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Repubblica di Sardegna


Rotwang

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Franciscu Sedda è il segretario del Partito dei Sardi. I genitori l’avevano chiamato Francesco, ma una ventina di anni fa ha deciso di cambiare nome. Un battesimo laico celebrato durante gli anni di università a Roma, quando ha scelto di legare la sua vita alla causa indipendentista. «È stata un’assunzione di identità - racconta - Un modo per prendere un impegno intimo e pubblico con la mia terra e la sua libertà». Professore di Semiotica a Tor Vergata, oggi Franciscu è il leader di uno dei principali movimenti indipendentisti dell’Isola. Una delle tante sigle che chiede l’autodeterminazione della Sardegna e sogna la nascita di un nuovo Stato. Visto dall’altra parte del Tirreno il fenomeno non è di facile comprensione. E a poco o nulla serve il ricorso a stereotipi e folclore, lontani anni luce da questi movimenti. È un sentimento radicato, diffuso, a tratti sorprendente. «Non siamo nemici degli italiani» spiega Gavino Sale, presidente di Indipendentzia Repubrica de Sardigna, altro storico movimento indipendentista. «Anzi, personalmente vi considero un popolo di tutto rispetto. Quando ero giovane ho persino studiato in Italia, mi sono laureato a Parma. È con il vostro Stato che abbiamo molti conti in sospeso».

 

Oggi in Sardegna i partiti d’area raccolgono il 28 per cento dei consensi. Ma secondo alcune ricerche almeno un sardo su due è sensibile alle istanze indipendentiste. Sono aspirazioni che trovano giustificazione in un passato orgogliosamente condiviso. Sembra scritto nel destino di questa terra: «Nella nostra storia - continua Sedda - i momenti di maggior valore sono sempre stati riconducibili a fasi di indipendenza più o meno compiuta. Penso al periodo nuragico, all’unificazione medievale sotto il Giudicato d’Arborea, alla rivoluzione sarda di fine Settecento». È una questione di radici. Gavino Sale lo spiega con disarmante chiarezza: «Noi sardi non siamo discendenti di Muzio Scevola e la nostra storia non è quella romana». A rimarcare le differenze ci hanno pensato, nel recente passato, alcune clamorose forme di protesta del suo movimento. Come nel 2005, quando un centinaio di militanti occuparono il giardino di Villa Certosa, la residenza estiva di Silvio Berlusconi a Porto Rotondo. Senza dimenticare l’incursione nel 2001 alla sede del Banco di Sardegna di Sassari - nell’occasione venne murato l’ingresso principale - e a una rampa di lancio missilistica nel poligono militare di Perdasdefogu, nel Salto di Quirra.

 

Gavino Sale torna a parlare delle millenarie differenze tra Italia e Sardegna. «Chiunque ha visitato l’Isola conosce i nuraghi - racconta - Strutture circolari, a più torri, senza punta. Sono la rappresentazione di una visione completamente opposta al potere piramidale. Nella civiltà nuragica c’era quasi la paura dello spigolo. Prevaleva una visione rotonda della società, espressione di una moderna democrazia orizzontale. Del resto qui non sono state costruite città, ma migliaia di villaggi. Lo dice la nostra storia: in Sardegna non ci sono mai stati re né schiavi». Un salto di parecchi secoli e si arriva alla Carta de Logu, il codice delle leggi del Giudicato d’Arborea. Altro primato sardo. «Già nel Trecento, mentre in tutta Europa si bruciavano le streghe, la legislazione sarda diceva: “Chi tocca una donna non consenziente o viola un bambino, che gli venga tagliato il piede». Sale fa una pausa, poi spiega: «Ecco un’altra differenza: noi le donne e i bambini li difendevamo già nel Medioevo».

