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felicità ed orientamento sessuale


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spesso si usi la parola felice con un significato che poco ha a che vedere con la stessa.
"Spesso" in che senso? Chi lo fa? Sei sicuro di non essere tu a credere che la gente faccia spesso qualcosa che non è vero che fa? Quanti omosessuali conosci che hanno usato quelle parole che tanto ti scandalizzano e le hanno usate proprio in quella specifica accezione alterata che tu vuoi assegnare loro? Lo hai verificato? Li hai intervistati? Devi avere un dato certo per poter dire quello che affermi, altrimenti non resta che re-inquadrare l'intero discorso nella sega mentale passeggera di un ragazzo che non è ancora pronto a fare coming out e si sente quindi spinto (più o meno consapevolmente) a giudicare a priori il concetto stesso di coming out, degradando e svilendo il più possibile la portata che esso può avere nell'affermazione dell'identità di chi lo fa.

 

E' comprensibile che tu sia preoccupato e spaventato, è invece brutto che tu ti senta spinto a invidiare la gente che usa in modo più disinvolto una parola cui tu hai assegnato un valore probabilmente molto più esagerato ed iperbolico di quanto non facciano gli altri comunemente, sentendoti in dovere di ribadire una netta linea di demarcazione fra il tuo concetto astratto, eterno, etereo, beato... - ...religioso! - di "felicità" e ciò che è l'oggetto delle tue paure attuali, cioè la tua identità di omosessuale e i suoi risvolti esistenziali concreti.

 

D'altra parte è tipico delle persone omofobiche oggettivizzare fino all'inverosimile l'omosessualità pur di schiacciare qualsiasi insorgere di manifestazione empatica in suo favore, insomma pur di trovare un ultimo, un ultimissimo appiglio per poter evitare l'identificazione completa con qualcosa che in fondo in fondo è oggetto di ingiusto ripudio sociale da un paio di millenni... insomma quasi per poter dire all'interlocutore omofobo... vabé dai almeno su qesto ti do ragione. E il tuo cavillare ne è un esempio, per fortuna uno dei più leggeri e meno gravi. Credo che ti manchi poco per poterti finalmente sentire bene con te stesso e scoprire che della reazione di un omofobo non si può salvare nemmeno una microscopica sillaba.

 

 

Sei sicuro di non essere tu a credere che la gente faccia spesso qualcosa che non è vero che fa?

sì sono sicuro. Per ragioni sia professionali che non (mi occupo di educazione, sia a titolo di volontariato che a titolo professionale) ho a che fare spesso con ragazzi di varie età e con adulti che si occupano di educazione e formazione. E noto che non ci sta chiarezza nel concepire alcuni concetti (come quello di felicità ad esempio) che, secondo me, sono invece moto importanti per lo sviluppo complessivo della persona.

Da lì ho fatto un collegamento (questo sì esclusivamente basato sull'esperienza personale) con alcuni ragazzi che mi hanno raccontato dei loro coming out; d'altro canto non ci stava nessuna ambizione scientifica nelle mie considerazioni. Te hai montato questa cosa, perché forze sei te che ti senti spaventato semplicemente dall'accostamento di due cose (orientamento sessuale  felicità). E mi dispiace. Ma la tua reazione scomposta e supponente (altri mi hanno risposto in modo netto, e hanno fatto bene) non ha alcun senso.

 

Il fatto he io tendo a cavillare e oggettivizzare è semplicemente un mio modo per riflettere sulle cose, non ci sta nessun risvolto omofobico. Io anzi contesto proprio questo. In realtà io contesto proprio il fatto che ci si debba sentire in dovere di mettere in guardia gli altri dal fatto che l'omosessualità non impedisce il poter essere felici. Probabilmente (e qui faccio ammenda), ho dato per scontata una serie di cose, che è invece bene prendere in considerazione

 

 

una parola cui tu hai assegnato un valore probabilmente molto più esagerato ed iperbolico
O, magari, un po' più profondo. 

 

 

reazione scomposta e supponente

 

No, Sampei ha il sacro fuoco del militante, non è supponente!

 

 

 

Io anzi contesto proprio questo. In realtà io contesto proprio il fatto che ci si debba sentire in dovere di mettere in guardia gli altri dal fatto che l'omosessualità non impedisce il poter essere felic

 

Rifletti un attimo su questo...pensa di avere un padre che ha 55 anni 

 

E' etero, quindi non è che negli ultimi 30 anni ha seguito per filo e per segno

l'evoluzione della questione omosessuale

 

Si è formato come individuo 30 anni fa quindi la sua idea di omosessualità si è formata

fra il 1975 ed il 1985

 

Un'epoca in cui andavi al Cinema e l'omosessuale era o l'assassino o la vittima di un'assassino

ed in ogni caso l'omosessuale moriva prima della fine del film, poi è arrivato l'AIDS etc

 

