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Gli Italiani sono fascisti (?)


Rotwang

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L'Espresso

Si dice che un bambino nasca con la camicia, quando viene alla luce avvolto nel sacco amniotico. Quel sacco sembra un abito, cucito addosso durante i nove mesi dentro il ventre di mamma. E noi di chi siamo figli? L’Italia in cui viviamo, l’Italia del nostro Ventennio, quello che chiamiamo l’epoca di Berlusconi e Renzi, è nata con la camicia?

Proviamo ad azzardare un’ipotesi: l’Italia è nata con la camicia nera. Proprio così, fasciata nel sacco amniotico del fascismo, da cui cerca a fatica di liberarsi da settant’anni, senza riuscirci davvero. Nel dopoguerra la retorica antifascista può avere dato l’impressione di un taglio netto con i vent’anni precedenti, ma come il “politicamente corretto” non cancella il razzismo, non ridà la vista a un cieco chiamandolo non vedente, l’affermazione di essere antifascista, per quanto eticamente giustificabile, non basta a cancellare ciò che del fascismo è dentro di noi. Dentro di noi perché italiano come noi, forse più di noi.

In tutto il corso della sua storia, il fascismo fu senza dubbio un fenomeno rivoluzionario, giovanile, si direbbe oggi “rottamatore”. Mussolini contribuì a ringiovanire l’Italia, a partire dalla sua classe politica, così come consentì per la prima volta nella storia del nostro Paese ai ceti medi di entrare nelle stanze del potere. Questo significa che ebbe un legame con il Paese molto più radicato, profondo, osmotico di quanto si pensi. Un legame possibile solo quando c’è un collante. E questo collante viene proprio dall’essenza dell’italiano, dalle radici del nostro modo di essere, dal nostro rapporto con il potere, da ciò che non muta sulla nostra penisola al di là del regime o del governo, più o meno democratico, che ci capita di eleggere o di contestare.

Impegnati come siamo a ripeterci che il fascismo è finito, oppure che si manifesta solo nei simboli esplicitamente esibiti del regime, dentro i partiti dell’ultradestra xenofoba, che alzano le croci celtiche nelle manifestazioni, non ci rendiamo conto di una cosa: quei militanti postfascisti sono riconoscibili prima ancora che espongano il proprio pensiero, mentre il fascismo del Ventennio fu un grande movimento di massa. Se ci ostiniamo a cercare il fascismo lì dove è fin troppo facile trovarlo, non facciamo altro che insistere nel non vedere. E perché lo facciamo? Perché abbiamo paura di ritrovarlo dove non ce lo aspettiamo più, nel nostro modo di essere quotidiano, nei nostri difetti di Paese, nel nostro sistema politico e sociale. Annidato là dove sempre è stato, nell’angolo buio della Repubblica che preferisce puntare i fari altrove, dove sa che fascismo non se ne vedrà.

Riflettiamo su un fenomeno mediatico di questi ultimi settant’anni. Ancora oggi se accendiamo il televisore e ci sintonizziamo su un dibattito politico, sentiamo spesso ripetere come un ritornello: «Siete fascisti!». Si ascolta così tante volte, da essere assaliti dalla curiosità di capire perché. Un giorno il fascista in questione è Matteo Renzi, tacciato di metodi spicci da destra e da sinistra, addirittura da una parte del suo stesso partito, il Partito Democratico; il giorno appresso, invece, ci si riferisce a Silvio Berlusconi, accusato di avere addormentato il Paese come un nuovo Duce, di averlo assopito in una sorta di Ventennio che potremmo definire, piuttosto che regime dal volto umano, regime dal mezzobusto umano, trattandosi di un’anestesia televisiva pressoché totale.

