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Elezioni parlamentari 2015 in Spagna


Sbuffo

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Oggi si è votato in Spagna.

http://www.repubblica.it/esteri/2015/12/20/news/spagna_risultati_elezioni_governo_vince_pp_psoe_ciudadanos_podemos-129882420/?ref=HREA-1

http://www.corriere.it/esteri/15_dicembre_20/voto-spagna-365-milioni-cittadini-voto-le-elezioni-sfida-rajoy-quattro-1978b4a8-a70a-11e5-9876-dad24a906df5.shtml

 

Secondo i primi risultati la situazione sarebbe alquanto frammentata.

 

Il Partito popolare spagnolo si confermerebbe al primo posto ma senza raggiungere la maggioranza assoluta di 176 seggi.

 

A seguire si attesterebbero il Partito Socialista, Podemos e Ciudadanos.

 

 

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Il Fatto Quotidiano

 

A Madrid è stata la notte delle calcolatrici: 163 seggi se Mariano Rajoy e Albert Rivera vanno a nozze, 159 se Pablo Iglesias strizza l’occhio a Pedro Sánchez. La somma è sempre la stessa: ben sotto i 176 seggi che garantiscono la maggioranza assoluta. La parola che risuona già prima di mezzanotte è “ingovernabilità“. E alla fine gli spagnoli hanno fatto “canc” e sono andati a dormire, senza capire chi sarà il nuovo presidente del governo. O meglio se un premier ci sarà o si dovrà tornare alle urne. La partita è in mano al re Felipe VI, che dopo le consultazioni, designerà un candidato per tentare di formare il nuovo governo. O Mariano Rajoy o Pedro Sánchez.

 

Se il Partido popular ha vinto le elezioni (28,7%), la possibilità che il premier uscente resti al palazzo della Moncloa per i prossimi quattro anni è ridotta a un lumicino. I risultati delle elezioni hanno confermato quello che tutti i sondaggi dicevano da un anno: per il bipartitismo suonano le campane a morto, mentre Podemos (con il 20,6%) e Ciudadanos (13,9%) hanno già in tasca le chiavi del futuro governo. I popolari e i socialisti hanno perso insieme qualcosa come 83 deputati, fermandosi a un 50,7% di voti, la percentuale più bassa degli ultimi 25 anni. E Rajoy ottiene il peggior dato dai tempi del suo predecessore José María Aznar. Eppure il PP non disfa la valigia. Nella storica notte elettorale Rajoy si è affacciato dal consueto balcone della sede del partito e ha detto chiaro e tondo: “Proverò a formare un governo”. Ma con chi? Neppure con l’appoggio di Rivera e l’astensione dei socialisti il PP potrebbe fare il miracolo. Tanto più che cercare un’astensione anche tra i partiti nazionalisti (quelli che come Erc lottano per l’indipendenza catalana) sarebbe ridicolo.

 

La patata bollente potrebbe quindi passare a Pedro Sánchez. Il partito ottiene il peggior dato della storia (22%) e si piazza dietro Podemos a Valencia, in Galizia, Navarra, Paesi Baschi, Isole Baleari e Catalogna. A Madrid poi il Psoe arriva solo al quarto posto. Sánchez ha già dichiarato la sua totale apertura “al dialogo, alla discussione, agli accordi”: potrebbe diventare premier solo se ottiene l’appoggio di Podemos e Izquierda Unida ma anche l’appoggio (o l’astensione) di qualche partito nazionalista. Ma non è così semplice, giacché al Senato il PP resta in maggioranza e potrebbe creare una situazione di stallo perenne tra le due Camere. Il puzzle dei patti appare complicato tanto più che Pablo Iglesias mette avanti la riforma costituzionale a qualsiasi tipo di accordo. Il partito viola festeggia la vittoria in Catalogna, Madrid e Paesi Baschi, dove diventa prima forza, parla di “una nuova Spagna che mette fine ad un’era politica” e fa l’occhiolino agli indipendentisti di una “Paese plurinazionale”. Ma la lettura dei risultati potrebbe obbligarlo a ripensare ad una qualche alleanza con il Psoe. Che comunque non basterebbe.