 

La cultura del popolo sardo nasce dalla sua storia. Lo sa bene Giovanni Columbu, nuorese, oggi segretario del Partito Sardo d’Azione (movimento fondato nel lontano 1921). Figlio di uno storico leader sardista, qualche mese fa è stato eletto ai vertici del partito. A dispetto dell’impegno politico, Columbu è un regista. Le sue opere cinematografiche sono caratterizzate da una particolarità: sono girate in lingua sarda. Lavori distribuiti e apprezzati in tutta Europa, come l’ultimo lungometraggio Su Re che racconta la passione di Cristo. Anche stavolta il folclore non c’entra. «La scelta di usare la lingua sarda - racconta il segretario - scaturisce da un’esigenza espressiva. Un’esigenza di autenticità. La lingua è un fattore determinante per connotare una storia, così come lo sono le figure umane e il paesaggio».

 

Eppure negli ultimi decenni la strada dell'indipendentismo sardo ha finito per dividersi. In Consiglio regionale i tre esponenti del Partito Sardo d’Azione di Columbu sono all’opposizione. I rappresentanti del Partito dei Sardi , invece, appoggiano la giunta di centrosinistra guidata da Francesco Pigliaru. Il presidente del partito Paolo Maninchedda ne fa persino parte, in qualità di assessore ai Lavori Pubblici. Sulla stessa linea c’è Indipendentzia Repubrica de Sardigna. Perché tante sigle? «I motivi sono principalmente storici - spiega Columbu - E sono comuni a tutti i paesi che vivono una situazione di oppressione. In prima battuta il malessere non genera mai solidarietà, ma divisioni». Il segretario non nasconde il sogno di creare, in futuro, un fronte comune. «Ci stiamo adoperando per la convergenza di tutte le forze dell’area sardista e indipendentista. L’obiettivo, a mio parere raggiungibile, è mettere assieme un movimento abbastanza forte e credibile da porsi come alternativa ai partiti italiani». Non tutti sono d’accordo. Per Gavino Sale il frazionamento dell’area indipendentista sarda è quasi un fattore fisiologico. «Siamo movimenti con visioni differenti - spiega - ed è un bene che sia così. Pensare di unirci tutti insieme è pressoché impossibile». Inevitabile un confronto con le ideologie. «I valori sociali del sardismo sono in larga misura prossimi a quelli della sinistra - continua Columbu - Mi riferisco alla solidarietà, alla giustizia sociale, all’attenzione per i più deboli. Ma con la sinistra, in particolare quella comunista, ci sono sempre stati contrasti. La sinistra comunista si è storicamente battuta per un’omologazione delle lotte e delle rivendicazioni. Mai per quei valori identitari che invece caratterizzano il sardismo e che costituiscono il fondamento di qualsiasi percorso di rinascita».

 

Intanto l’Italia si scopre un paese occupante. A sentire gli indipendentisti sardi l’ingerenza romana è costante e diffusa. Sale non ha difficoltà a parlare di vero e proprio colonialismo. In cosa si traduce? «Semplice, noi non decidiamo». L’aspetto più evidente della questione è legato alla presenza militare. Oggi il 60 per cento delle basi italiane sono in Sardegna. «Ecco perché - continua il leader di Irs - chiediamo di aprire una trattativa bilaterale tra Sardegna e Italia per conoscere tutti i dati relativi all’occupazione. Quanti ettari del nostro territorio interessa? Quanto costerà risanare i terreni inquinati dei poligoni? Quanto costano i bambini nati deformi? E gli aborti terapeutici a cui sono costrette le donne che vivono in quelle zone? Sono risposte precise che una nazione come la Sardegna ha il diritto di avere, visto che abitiamo questa terra da almeno 50 secoli». Alcuni anni fa l’ex sindaco de La Maddalena Pasqualino Serra aveva calcolato che ogni anno la presenza dei militari italiani e americani costava all’arcipelago, solo in termini di mancato sviluppo, un miliardo e quattrocento milioni di lire. Ma non ci sono solo le basi militari. «L’ingerenza italiana - prosegue Columbu - si attua in tutti i settori dell'economia: nell’imposizione di una gestione monopolista dei trasporti, nei maggiori costi dell’energia, nell’imposizione di un sistema fiscale inadeguato alle esigenze del territorio. Senza dimenticare la questione linguistica. La Costituzione italiana riconosce alle minoranze linguistiche alcuni diritti, contrastati dai partiti italiani rappresentati in Sardegna. La nostra comunità linguistica è la più numerosa, eppure in Sardegna il bilinguismo non è ancora riconosciuto».