Questa anestesia, però, ha generato la propaganda di governo, come tutti i regimi democratici e non, ma ha generato anche i suoi anticorpi: l’antiberlusconismo militante. Un terzo giorno l’epiteto di fascista è attribuito alle epurazioni del Movimento 5 Stelle e a Beppe Grillo, accusato di essere l’uomo solo che decide per tutti, quando il tal deputato è espulso dal gruppo parlamentare perché “ribelle” alla linea ufficiale. Fino a Matteo Salvini, il leader leghista dell’era post-bossiana, il quale, abbandonato il divino Po e la sacra ampolla, si fa crescere la barba e si reinventa una specie di marcia su Roma per allargare il consenso, ormai troppo stringato, del suo Nord.

La morale è che, almeno a parole, qui siamo tutti fascisti, destra e sinistra, alti e bassi, belli e brutti.

Saremo anche il Paese delle generalizzazioni, ma c’è davvero da chiedersi cosa stia capitando a noi italiani. Perché, all’improvviso, ci accusiamo l’un l’altro di fascismo? Perché dopo la fine del regime, dopo l’epopea della Resistenza, dopo sette decenni di democrazia quella parola torna sulle labbra di tutti noi, usata con sufficienza, con disinvoltura? Forse perché il 1945, la data che mette fine ai regimi fascista e nazista in Europa, non è una data che l’Italia abbia davvero digerito. Certo sul piano ufficiale, nei proclami, nelle affermazioni di principio, così come nella retorica di Stato, il fascismo è morto e sepolto, giace sotto strati e strati di antidoto costituzionale, democratico, parlamentare.

Eppure, nella vita di tutti i giorni, nel profondo degli italiani, la censura del modus vivendi mussoliniano non corrisponde affatto a una cesura, perché molti atteggiamenti del regime - che già provenivano dal passato - si sono conservati, pur con i naturali ammodernamenti, nel futuro: pensiamo ad esempio all’Italia bigotta e bacchettona che fa e non dice, al maschilismo diffuso in tutte le fasce sociali. Pensiamo alla distanza fra regole scritte e regole davvero applicate. Pensiamo all’usanza politica del dossier, all’insabbiamento dei misteri di Stato, alla corruzione come sistema di governo, all’utilizzo dell’informazione come macchina per controllare l’opinione pubblica prima ancora che per informarla, alle regole non scritte delle gerarchie comuniste del dopoguerra, dove il valore della “fedeltà coniugale” garantiva la scalata ai vertici del Pci (Partito Comunista Italiano) proprio come del Pnf (Partito Nazionale Fascista). Per arrivare, infine, all’uomo forte, al leaderismo craxiano, berlusconiano, renziano, incarnazioni del bisogno primario di un capo.

Sono solo coincidenze? No, siamo nati davvero con la camicia nera. C’è un filo conduttore che unisce il fascismo “a noi”, proprio come era il saluto ai tempi del Duce. A noi del fascismo è giunto più di quello che vogliamo ammettere. Un’eredità che arriva dritta nell’epoca di Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Un’eredità che non si manifesta nell’esibizione di simboli e bandiere, ma nei piccoli gesti, nei modi di pensare, nelle abitudini malate del nostro Paese che non mutano con i governi. Abitudini che ritroviamo nel fascismo di Benito Mussolini, nei risvolti del regime e del carattere del Duce che facevano del fascismo e del suo capo, prima ancora che una dittatura e un dittatore, un modello d’Italia e di italiano, simili nei difetti al popolo. Difetti che non sono scomparsi, sono solo mutati di sembianza. E che ritroviamo ancora oggi. Se sappiamo dove andare a cercarli.

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Di chi è l'articolo?

 

Comunque, non per fare l'antitaliano a prescindere, però l'articolo ci piglia abbastanza. Considerando, peraltro, che il fascismo non può e non deve essere visto solo come sistema dittatoriale-politico che si è sviluppato in Italia nel ventennio, ma proprio come un'ideologia a tutto tondo. Tanto più che il termine "fascist" è usato come espressione generale nei paesi anglosassoni proprio per intendere un sistema di disvalori basati sulla violenza, la sopraffazione la concentrazione del potere etc. in sostanza fascismo è un'ideologia antidemocratica che, in quanto tale, si fonda su un sostrato culturale che effettivamente in Italia è profondamente radicato: mentalità gerarchica, misoginia, familismo, il disprezzo delle regole come sistema di ostacolo e limitazione al potere (che è il fondamento proprio dell'idea di democrazia), il menefreghismo. Non è un caso, aggiungo, che in Italia nasca  si sviluppi pure la mafia e la mentalità mafiosa. Molti fattori si intrecciano e condizionano questo fenomeno. Il cattolicesimo, in una sua specifica declinazione, è una componente non indifferente...