 

Al centro si piazza Ciudadanos, che finisce per essere il quarto partito nonostante i sondaggi lo situassero al secondo posto. Albert Rivera si ferma a 40 seggi, racconta di un risultato “storico” e vede il resto dei partiti non come “nemici, ma compatrioti”. L’apertura c’è, probabilmente verso il PP. Ma anche qui le cifre non quadrano. La chiave di queste somme impossibili è una sola: non è finita. Il PP potrebbe governare, ma solo se il Psoe glielo permette. Il Psoe, anche se Podemos glielo permette, non è detto che riesco a farlo. Una grosse koalition alla tedesca? Finora i socialisti hanno detto di no. Elezioni anticipate fra tre mesi? Mai successo in Spagna. Ma visto il terremoto di ieri, da oggi nulla è escluso. Altrimenti, come spiega El País, in un divertente editoriale, cari spagnoli “Benvenuti in Italia“, il Paese dei pentapartiti, del compromesso storico, dei transfughi, degli strateghi e delle alleanze impossibili, dove i governi, se tutto va bene (e quando si va a votare) durano 6 o 7 mesi.

Edited by Rotwang
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Nell'articolo ci sono le classifiche inesattezze da giornalismo italiano. Per il PSOE si tratta di un buon risultato, nonostante l'auge di altri 2 partiti ha perso solo una decina di deputati rispetto alle scorse elezioni. Non contestualizzare i dati alle nuove realtà è da giornalismo spazzatura(Un po' come le vendite dei dischi, 10 anni fa vendere un milione era un flop per una popstar e ora è un risultato non male).

Per gli spagnoli la storia dei patti rappresenta una nuova prospettiva scioccante. l'unico patto possibile per logica è psoe-podemos e altri partiti nazionalisti, ma Iglesias pretende troppo e mi sa che non se ne farà nulla.pp-psoe rappresenterebbe la fine certa del psoe alle prossime elezioni...per ora è mistero!

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La Stampa

La politica cerca di trovare uno sbocco al rischio di paralisi. I socialisti, dopo aver rifiutato nettamente ogni ipotesi di accordo con la destra («non daremo mai il via libera a un governo Rajoy o di altri del Partito Popolare»), ora studiano le possibilità di un patto con Podemos. C’è stato il primo contatto tra il segretario del Psoe Sanchez e Iglesias. 

Le difficoltà principali sono due: il partito degli ex indignados continua a mettere come condizione per un accordo il referendum in Catalogna, proposta inaccettabile per i socialisti. L’altro freno è di natura interna: molti dirigenti del Psoe sono contrari un ipotetico governo con Podemos, e stanno cominciando a far la guerra al proprio segretario. Leader dell’opposizione interna è Susana Diaz, potente presidente dell’Andalusia, che tenta di limitare il potere di Sanchez nello stringere i patti. «Susana ha cultura di partito e sa che decide il segretario» gli ha risposto il leader. L’alternativa a un accordo (a destra o a sinistra), sono nuove elezioni da convocare in primavera, per la Spagna sarebbe la prima volta. 

A orientare il dibattito è stato il discorso del Re, tradizionale messaggio agli spagnoli, che quest’anno, viste le circostanze, è stato analizzato in ogni dettaglio. Felipe VI, parlando dal Palazzo Reale di Madrid, ha richiamato più volte al dialogo, «il nostro cammino è, in modo irrinunciabile, la comprensione reciproca». Il linguaggio è, come da tradizione, molto prudente, ma queste parole vengono lette come un invito a un confronto aperto tra i partiti, dopo il sostanziale stallo uscito dal voto del 20 dicembre. Il sovrano è stato più esplicito parlando dell’unità del Paese, tema scottante, visto la recente dichiarazione di inizio del processo indipendentista in Catalogna: «La violazione della legge, l’imposizione di un’idea o di un progetto di alcuni contro la volontà degli altri spagnolo, ci ha già condotto in passato alla decadenza, all’impoverimento e all’isolamento». 

Nelle reazioni politiche molti consensi, popolari, socialisti e Ciudadanos e qualche critica da Podemos: «Il Re non ha parlato di disoccupazione e di corruzione - dice Pablo Iglesias, leader di Podemos -, mi è piaciuto il riferimento alla Spagna diversa e plurale. E anche la cravatta (viola, il colore di Podemos ndr)». Negativi i commenti degli indipendentisti catalani.