Qui non si tratta di decidere - come educatore - come impostare la questione con le nuove

generazioni che crescono in un contesto diverso, ma di relazionarsi con le vecchie generazioni

cresciute nell'omo-negatività ( che sarebbe la componente culturale dell'omofobia ) Omonegatività

che era funzionale all'eteronormativo, cioè alla dimostrazione che c'era un unico tragitto possibile di

felicità, quello eterosessuale per sé in primo luogo ma anche per i propri figli

Tu sei un educatore? E quindi per conciliare le tue perplessità che cosa penseresti di fare? Non so, magari, mentre i tuoi assistiti ti raccontano i loro co, intervenire dicendo: "eh no! non devi dire che sei felice, devi dire che sei realizzato-barra-sereno-barra-aspetti-di-trovare-soddisfacimento-nella-vita-lavorativa altrimenti il tuo interlocutore omofobo avrà una cattiva impressione di te ritenendoti supponente e altezzoso".

 

Ecco dove sapevo che saresti andato a parare. Il cagarsi addosso di fronte all'opinione che può avere di te l'interlocutore omofobo. Avere paura di un confronto personale ci sta, invece ritenere epistemologicamente legittima l'inibizione di determinate modalità di confronto personale fra gli altri perché le si ritiene "non sufficientemente adeguate a standard grammaticali psico-cognitivi" è aberrante, e dimostra inoltre una pericolosa incapacità di osservare gi altri come se fossero persone calate in uno specifico contesto socioculturale, e non come schemini junghiani.

 

Ti ricordo che con la solita scusa stereotipata del "non c'è bisogno di chiarire che" migliaia di omosessuali non fanno coming out, perché tanto non ce n'è bisogno, non vivono una vita sociale omosessuale, perché tanto non ce n'è bisogno, non parlano con altri omosessuali, perché tanto non ce n'è bisogno, obbediscono alle aspettative eteroconformanti, perché tanto non c'è bisogno di fare altro, ecc ecc.

 

 

 

O, magari, un po' più profondo.

Ancora peggio, perché questo conferma l'improbabile contenuto moralisticheggiante che sembri proprio voler dare ad un concetto descrittivo. Non sono sicuro che tu lo faccia del tutto consapevolmente. Forse non è colpa tua ma spero che tu te ne accorga, perlomeno per non fare danni durante l'esercizio della tua attività lavorativa.

Edited by Sampei

 

 

mentre i tuoi assistiti ti raccontano i loro co

 

Non credo che essendo gay non dichiarato assista ragazzi gay che si sono

dichiarati, sarebbe incongruo e sbagliato

 

Suppongo abbia assommato una generica formazione professionale all'esperienza

di amici gay che gli hanno raccontato il loro CO. solo che non avendo vissuto concretamente

l'esperienza, la giudica in modo astratto secondo coordinate che ( ma non è una sua specifica

colpa ) ignorano il dato fondamentale; cioè la cultura gay che ha prodotto una storia ed un

senso del CO

 

O lo si affronta in concreto, o lo si studia a partire dalla cultura che l'ha prodotto 

 

 

Suppongo abbia assommato una generica formazione professionale all'esperienza di amici gay che gli hanno raccontato il loro CO.

Esatto. È più o meno così, premesso che non è un lavoro a tempo pieno, però me ne sono occupato spesso.

 

mentre i tuoi assistiti ti raccontano i loro co, intervenire dicendo: "eh no! non devi dire che sei felice, devi dire che sei realizzato-barra-sereno-barra-aspetti-di-trovare-soddisfacimento-nella-vita-lavorativa altrimenti il tuo interlocutore omofobo avrà una cattiva impressione di te ritenendoti supponente e altezzoso".

A parte, come ribadito sopra, che non "assisto" ragazzi che fanno coming out. E che chi si occupa di educazione/formazione non ha come compito quello di dire ad un altro le cose si fanno così o cosà, ma, piuttosto, quello di far sì che quella persona abbia degli strumenti in più per affrontare determinate problematiche o esperienze...

E, soprattutto, io non mi sognerei mai di dire ad uno come deve fare coming out. Davo per scontato (e, forse, facevo male) che il coming out ha un valore di per sé. E ritengo, pertanto, che comunque lo si faccia, a mio avviso, è una cosa bella...magari evitando di sconfinare nel penale ;)

Volevo semplicemente condividere una prospettiva diversa (o comunque mia) su un aspetto.

 

 

 

Rifletti un attimo su questo...pensa di avere un padre che ha 55 anni    E' etero, quindi non è che negli ultimi 30 anni ha seguito per filo e per segno l'evoluzione della questione omosessuale   Si è formato come individuo 30 anni fa quindi la sua idea di omosessualità si è formata fra il 1975 ed il 1985   Un'epoca in cui andavi al Cinema e l'omosessuale era o l'assassino o la vittima di un'assassino ed in ogni caso l'omosessuale moriva prima della fine del film, poi è arrivato l'AIDS etc   Qui non si tratta di decidere - come educatore - come impostare la questione con le nuove generazioni che crescono in un contesto diverso, ma di relazionarsi con le vecchie generazioni cresciute nell'omo-negatività ( che sarebbe la componente culturale dell'omofobia ) Omonegatività che era funzionale all'eteronormativo, cioè alla dimostrazione che c'era un unico tragitto possibile di felicità, quello eterosessuale per sé in primo luogo ma anche per i propri figli