 

questo NON vuol dire che ci deve essere una sorta di presunzione di colpevolezza legata alla cittadinanza: è una questione appunto complicata, legata ad un certo modello di pensiero cui è più facile tendere in Italia.

 

A fronte, ovviamente, di una vivacità culturale e sociale che, seppur spesso apparentemente relegata e magari non sempre visibile, si arricchisce di tanti contributi (e, ad esempio, spesso fa riferimento anche a figure che vengono dal mondo cattolico): c'è un associazionismo molto presente e davvero bello (almeno in parte quello che conosco io), ci sono iniziative magari sparse e sparpagliate che segnalano la capacità anche di vedere le cose secondo prospettive diverse e "genuinamente" antifasciste. 

 

Ma il discorso generale secondo me è abbastanza fondato.

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io ti riposto questo, come ho fatto su fb:

 

 

 

Comunque il fascismo è durato 20 anni ed ha plasmato l'identità del paese in un momento molto particolare della nostra storia, poi molte cose che ha lasciato sono andate bene a chi ha governato l'Italia repubblicana

Edited by Demò
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IlSuonatoreJones

Personalmente, l'ho trovato un articolo interessante e ben scritto.

Al di là di alcuni passaggi leggermente generalizzanti, sì: il sistema italiano attuale conserva queste "tinte fosche".

Quello fascista è un modello ancora presente. Esso è ripudiato sulla carta, ma effettivamente radicato nella realtà italiana, la quale (ahimé) è appunto antidemocratica, gretta e corrotta.

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IlSuonatoreJones

Aggiungo...che da un punto di vista un po' più spiccio, la questione della legge sulle unioni civili è davvero emblematica di questo stato di cose.

Ottimo esempio. 

In generale, la situazione in Italia è di arretratezza ideologica, tecnica e culturale: siamo il frutto di una politica che si ostina a investire unicamente e continuamente su se stessa.

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Non mi pare un'analisi convincente.

 

L'unica caratteristica saliente dell'Italia è il personalismo politico

- ovvero il legame totale tra leader e partito -

ma è un'eredità del berlusconismo, assente nella DC e nel PCI

della Prima Repubblica.

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L'unica caratteristica saliente dell'Italia è il personalismo politico - ovvero il legame totale tra leader e partito -

Un'eredità del ventennio.....più che semplicemente del berlusconismo 

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@d.gar88, che la cosa avvenga nei totalitarismi è normale.

Che capiti anche in piena democrazia,

persino fra le forze di opposizione (Di Pietro, Vendola, Grillo)

è molto strano.

 

L'articolo semplicemente prende tutti i difetti dell'Italia

e dà loro genericamente il nome di "fascismo",

il che non è propriamente un'analisi :)

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L'articolo semplicemente prende tutti i difetti dell'Italia

e dà loro genericamente il nome di "fascismo",

il che non è propriamente un'analisi :)

Concordo! Elencare tutti i difetti "peculiari" degli italiani per ricollegarli a un fascismo atavico è discutibile. Rovesciando la situazione sarebbe più sensato ipotizzare che in Italia abbiamo avuto Mussolini (e Berlusconi e Co.) come effetto delle nostre dinamiche storico-sociali e non come causa. Altrimenti si potrebbe scrivere anche un articolo sul fatto che gli italiani in fondo nascono giolittiani.

 

L'epiteto 'fascista' poi non è usato molto solo in Italia, ma anche all'estero.