Edited by Rotwang
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La Stampa

 

Due settimane dopo le elezioni, la Spagna resta senza governo. Una situazione mai vissuta in quarant’anni di democrazia, che nessuno sembra poter sbloccare. Nessuno ha la maggioranza sufficiente per governare, così per dare stabilità al Paese occorrerebbero dei patti, ma i veti incrociati sono tali, che il blocco sembra insuperabile. Fra dieci giorni si formeranno le Cortes, ma senza accordi il Re sarà costretto a riconvocare le elezioni per la primavera. 

 

Partito Popolare e Psoe hanno i numeri per governare insieme. Mariano Rajoy ha detto che è questa l’ipotesi che preferisce, di stesso avviso l’Europa e gli investitori stranieri, spaventati dall’instabilità. Il premier uscente per restare alla Moncloa sarebbe disposto a concedere ai rivali dei ministeri di peso. Ma su questo terreno i socialisti non vogliono scendere. «Abbiamo idee del mondo e della politica inconciliabili», ha detto il leader del Psoe, Pedro Sánchez. «Stiamo finendo come l’Italia, senza essere italiani», ha detto l’ex premier Felipe Gonzalez, «noi non siamo abituati ai patti».  

 

Il Partito Popolare potrebbe governare, con Rajoy o con un altro esponente, grazie all’astensione di Ciudadanos e del Psoe. Il leader del nuovo partito centrista, Albert Rivera, ha già detto di essere disposto a favorire l’investitura del centrodestra, pur restando all’opposizione. Ma i socialisti hanno ribadito più volte di non voler nemmeno aprire una trattativa. L’ipotesi sembra improbabile, ma se la Catalogna insiste nella sfida indipendentista, Madrid dovrà cercare di formare un governo a garanzia dell’unità del Paese. Nei Paese scandinavi gli esecutivi di minoranza non sono visti come un’eccezione. 

 

Lo scenario portoghese prevede un accordo praticamente di tutti i gruppi tranne del Pp e Ciudadanos. Governo socialista, con appoggio esterno di Podemos, nazionalisti baschi e delle Canarie, Izquierda Unida (2 deputati) e astensione dei partiti catalani. Una coalizione troppo eterogenea per essere stabile. Come condizione Podemos pone la celebrazione di un referendum in Catalogna per l’indipendenza, ipotesi inaccettabile per i socialisti. In Portogallo dallo stallo politico delle elezioni di ottobre, si è usciti con un accordo tra le forze di sinistra (socialisti, comunisti e Bloco), per scalzare dal potere i conservatori (che avevano vinto le elezioni). 

 

In Spagna non è mai successo, ma, se i veti incrociati non finiranno, sarà inevitabile tornare a votare nella tarda primavera (fine maggio o inizio giugno). Un salto nel buio per tutti, ovviamente, ma c’è già chi pensa di approfittarne. Podemos, con nuove elezioni, spera di superare i socialisti. Il Partito Popolare crede di recuperare i consensi persi a favore di Ciudadanos. I colonnelli del Partito Socialista hanno un obiettivo: andare alle urne cambiando candidato, sostituendo l’attuale segretario Pedro Sánchez (considerato troppo debole) con la leader andalusa Susana Díaz. Lo scenario greco, secondo gli osservatori spagnoli, è sinonimo di instabilità: nel Paese ellenico si è votato cinque volte in sei anni.  

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  • 3 months later...

Il Post

 

La situazione politica della Spagna è bloccata dallo scorso dicembre, quando si sono tenute le ultime elezioni che hanno portato di fatto alla fine del bipartitismo, alla formazione di un Parlamento molto frammentato e senza una chiara maggioranza, e alla necessità di formare un governo di coalizione per la prima volta dal 1982. Il termine per l’elezione del nuovo primo ministro è sempre più vicino e scadrà alla mezzanotte del prossimo 2 maggio, a due mesi esatti dal primo voto di investitura del Parlamento, fallito, per il socialista Pedro Sánchez, segretario del partito socialista PSOE. Se entro quella data non si dovesse trovare una soluzione, la Costituzione prevede che il re proceda con lo scioglimento delle camere e che indica nuove elezioni. È lo scenario considerato più probabile dalla maggior parte degli osservatori.