 


Anche da qui nasce il sogno dell’indipendenza. Franciscu Sedda immagina la creazione di una Repubblica sarda. Del resto, fa notare qualcuno, l’Europa riconosce già una decina di paesi ben più piccoli della Sardegna. Il percorso non è semplice, ma a detta di tutti è ineludibile. Le esperienze a cui guardare non mancano. «Il Kosovo e il Montenegro hanno proclamato la propria indipendenza in via unilaterale - ricorda Gavino Sale - Un precedente giuridico importante all’interno dell’Europa». Senza dimenticare la trattativa in Gran Bretagna che un anno fa ha permesso di celebrare il referendum in Scozia. Gli occhi di tutti sono ovviamente puntati in Catalogna, dove domenica 27 settembre gli elettori saranno chiamati alle urne. Una delegazione di Indipendentzia Repubrica de Sardigna è già partita per Barcellona. I contatti con gli indipendentisti catalani sono collaudati (come quelli con lo Scottish National Party). Lo scorso 11 settembre alcuni rappresentati di Irs avevano partecipato alla tradizionale festa della Diada de Catalunya, ospiti dei colleghi catalani. «Le strade verso l’indipendenza sono diverse - ammette Sedda - Ma l’importante è il principio di autodeterminazione». 


 


In attesa della nascita di uno stato sardo, gli indipendentisti si mettono alla prova. La presenza all’interno della giunta regionale ha già prodotto i primi successi. Franciscu Sedda racconta soddisfatto la creazione dell’agenzia sarda delle entrate. Un progetto che lui stesso aveva lanciato una decina di anni fa. Questa estate la giunta ha approvato il disegno di legge, che andrà presto in discussione in Consiglio regionale. L’obiettivo è dar vita al nuovo ente entro la fine dell’anno. «È una rivoluzione - dice il segretario del Partito dei Sardi - Finalmente cambia il rapporto dei sardi con la propria ricchezza. Potremo incassare direttamente i nostri soldi». L’indipendentismo alla prova di governo. Sedda parla di “responsabilità”, auspica la nascita di una nuova mentalità. È evidente che la credibilità di questi movimenti passa soprattutto da un progetto di governo. «In Sardegna c’è bisogno di un diverso modello di crescita e sviluppo - spiega Columbu - Siamo un’isola poco popolata, è vero, abbiamo poco più di un milione e mezzo di abitanti su un territorio relativamente esteso. Ma l’estensione del territorio se si cambia il modello di sviluppo è una risorsa, non un handicap. Occorre mettere a punto un progetto basato sulle risorse del territorio. Su questo potranno convergere le forze sardiste e indipendentiste. Sulla scorta di questo progetto sarà più facile rivendicare ulteriori forme di autonomia e indipendenza».


 

La Scozia non ci è ancora riuscita, la Catalogna forse ci riuscirà e la Sardegna?
Edited by Rotwang
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Nessuno può sapere se la Sardegna chiederà ed otterrà l'indipendenza. Sulla faccenda posso solo esprimere il mio parere, ovvero che seppure l'Unità d'Italia è avvenuta in modo criminoso (per tutte le Regioni), che il Governo italiano non eccelle per efficienza e per giustizia, credo che una nazione unita sia sempre da preferire a una serie di piccoli Stati.

Ad ogni modo una cosa mi fa sorridere: questo signore si è addirittura cambiato il nome per poi studiare e insegnare a Roma?

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come farebbe a mantenersi lo stato sardo? Gender, immigrati, indipendenza e altre cose che magari ci piacciono di più, potenzialmente ci si può costruire una carriera su qualsiasi battaglia, ma pochi riescono davvero a trarne di che vivere, buona fortuna.

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Potrebbe diventare uno stato gender, o magari uno stato antigender. Io ripeto, sono favorevole ad accogliere profughi mediterranei gay fra i 26 e i 30, quindi anche i profughi sardi sono i benvenuti qui.