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@d.gar88, che la cosa avvenga nei totalitarismi è normale. Che capiti anche in piena democrazia, persino fra le forze di opposizione (Di Pietro, Vendola, Grillo) è molto strano.

E questo però non fa che avvalorare la tesi per cui il personalismo è una caratteristica non tanto e solo legata al totalitarismo di allora, ma che si è protratta nel tempo. Montanelli sosteneva che il popolo italiano ha bisogno, ciclicamente, di un ducetto che in un modo o nell'altro lo sollevi dalla preoccupazione di prendersi cura direttamente delle sorti del paese. 

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Caro Rot, quando apri questi topic ti lovvo.

Io credo il regime fascista abbia lasciato alcuni elementi nella cultura e nell'identità italiana. Poi l'articolo forza un po' la mano riportando qualunque peculiarità negativa italiana al fascismo mentre credo che alcune erano preesistenti ad esso.

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E questo però non fa che avvalorare la tesi per cui il personalismo è una caratteristica non tanto e solo legata al totalitarismo di allora, ma che si è protratta nel tempo. Montanelli sosteneva che il popolo italiano ha bisogno, ciclicamente, di un ducetto che in un modo o nell'altro lo sollevi dalla preoccupazione di prendersi cura direttamente delle sorti del paese. 

 

Per me è invece un fenomeno recente.

Più o meno tutti i Paesi cattolici hanno avuto un leader

che si identificava totalmente nel Partito, partito poi dissolto con la morte del Capo.

Quasi sempre a destra (ma non sempre, come col Castrismo)

e quasi sempre nelle ditatture (ma non sempre, come con De Gaulle e il "gollismo")

 

La differenza tra il dopoguerra italiano e quello tedesco

non era che noi eravamo rimasti più fascisti di quanto loro non fossero rimasti nazisti;

bensì che qui gli USA non volevano il PCI al governo,

rendendo di fatto la nostra una dittatura dolce a guida democristiana.

Un articolo come questo nel 1993 non avrebbe avuto alcun senso.

 

Quello che forse si vuol chiamare "fascismo" sembra essere il fatto

che tra Partito Nazionale Fascista, Democrazia Cristiana, Forza Italia e PD renziano

la classe sociale di riferimento rimane sempre la piccola-media borghesia...

Vabbè, ma grazie tante...

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Ci sono due scuole di pensiero: alcuni (come Benedetto Croce) considerano il fascismo come un incidente di percorso della storia italica, morto con Mussolini, altri (vedi il grande storico Cusin) lo considerano come una caratteristica del popolo italiano, un fiume carsico sotterraneo che è sempre presente nella società italiana, pronto a riemergere in certe circostanze, quando i valori democratici tendono a perdere vigore, che è un pò anche il senso dell'articolo di cui si discute.

 

Personalmente considero sbagliata la prima tesi ed esatta la seconda.

 

Per quello che penso io (ma vale quel che vale non essendo il sottoscritto uno storico) c'è un qualcosa nell'italiano medio che tende a ricordare il fascismo, penso ad una cronica tendenza al provincialismo su tante grandi questioni come l'immigrazione o i diritti civili, il disprezzo (almeno dalle mie parti molto diffuse) per usanze e modi di vivere diversi dai nostri e considerati inferiori a priori, un sottofondo machista ed eterosessualista nella maggior parte degli uomini, l'incapacità di superare certe corporazioni, il fatto che rispetto ad altri paesi l'ascensore sociale funziona meno, il subire sempre il fascino del politico che urla di più o che si presenta come più scaltro...quante me ne vengono in mente.

 

Sicuramente essere inseriti nel contesto europeo ed avere una delle più belle costituzioni al mondo ci protegge da certi estremi, non credo torneranno mai le camice nere col manganello per carità, ma nel nostro paese secondo me c'è comunque il pericolo di una qualche forma di fascismo aggiornato ai tempi.

 

Se nel 35 Mussolini avesse avuto la brillante idea di fare elezioni democratiche avrebbe stravinto e ancora oggi molti italiani sotto sotto rimpiangono quegli anni.

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