 

Il voto interno a Podemos

Nelle ultime settimane le discussioni si sono concentrate attorno a un accordo raggiunto tra PSOE e Ciudadanos, che però non è ancora sufficiente per garantire una maggioranza in Parlamento e che è stato votato da soli 131 deputati su 350. L’accordo avrebbe avuto bisogno dell’appoggio di Podemos. Pablo Iglesias, leader di Podemos da sempre contrario, aveva deciso di affidare la decisione agli iscritti del suo partito attraverso un consultazione interna che si è svolta tra il 14 e il 16 aprile. Le domande della consultazione erano due: «Vuoi un governo basato sull’accordo Rivera-Sánchez?» (leader, rispettivamente, di Ciudadanos e PSOE) e «Sei d’accordo con la proposta di un governo di cambiamento fatta da Podemos, En Comú Podem y En Marea?» (En Comú Podem è la coalizione elettorale che coinvolge Podemos in Catalogna, mentre En Marea è la coalizione elettorale che coinvolge Podemos in Galizia: comprendono il PSOE e altri partiti di sinistra).

 

I risultati sono stati annunciati lunedì 18 e, scrive El País, «non sono stati una sorpresa». Ha votato il 40 per cento degli aventi diritto (150 mila iscritti su circa 400 mila): l’88,23 per cento ha risposto no alla prima domanda, dunque contro un accordo Rivera-Sánchez; il 91,79 per cento ha risposto sì alla seconda, a favore di un “gobierno del cambio” che non comprenda Ciudadanos ma altri partiti di sinistra. Questa coalizione non avrebbe comunque la maggioranza al Congreso, a meno che non ottenga il sostegno dei nazionalisti baschi, catalani o, di nuovo, di Ciudadanos.

 

I risultati hanno confermato le posizioni di Iglesias. Gli analisti scrivono anzi che Iglesias, decidendo per una consultazione interna, abbia semplicemente cercato di evitare di prendersi da solo la responsabilità di andare a nuove elezioni e voluto consolidare la propria leadership interna: nelle ultime settimane all’interno di Podemos ci sono state forti divisioni tra i cosiddetti “Errejonistas” (chi cioè appoggia Íñigo Errejón, numero due di Podemos) e “Pablistas” (chi sostiene invece Pablo Iglesias). Le due correnti sono divise su vari punti, ideologici e organizzativi, ma soprattutto sull’atteggiamento nei confronti del PSOE: Errejón è più favorevole al dialogo con il PSOE ed è contrario alle posizioni intransigenti della direzione del partito.

 

Nuove consultazioni e nuovi sondaggi

Nel frattempo il re Felipe VI ha convocato nuove consultazioni per il 25 e 26 aprile con i rappresentanti dei vari partiti, per capire se c’è un’ultima possibilità, prima del 2 maggio, di formare una maggioranza e un nuovo governo. Il tentativo sembra comunque un atto formale destinato al fallimento. Se invece da questo terzo giro emergerà un candidato con sufficienti garanzie per superare l’investitura, il 27 aprile sarà convocato il Congreso per i due voti previsti: il primo a maggioranza assoluta e il secondo, a 48 ore di distanza, a maggioranza semplice.

 

In caso di nuove elezioni i sondaggi mostrano oscillazioni minime che non sbloccherebbero la situazione dello scorso dicembre e rischierebbero invece di replicarne le dinamiche. Podemos potrebbe decidere di cambiare le proprie liste e presentarsi con una coalizione che preveda la partecipazione anche di altri partiti come Izquierda Unida. Il 19 aprile c’è stata una riunione della direzione del partito ed è stata discussa anche questa possibilità, senza però arrivare, per ora, a una soluzione.

 

Gli ultimi dati raccolti mostrano un leggero spostamento delle preferenze degli elettori verso destra. Ciudadanos e PP (dell’attuale primo ministro Mariano Rajoy) guadagnerebbero qualche punto dall’astensione: il partito di Albert Rivera, rispetto allo scorso 20 dicembre, otterrebbe da 2 a 7 deputati in più e il PP ne guadagnerebbe da 5 a 8. Podemos e suoi alleati potrebbero o perdere 2 seggi o ottenerne 2 in più.

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  • 3 weeks later...