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Potrebbe diventare uno stato gender, o magari uno stato antigender. Io ripeto, sono favorevole ad accogliere profughi mediterranei gay fra i 26 e i 30, quindi anche i profughi sardi sono i benvenuti qui.

 

 

e poi magari allunghi le mani mentre sono tuoi ospiti in casa tua, questi poveri profughi trai 26 e i 30 anni, mori, sardi, carini? Che immoralità!

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massimo rispetto e simpatia per gli amici sardi ma parlare di colonialismo italiano in Sardegna nel 2015 a senso?

Sicuramente i collegamenti marittimi per la Sardegna sono carenti, sicuramente ci sono disagi assurdi che i sardi non si meritano ma siamo così sicure che la Regione Sardegna non ne sia corresponsabile? (domanda applicabile ai disagi di tutte le regioni italiane).

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Alla Sardegna, l'indipendenza non interessa minimamente.

Non possiamo neppure fare il  paragone con l'indipendentismo Corso le cui rivendicazioni, nel tempo, sono state supportate da azioni anche violente.

 

Quello dei sardi è più un orgoglio di appartenenza che un desiderio di secessione.

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  • 1 month later...

La Stampa

Italia? No, grazie. Siamo europei. In Sardegna il caso della Catalogna che ha avviato il processo di indipendenza ha rinfocolato quelle fiamme mai spente di un indipendentismo atavico, sentito adesso come necessario. 

«La causa della Catalogna -dice il deputato sardo del partito indipendententista Unidos, Mauro Pili - è uguale a quella della Sardegna. L’autodeterminazione dei popoli è un diritto/principio inviolabile. Per questo motivo Unidos incontrerà già nei prossimi giorni i rappresentanti del governo della Catalogna per intraprendere una strategia unitaria per la difesa dell’autodeterminazione dei popoli. La decisione di oggi del Parlamento catalano è un passo decisivo che si coniuga con l’iniziativa parlamentare per la modifica costituzionale che prevede la facoltà del Popolo Sardo di indire un referendum per l’indipendenza della Sardegna. I Sardi come i Catalani devono essere liberi di decidere se stare o non stare negli Stati in cui sono stati relegati. L’autodeterminazione dei Popoli è un principio e un diritto che né gli Stati, né l’Europa possono negare». 

Che qualcosa si stesse muovendo sull’isola si era capito già da qualche settimana. Una recente ricerca condotta dall’Università di Cagliari contemporaneamente a quelle di Edimburgo e della Catalogna, rivela che nove sardi su dieci vorrebbero un governo locale con più poteri di quelli attuali e che circa il 40 per cento coltiva sentimenti di indipendenza. «Questi dati rivelano un forte sentimento di identità – spiega il presidente della Regione, Francesco Pigliaru (Pd) - oltreché la necessità di uno Statuto con più regole specifiche che principi. È comunque ormai un patrimonio comune la richiesta di maggiore autogoverno dell’Isola». 

«Lo Stato nega alla Sardegna i diritti fondamentali, dai trasporti all’energia, la tratta come una colonia sottomessa, scaraventa sulla nostra terra tutte le attività più invasive e pericolose, dalle basi militari a quelle inquinanti». Così il deputato di Unidos Mauro Pili (ex presidente della Regione) ha spiegato la presentazione alla Camera, per la prima volta a 68 anni dalla Costituzione, di una proposta di legge per un Referendum sul riconoscimento dell’indipendenza sarda. Per Giovanni Columbu, Presidente del Partidu sardu - Partito Sardo d’Azione: «Il sentimento sardista adesso è cresciuto in modo clamoroso. Sia quello dichiarato che quello diffuso. Oggi possiamo e dobbiamo adoperarci prioritariamente per promuovere un nuovo schieramento di impronta sardista, sovranista e indipendentista». 

