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Muore Brittany Maynard


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Brittany Maynard, 29 anni e malata di tumore al cervello. Inizialmente i medici le avevano diagnosticato una prognosi migliore, ma sottoponendola a nuovi esami il colpo di grazia: solo 6 mesi di vita. La ragazza decide di scegliere come e quando morire,  trasferendosi così in Oregon, uno degli Stati in cui è legale l'eutanasia. E così, dopo aver festeggiato il compleanno del marito, decide di farla finita, circondata soltanto dai suoi cari.

 

Questa è in sintesi la sua storia. Voi che ne pensate? Trovate giusto che un malato possa decidere di interrompere le cure e farla finita, sapendo che non ci sono più speranze? Oppure che debba resistere fino all'ultimo, vivendo ogni singolo istante che gli rimanga? 

 

http://www.huffingtonpost.it/2014/11/03/brittany-maynard-morta_n_6091934.html?utm_hp_ref=italy

Edited by Kador88
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Ho sentito anche io questa storia, devo dire che mi ha toccato molto... 

 

Non sono contrario all'eutanasia, anzi. Da futuro medico penso che, dato che l'obiettivo di un medico è quello di salvare la vita, se già si sa che non esiste una cura per quella determinata malattia e che l'esito sarà solo uno (purtroppo)... beh... perché soffrire? Perché impedire ad un persona di decidere liberamente su cosa fare della propria vita visto che i medici non possono fare più nulla? Certo, sono vicende che dal punto di vista umano toccano molto, ma non mi sento di criticare la sua scelta.

 

Potrei parlare dell'eutanasia per ore, dato che sto seguendo il corso di bioetica all'università, e l'eutanasia è uno degli argomenti di cui parliamo più spesso. Non so voi cosa ne pensiate, ma secondo me l'eutanasia dovrebbe essere rivalutata.

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Metamorphoseon90

Credo sia un tema molto importante e complesso da trattare e la voglia di approfondirlo m'ha spinto a sostenere almeno un esame di bioetica all'università (senza che venirne a capo totalmente, però).

Tralasciando la differenza tra eutanasia attiva e passiva, irrilevante, bisognerebbe porre quella tra eutanasia e rinuncia all'accanimento terapeutico. Nel secondo caso non ci si procura la morte, essa è il naturale compimento dell'aver scelto di evitare un trattamento troppo gravoso che il paziente non può né vuole tollerare: se, infatti, ad un malato terminale dovessero essere richiesti interventi ulteriori che non porterebbero chissà quali benefici, ma allungherebbero anche di poco la cronica esistenza, rinunciare ad essi non significherebbe rinunciare alla vita, ma evitarsi un gravoso ed artificioso procedere*. Eticamente è quindi diverso: X malato di cancro non muore quando lo decide lui, e sèguita a resistere fino all'ultimo, pur soffrendo (sofferenza che, però, non protrae artificiosamente); se, invece, X decide di morire in un determinato momento egli semplicemente abbraccia la morte, quindi il suo essere sceglie di non esistere più.

 

Fatto questo preambolo molto teorico, che razionalmente comprendo, non posso condannare la scelta, ed anzi mi verrebbe quasi da ammirarne il coraggio. Non sappiamo, infatti, quanto soffra una persona in un tale stato di salute, né possiamo definire a priori una regola di comportamento del tipo «devi resistere ad ogni costo» perché ognuno è diverso, ed ognuno reagisce al dolore in modo differente.

Io stesso non posso giurare che combatterei con tutte le mie forze contro una malattia invalidante: non posso affermare con sicurezza che non vorrei porre fine anch'io quando lo decido io della mia vita. Il livello emotivo, quindi, cozza contro quello razionale.

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* e, stranamente, un pontefice non propriamente apertissimo, negli anni Cinquanta pose questa distinzione tra mezzi ordinari e straordinari di prolungare la vita d'un paziente, ritenendo che il singolo potesse scegliere di rinunciare a questi ultimi, se appunto essi richiedevano uno sforzo intollerabile da sopportare. Il pontefice in questione è Pio XII (cfr. Discorsi ai medici) [per parentesi, l'insegnamento della Chiesa non è che l'abbia molto seguìto...].

Edited by Metamorphoseon90
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Metamorphoseon90

É una differenza fondamentale! Per quanto l'esito sia il medesimo cioè la morte. Ma diverso è il modo in cui essa sopraggiunge.

A questo punto dovremmo chiamare in causa anche il testamento biologico, ma si amplierebbe il tema.

Resta comunque, secondo il mio modo di vedere, impossibile giudicare un'azione come quella oggetto del topic poiché la ragione giudicherebbe in abstracto senza considerare la specificità di ciascuna situazione.

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Assolutamente! Credo che bisognerebbe provare di più a mettersi nei panni di chi si trova in situazioni del genere (per quanto sia possibile), piuttosto che giudicare e parlare senza una reale cognizione di causa. Come hai detto tu, è una di quelle questioni in cui ragione e sentimento vanno in due direzioni opposte.

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Fermo restando che io personalmente sono contro l'eutanasia o comunque la scelta volontaria di farsi morire, trovo però giusto che una persona, ovviamente in condizioni psichiche valide, possa scegliere liberamente che fare della propria vita. Dopotutto sta scegliendo qualcosa solo su se stessa non su altri, tipo l'aborto, per cui nessuno può avere il diritto di scegliere per lei.