Il Fatto Quotidiano

 

C’è l’idea del “sorpasso”. Per intenderci, quello all’italiana del Pci. E proprio per una campagna elettorale (la seconda) che fin dall’inizio ha preso a prestito sempre più i passaggi che furono della politica nostrana: dalla Prima Repubblica -quella dei pentapartito, delle convergenze parallele, dei compromessi storici – alla Seconda, fatta di large intese, correnti e sottocorrenti, che durano quanto la fiammella di un cerino. Adesso a Madrid il termine italiano più in voga è “sorpasso” che, quarant’anni dopo, risuona proprio nei giorni in cui una possibile alleanza tra Podemos e Izquierda Unida per concorrere alle elezioni del 26 giugno è già cosa fatta. Manca solo il voto di militanti e simpatizzanti (tra il 10 e l’11 maggio), ma l’accordo, con tanto di abbraccio simbolico a Puerta del Sol tra Pablo Iglesias e Alberto Garzón, ha infiammato i social network e il dibattito politico.

 

I più di sei milioni di voti dei due partiti con i loro alleati locali spaventano Psoe e Pp, che negli ultimi giorni hanno reagito nervosamente ai segnali di pace che si lanciavano i due soci. “Unidos, sì se puede” hanno detto entrambi nella piazza più famosa della capitale iberica. Subito dopo un’improvvisata conferenza stampa: “Oggi il nostro Paese è più vicino ad un governo progressista che metta alla porta della Moncloa non solo Mariano Rajoy, ma anche le sue politiche” ha detto il leader di Podemos. Garzón si aspetta dalla base “un sì schiacciante” al referendum. “Ci troviamo di fronte a un preaccordo che risveglia l’entusiasmo di molta gente in generale, che supera i partiti, e questo è la cosa più importante” ha aggiunto.

 

Sui termini esatti ci sarà ancora qualche ora in più d’attesa, ma il patto annunciato si basa su cinque punti: formazione della coalizione, presenza dei due simboli e autonomia dei partiti durante la campagna elettorale, programma condiviso e ripartizione delle risorse economiche e delle candidature. Proprio in merito alle candidature l’accordo garantirà a Izquierda Unida almeno la sesta parte dei seggi alla Camera ottenuti dalla coalizione, che, secondo le previsioni, potrebbero essere circa 58, senza contare le organizzazioni e alleanze territoriali di Podemos in Catalogna, Valencia e Galicia. E, secondo indiscrezioni della stampa iberica, Alberto Garzón sarà il numero cinque della lista a Madrid. Anche il programma è stato oggetto di negoziazione. Podemos e Iu si candideranno con una serie di concetti base cui aggiungeranno i loro rispettivi programmi. Le proposte che Garzón ha avanzato sono basate su 26 misure, dal sociale all’economico, elaborate con l’intenzione di convergere con il partito viola.

 

L’obiettivo è “restituire il Paese alla classe popolare e vincere le elezioni”, affermano i due leader. Già perché il tanto citato “sorpasso”, che come chiariscono entrambi riguarda il partito popolare, spaventa non poco i “cugini” del Psoe. Stando agli ultimi sondaggi disponibili del Cis, i socialisti rischiano di scivolare in terza posizione (con un 21,6% rispetto al 23,1% della coalizione Podemos/Iu) e perdere per la prima volta lo scettro di forza rappresentativa di sinistra. A favore della nuova coalizione. Sarebbe una disfatta per lo storico partito, se non riuscisse quantomeno a mantenere i suoi 90 seggi. Ma anche la sconfitta personale di Pedro Sánchez. Lui, ferreo nel non voler scendere a patti con nessun altro se non con Ciudadanos, ha già difficoltà a tenersi stretto il posto di segretario: il Psoe ha fatto sapere che subito dopo le elezioni eleggerà il nuovo leader del partito e l’andalusa Susana Díaz sembra già pronta, armi e bagagli, a trasferirsi nella capitale. Podemos e Iu insomma cercano di polarizzare la campagna elettorale per diventare la principale alternativa al partito di governo. “O il Pp o noi” hanno ripetuto in questi giorni i loro dirigenti. Come a dire, l’idea del “sorpasso”, innanzitutto sul Psoe, non è poi così lontana.

Edited by Rotwang
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