fiducia in se stessi però come credo abbia inteso dire e già spiegato

Isher, è un atteggiamento troppo passivo-limitato

 

Gli Attori nel titolo sono altri....come minimo da questo insieme di cose dovrei

ricavare il Mio ruolo nel film

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Gli Attori nel titolo sono altri....come minimo da questo insieme di cose dovrei ricavare il Mio ruolo nel film

 

Trovare un ruolo... già... trovare il proprio ruolo...

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Trovare un ruolo... già... trovare il proprio ruolo...

Io ad esempio non avrei proprio idea di che vuol dire, a me sembra che l'esistenza sia un continuo tentativo di restare in equilibrio su un filo steso tra due grattacieli, sperando che non arrivi una botta di vento

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La felicità è relazionata strettamente alla situazione esistenziale di ognuno. Se ho un cancro terminale e sono nel mio letto di morte, tutto ciò che mi farebbe felice sarebbe o la possibilità di una guarigione miracolosa o il non vedere più il sole sorgere. Se sono un bambino africano, la felicità è tutta nella scodella di riso che mangerò oggi a pranzo (sempre che quella scodella di riso ci sia) e cioè sarà legata al soddisfacimento dei cicli di produzione e distruzione che mi legano alla terra. Se sono un individuo LGBTQI la mia felicità sarà legata alla possibilità che la mia agency possa venire amplificata (potendomi sposare, potendo non temere di girare per mano con la persona che amo per strada, godendo di pari diritti civili). In genere l'individuo bianco, eterosessuale e di classe media fa coincidere la felicità con le classiche pretese del sistema eteronormativo/eterosessista: un lavoro, una famiglia, soldi. La differenza fra quest'ultimo e le tre persone di cui sopra è la gratuità con cui:

 

- ha la salute;

- ha da mangiare;

- ha piena agency sul suo orientamento di desiderio.

 

Così la sua felicità si perverte su altre cose, in genere dettate dal sistema eteronormativo-eterosessita.

 

La felicità non si può scindere dalla situazione esistenziale di ognuno perché averla “pura” è impossibile, esattamente come una rabbia pura o un odio puro. È intenzionale, ha sempre un oggetto cui tende senza il quale non avrebbe una raison d'etre.

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Io potrei però dire che tutti i vari "oggetti", altro non sono che "fini" accomunati dal fatto

di realizzare una funzione vitale, che li precede

 

Se parliamo poi di felicità come sensazione intensa, il conseguimento del fine mi fa sentire

"realizzato" non più limitato In senso fisico-psicologico

 

La limitatezza fisica è facile ad individuare perché si richiama a bisogni fisiologici del corpo

( camminare-muovermi, bere, mangiare, riposare, fare sesso etc ) quella psicologica esemplificata

da Demò ( mi sento come appeso su un filo....quindi limitatissimo ) è meno facile da individuare

 

Tu delinei un "modello sociale" che potremmo chiamare da Mille lire al mese:

 

un modesto impiego...una casettina in periferia, una mogliettina giovane e carina

 

Certo è un modello "proibito" ad un omosessuale, che in effetti in quegli anni poteva

realizzare solo pervertendosi, cioè diventando eterosessuale ed in effetti molti gay

o omosessuali lo facevano...non possiamo certo dire con quali esiti esistenziali perché

il presupposto di questa scelta era l'adesione ad una congiura del silenzio.

 

Come dice la canzone bisogna non aver pretese, la felicità è tranquillità, ciò che si

consiglia è una accettazione della limitazione in senso psicologico individuale, in nome

del buon ordine della società ( la tranquillità sociale ) e forse - volendo dar credito alla

ideologia della canzone - in nome di un grado maggiore di realizzazione sociale

 

Se ognuno chiede poco, quel poco basta per tutti

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 Chi ha questo, ha tutto, o almeno ha l'essenziale; chi non ha questo, non sarà mai felice (o sereno, o quale che sia il termine che si voglia usare). 

Non è possibile esprimere il concetto meglio di così ^_^

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La felicità non si può scindere dalla situazione esistenziale di ognuno perché averla “pura” è impossibile, esattamente come una rabbia pura o un odio puro. È intenzionale, ha sempre un oggetto cui tende senza il quale non avrebbe una raison d'etre.
 

 

Io potrei però dire che tutti i vari "oggetti", altro non sono che "fini" accomunati dal fatto di realizzare una funzione vitale, che li precede

 

Naturalmente sono d'accordo con Hinzelmann, stiamo sostenendo lo stesso punto di vista. Aggiungerei che questa funzione vitle, che precede, questa facoltà interna soggettiva che orienta il nostro essere, di cui parlavo, è produzione di felicità (quando riesce, beninteso) e che quindi il discorso sulla felicità per essere sensato, e anche concreto, non può essere sulla felicità come 'stato', ma sulla generazione di felicità. Non vorrei insistere con sia pur blandi richiami alla terminologia filosofica, ma il discorso sulla felicità riporta alla centralità di una istanza soggettiva legislatrice, all'a priori. La controprova è il dolore, che è un po' il contrario della felicità (per alcuni può essere la noia, o il mal de vivre): se non si mette in moto questa istanza soggettiva produttrice, orientativa, non lo si supererà mai. 

 

Grazie @Viola

 

 

 

A mio avviso piacere a chi ci piace, come suggerisce Almadel (se inteso in senso lato e quindi anche al di là del desiderio erotico) è un buon indizio per cogliere il nocciolo della soddisfazione, o della realizzazione (compresa in senso ampio): molte volte quel che si desidera, anche chessò in un ambiente di lavoro, è di riuscire ad entrare in una comunità entro cui il tuo contributo è apprezzato, le tue idee valorizzate, il tuo sforzo apprezzato.

 

Tu ti riferisci al lavoro e all'ambito lavorativo, e certo realizzazione e soddisfazione implicano sempre un riscontro oggettivo, un dato empirico e quindi un riferimento all'oggettività, che in questo caso possono essere'gli altri', su questo sono d'accordo con te. Ma anche in questo caso questa deve essere, a mio parere, sempre una conseguenza, deve essere sempre seconda: guai a farla diventare prima. O almeno: molto meglio se è seconda e completiva, non l'asse o il criterio di riferimento.

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