La base dell’insofferenza crescente dei sardi, che si incanala in parte nelle spinte autonomiste e in parte in quelle indipendentiste, poggia su tre colonne portanti che, da sole, sorreggono le istanze della seconda isola per estensione del Mediterraneo e certamente la più distante dalla terraferma tra le grandi isole: energia, servitù militari e trasporti. 
Energia. La Sardegna è l’unica regione italiana a non avere il metano. 
Servitù militari. Il 68% del totale delle servitù dell’intera nazione sono sull’isola. È iniziata il 3 ottobre l’operazione Trident, ma entrerà nella fase più calda il 21 ottobre con l’impiego dal vivo delle unità militari. Sul campo e in mare oltre 230 unità terrestri, aeree e navali e forze per le operazioni speciali di 28 paesi alleati e 7 partner, con 36 mila uomini impegnati in un “demo” della guerra tecnologica. 

Trasporti. Con l’acquisizione della Tirrenia da parte del gruppo Mobylines (con un operazione da 100 milioni di euro), l’armatore napoletano Vincenzo Onorato controlla di fatto tutto il traffico marittimo da e per l’isola. «Un regime di monopolio, basta vedere i prezzi quasi identici dei biglietti, che non danneggia solo il turismo, ma anche e soprattutto i sardi che devono uscire dall’isola e quelli che invece devono rientrarvi» spiega Pili. 

«La Sardegna è nuovamente attraversata da spinte indipendentiste - spiega Carlo Pala, politologo dell’Università di Sassari - L’indipendentismo sardo contemporaneo ha ispirato diversi partiti indipendentisti europei: anti-nazionalista, tendenzialmente pro-europeo, pronto a dialogare con forze di tendenza “centralista”». Un’analisi lucida della situazione arriva da Maddalena Calia, prima parlamentare europea eletta dai sardi (con 116 mila preferenze, nel 2008, tra le fila del PdL), avvocato e “sindaco simbolo” nel comune di Lula della lotta al banditismo. «Mai come dopo la mia esperienza a Bruxelles sono stata convinta che per la Sardegna ci sono gli spazi per chiedere e ottenere l’indipendenza – ha spiegato Calia -. Ricordo una curiosità: il mio collega maltese, e parliamo di uno stato insulare di 316 chilometri quadrati (contro i 24 mila della Sardegna) mi aveva chiesto, incredulo, come mai il popolo sardo non avesse mai chiesto l’indipendenza dall’Italia. Confesso di aver avuto difficoltà a dargli una risposta. Tutt’oggi non conosco il perché. Sono convinta però che i sardi vogliono e possono ottenere tutti i diritti finora negati dallo Stato italiano. Dobbiamo però avere una forza politica in grado di sedersi al tavolo con il governo centrale mostrando tenacia e competenza». 

Edited by Rotwang
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Nell'articolo appena postato da Rotwan si accennano tre tematiche:

Energia: Per portare il gas metano in Sardegna basta costruire un rigassificatore. Qualche anno fa esistevano anche incentivi statali per la costruzione degli stessi. Molti progetti sono stati poi bloccati dai peggiori comitati NIMBI. Inutile dire che gli incentivi valevano anche per la Sardegna, regione prodiga a creare province, a mio avviso, inutili ma che non ha saputo sfruttare questa occasione. 

Sulle servitù militari: faccio presente che durante la guerra fredda il Friuli era la regione confinante con la cortina di ferro, per tale motivo ospitava un numero enorme di basi militari. Era un'esigenza geopolitica o anche il Friuli era una colonia?

collegamenti marittimi: non conosco la vicenda.

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La Sardegna è l'unica regione (escluse Valle d'Aosta e Alto Adige-Sudtirol per ovvi motivi) dove i movimenti autonomisti hanno un certo peso e sono rappresentati in regione e nei comuni, la secessione sarda mi sembra improbabile, al momento, però c'è da dire che è l'unica regione per cui è giustificato uno statuto speciale, data la marginalità geografica e le difficoltà logistiche.

 

Qui dove abito io ci sono, dagli anni '50, moltissimi sardi, il senso di appartenenza alla loro terra è fortissimo, anche nelle seconde o terze generazioni, al punto che organizzano feste dei sardi, hanno un paio di negozi di prodotti tipici (allo stesso modo dei negozi etnici degli immigrati) e a volte vedi bandiere sarde, non ho mai visto niente di simile tra le persone di nessun'altra regione, nemmeno la Sicilia dove pure l'attaccamento alla terra natale è molto forte.

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