Edited by cangrande
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Chi la critica per aver scelto come morire è semplicemente dispatico. Alla fine della vita tutto quello che ci rimane è contemplare costantemente il tramonto della nostra esistenza, rileggendo una ad una le pagine che abbiamo scritto. Ed esattamente come quando viviamo senza “sentire” la morte vorremmo essere in ogni attimo noi stessi gli autori della nostra storia, dovrebbe essere un nostro diritto esserlo anche per scriverne la fine.

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mio padre aveva un cancro alla prostata finito nelle ossa. alla fine il cancro all'interno del midollo spinale l'ha paralizzato e poteva solo stare sdraiato. gli si riempirono i polmoni di muco o liquido che gli veniva aspirato e poi alla fine è morto soffocato dal muco o liquido prodotto dai suoi stessi polmoni all'interno. alla fine aveva anche dolori alle ossa causati dal cancro che neppure la morfina glie li toglieva e diceva di non poterne più.

quando morì io non c'ero, ero tornato due giorni a zurigo e morì proprio quando io non c'ero, per fortuna mia. mia madre mi disse che ci mise un bel po' a morire.

 

mia madre ora ha demenza senile. dimentica tutto, crede che sua madre sia ancora viva (morta da 40 anni) e ragiona sbagliato. ha allucinazioni e vede persone che non esistono o crede di avere i bambini piccoli in casa. ha perso la nozione del tempo. a volte ha dei momenti lucidi in cui si rende conto di aver perso tutta la memoria e allora diventa triste e piange. poi per fortuna si dimentica che ha perso la memoria e si riprende.... non so quanti anni vivrà ancora ma la demenza continuerà a peggiorare finchè vive.

 

un cane che abbiamo avuto aveva un'insufficienza cardiaca. siccome il cuore pompava troppo poco si formava acqua nella pancia (prendeva un diuretico per aiutare a eliminarla ma era un circolo vizioso perchè poi beveva di più per il diuretico) e alla fine anche i suoi polmoni si riempirono di acqua e il veterinario ci disse che andava addormentato subito perchè ora il cane non stava più bene.

 

non è più dignitoso morire addormentato come il mio cane piuttosto che affogare nei propri polmoni come mio padre ?

 

al punto dove si trova mia madre secondo me sarebbe meglio che morisse. prima di avere demenza era terrorizzata di finire proprio con demenza e poi l'ha avuta. 

 

perchè permettiamo l'eutanasia agli animali ma non alle persone ? mah.

 

in svizzera c'è il suicidio assistito per i malati inguaribili terminali dato tramite un'associazione exit a chi lo desidera. nella mia famiglia però sarebbe stato un tema tabu.

Edited by marco7
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Il fatto come hanno già detto sta proprio nella prorpia etica morale, se poi sei credente oh, bye bye li si che son cazzi, dalle mie parti non di dovrebbe mai parlare di eutanasia, "la vita va considerata come un bene prezioso, rinunciarci è sempre un pecato capitale", tuttavia la loro idea di "preservare la vita" spazia tra: convire con la malattia finchè non ti farà impazire dal dolore all'accanimento terapeutico....

In sostanza qui nessuno può dire che la ragazza abbia fatto la scelta giusta, ma ha valutato la migliore delle fini, ovvero, restano sei mesi di vita, saprai che un momento ci sarai e quello dopo magari non saprai nemmeno chi sei, le cure saranno inutili, morirai tra dolori atroci, insomma, se voleva poteva lottare fino all'ultimo, affrontare il dolore, ma avendo i suoi cari vicini, oppure, morire prima che arrivi il momento in cui sarà poco più che capace di intendere e di volere, godendosi appenieno la compagnia dei suoi cari...

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il fatto è che la vita appartiene a quella ragazza e ha il diritto di decidere quando terminarla, come tutti dovrebbero averlo.

 

i cattolici invece spesso dicono che dio ti ha dato la vita e solo dio te la può togliere. da qui il divieto cattolico assoluto all'eutanasia.

Edited by marco7
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Ognuno deve godere del sacrosanto diritto di decidere che cosa fare del proprio corpo e della propria esistenza.

Non tollero chi condanna la sua scelta, non ci si deve arrogare la presunzione di giudicare le scelte che una persona compie circa qualcosa che lambisce solo la propria sfera personale, senza terzi coinvolgimenti. 

Ci si faccia un po' più i propri affari e si rispetti la coraggiosa scelta di una donna che ha deciso di anticipare l'exitus evitando inutili sofferenze. Chapeau.

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AndrejMolov89

La ponete come fosse una questione inerente unicamente la ragazza. La sua scelta è stata consapevole, ma credo che la maggiore componente sia stata anche quella di preservare le proprie persone care da un'infinità di dolore senza fine. Quando una persona a cui si vuole bene sta male senza possibilità di recupero, quando soffre talmente tanto da non essere più neppure in grado di restituire l'affetto e la cura datagli, si crea inevitabilmente una catena di sofferenze per la famiglia. La scelta di morire in questo caso ha permesso di poter morire in piena consapevolezza di sé, e soprattutto con la certezza che la famiglia abbia un ricordo piacevole. Io la trovo molto coraggiosa e soprattutto altruista. Perché una persona che sceglie consapevolmente di ridursi la vita perché sa che quello che le aspetta sarà una tortura non solo per lei, ma anche per altri, lo fa anche per i suoi cari.

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