Va benissimo. Ma è anche vero che siamo nel 2015. Se l'eterosessuale ha un minimo livello culturale, secondo me può ben adattarsi allo spirito dei tempi, senza che io SIA COSTRETTO a rassicurarlo sul fatto che la mia omo/bisessualità possa ostacolarmi nell'essere felice. E, ribadisco, non biasimo chi lo fa. Mi fa pensare però che ci sia bisogno ancora di questo. E che, magari (soprattutto se non parlo con un settantenne) se, anche solo implicitamente, questa cosa venga messa in discussione, piuttosto che rassicurare, si potrebbe affrontare la cosa in modo diverso. 

 

Infine questo un articolo di qualche tempo fa di Claudio Rossi Marcelli. Non può diventare "la scusa per non fare coming out". Credo che oggi ancora ce ne sia molto bisogno. Ma penso anche che questo dovrebbe essere l'orizzonte cui guardare.

 

http://www.internazionale.it/opinione/claudio-rossi-marcelli/2013/07/15/la-fine-del-coming-out

Si tende forse ad associare la felicità all'esser gay per rassicurare l'altro, per dirgli "guarda, non è come pensi tu che si sta male, eh", perchè in fondo gli altri a volte un po' lo pensano davvero, specie se non già attenti alla tematica.

 

Mi par ovvio che la felicità sia riferita ad uno stato di serenità verso la cosa, e non alla vita tutta... vedrei la cosa, quindi, come una semplificazione linguistica, non supportata da alcuna riflessione profonda di fondo...

Edited by Fe92
Hinzelmann

 

 

Mi fa pensare però che ci sia bisogno ancora di questo

 

A parte il fatto che se per spirito dei tempi sottintendessimo l'emancipazione degli omosessuali

dovremmo constatare che Claudio Rossi Marcelli se l'è andata a realizzare all'estero ( prima in

Svizzera e poi in Danimarca ) quindi altrove

 

In Italia l'emancipazione degli omosessuali è del tutto irrealizzata, quindi manca anche il presupposto

per poter immaginare il cambiamento ( che lui immagina in Danimarca guardando un film americano )

 

Ma poi ciò che tu immagini sul CO è del tutto astratto, perché lo stesso cambiamento promuove semmai

una anticipazione del CO, che tende ad avvenire ad età sempre inferiori e ad essere l'atto affermativo di

un adolescente, di un ragazzino ( in famiglia ed in classe ) e non di un adulto

 

Tu non puoi mettere sullo stesso piano il CO in famiglia di un ragazzino, col CO che lo stesso ragazzino

cresciuto farà a 26-28 anni, quando comunicherà di essere gay al suo datore di lavoro

Anch'io penso che quando in un CO si dice di essere felici, si intende essere felici così come siamo. Nel senso di essersi accettati. Perchè per alcuni scoprirsi gay ed accettarsi non è un passo facile, e quindi dirlo in un CO ci sta benissimo. E' per farlo capire agli altri...

 

Poi riflettendo sul concetto di felicità, penso che sia molto personale. Ognuno la vede in qualcosa, in campo affettivo, professionale, ma di per sè essere felici perchè si è gay... ripeto, secondo me va intesa nel senso di essersi accettati come siamo, in fondo non è una scelta o un traguardo che abbiamo raggiunto... ahahahahahah

 

Sullo svantaggio di essere gay in questa società, mi pare che ci sia poco da dire... la dimostrazione è questo stesso forum, che non esisterebbe se la società ci avesse pienamente accettati. Comunque, io non ho mai pensato di essere dalla parte sbagliata, semmai ho sempre pensato che lo fossero gli altri, non in quanto eterosessuali, ma con i loro pregiudizi (che derivano da paure sessuofobiche, retaggio della nostra cultura, nonostante internet abbia reso disponibili a tutti contenuti porno). Precisazione: ritengo che, come gay, non devo dare nessuna giustificazione del mio orientamento sessuale, (ma purtroppo non è facile farlo capire alla società!).

 

 

Precisazione: ritengo che, come gay, non devo dare nessuna giustificazione del mio orientamento sessuale, (ma purtroppo non è facile farlo capire alla società!).

E sono d'accordo con te. Però, come tu stesso affermi, non è facile, laddove la società, volente o nolente, ancora richiede (o sembra richiedere) una giustificazione. Il che però è di per sé un'ingiustizia. D'altronde, sella società fosse più giusta non ci sarebbe neanche bisogno di sentirsi accettati. 

non so, io di solito dico che sono bisex perché... sono bisex. La cosa mi lascia abbastanza indifferente, non mi rende né felice né triste... è semplicemente una constatazione :)

 

Non c'è bisogno di un motivo per essere non-eterosessuali. In realtà non c'è proprio un motivo per esserlo. O lo sei o non lo sei :D

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