Rotwang Posted December 21, 2015 Share Posted December 21, 2015 Internazionale“Mi piace il nuovo. Mi piace il cambiamento. Ma qualcosa che puoi riconoscere deve restare: qualcosa che permetta a chi ha amato l’anima di un posto di riconoscere quell’anima”. Ornella Tarantola ha lavorato per vent’anni all’Italian Bookshop nel centro di Londra e dell’anima di questa città, di questa zona, conosce qualcosa. Anche se ora talvolta si guarda intorno spaesata. “Giorni fa ero a poche strade da qui, ho guardato i palazzi e ho pensato che avrei potuto essere ovunque. Avrei potuto essere a Manchester”. Non siamo in un posto qualsiasi. Siamo probabilmente tra le strade con più carattere di Londra, almeno fino a tempi recenti. Dopo una lunga storia a Cecil Court, il vicolo affollato di librerie vicino a Leicester Square, quattro anni fa l’Italian Bookshop si è trasferito al confine sudest di Soho, vicino a dove Regent Street piega, come il bastione curvo di una roccaforte, verso Piccadilly Circus. Soho a modo suo è sempre stata una roccaforte. Qui la libreria condivide gli spazi con lo European Bookshop. “I nostri clienti sono inglesi, che conoscono o studiano l’italiano, e i ragazzi italiani che qui trovano un senso di casa. Magari scoprono gli autori italiani contemporanei che non leggevano in Italia. Lavorano nelle catene di coffe shop per il minimo sindacale, hanno poco a che fare con le favole sugli italiani che arrivano e conquistano subito Londra. Per ogni italiano che riesce, ci sono frotte di ragazzi che servono al banco di un Caffè Nero”. In poche frasi Ornella ha tracciato un identikit della libreria e di un clima economico. “Amo Londra follemente. Ma se ci arrivassi oggi, non so se ce la farei a restare”. Lo stesso Italian Bookshop ha un futuro incerto: a marzo la libreria sarà sfrattata dalla sede attuale. È una storia che a Londra si ripete ovunque, a chiunque, di continuo. Il proprietario del palazzo vuole rinnovare e rifare e rimodernare, ovvero alzare bruscamente affitti già alti. “Chi potrà permettersi di subentrare allora? Qualche grossa catena. E un altro pezzo dell’anima di questa zona scompare”. Sarà magari una di quelle catene per cui lavorano i ragazzi che oggi frequentano la libreria. Non è un segreto che il modello economico preferito di Londra sia quello basato su un ricambio continuo – di dipendenti giovani da pagare con salari minimi, affittuari da spremere finché non falliscono, edifici storici da sventrare e rifare all’infinito per ricavarne margini di speculazione sempre maggiori. Un processo che a Londra accelera senza sosta, più che altrove, grazie a un’economia drogata da un forte afflusso migratorio, da una carenza permanente di spazi immobiliari, e dal potere predatorio concesso alle corporation e agli investitori immobiliari. La novità è che questi meccanismi hanno intaccato l’ultima zona centrale che ancora viveva, con una sua economia e attirando turisti, proprio in ragione della sua diversità. Soho si è trovata in una “tempesta perfetta” che ha unito le pressioni del mercato immobiliare, le confische legate ai progetti Crossrail – le due nuove ferrovie sotterranee a grossa portata che viaggeranno sotto il centro di Londra – e una volontà di “normalizzare” la zona. La vecchia Soho se ne va. Un certo romanticismo di Londra non ha più casa. È come se la città, infine, divorasse il suo stesso cuore. Per gran parte del ventesimo secolo, Soho è stato il quartiere delle bettole economiche dove si riunivano scrittori e artisti. Era anche il quartiere a luci rosse di Londra. Negli anni cinquanta fu la zona dei beatnik inglesi, mentre nei sessanta Carnaby Street fu il centro della swinging London. Negli anni settanta le vie a sud del quartiere diventarono una Chinatown. Negli anni ottanta le autorità cominciarono a contrastare locali di striptease e sexy shops, fino a confinarli in un paio di vicoli, mentre in contemporanea arrivava la comunità gay. Negli anni novanta, Soho trovò un equilibrio tra vecchio quartiere bohémien e nuova vita creativa: londinesi e turisti trovavano qui un misto di scantinati-nightclub, pub gay, ristoranti cinesi aperti tutta la notte, uffici di produttori cinematografici, teatri, negozi di dischi, librerie, caffè indipendenti, oltre agli ultimi bordelli clandestini. Il persistere di una vaga aria losca teneva lontani gli animi più borghesi e gli agenti immobiliari, proteggendo la comunità di creativi e outsider vari che vivevano nel quartiere. Coloro che frequentavano Soho in quegli anni ricordano soprattutto un forte senso di comunità. Era uscire dal quartiere, piuttosto, a essere percepito come pericoloso. Negli anni duemila sono cominciate le chiusure. Ha chiuso il Colony Room, il club per artisti fondato da Francis Bacon. Hanno chiuso caffè italiani come il New Piccadilly della famiglia Marioni, famoso per i tavoli di formica e le tazze di tè a mezza sterlina. Ha chiuso soprattutto l’Astoria, il teatro che aveva fatto la storia della musica dal vivo a Londra. Le proteste popolari non sono bastate a salvare lo stabile, demolito per far posto allo sviluppo della stazione di Tottehnam Court Road. Infine, con gli anni dieci, prende il via la “normalizzazione” capillare di Soho. Una sorta di pulizia sociocommerciale negozio per negozio, casa per casa, porta per porta. A volte intervengono ordinanze di ordine pubblico: Madame Jojo’s, locale di burlesque e drag queen usato come set da Stanley Kubrick in Eyes wide shut, ha subìto una revoca della licenza dopo un banale alterco tra un addetto della sicurezza e un cliente. In molti hanno visto in quella revoca il segno di una spinta moralizzatrice che vorrebbe fare di Soho una nuova Covent Garden, l’area vicina ridotta a poco più di un parco a tema: pulita, asettica, senza vita notturna e senza rischi per gli investitori. È stato allora, sul finire del 2014, che si è costituito il comitato Save Soho, sostenuto da nomi celebri come Stephen Fry e Benedict Cumberbatch. Il comitato ha ricevuto rassicurazioni dal sindaco Boris Johnson, ma a Soho le chiusure continuano quotidiane. Le chiusure avvengono spesso all’improvviso e i clienti sfogano la loro sorpresa in rete. La scomparsa di Stockpot, un caffè ristorante a conduzione familiare su Old Compton Street, l’ultimo posto di Soho dove si potesse mangiare con meno di dieci sterline, ha provocato una tempesta di tweet. Altre volte le chiusure sono oggetto di battaglie, come la petizione di 17mila firme che non è riuscita a salvare la sede del 12 Bar Club – dove Jeff Buckley suonò per la prima volta nel Regno Unito e dove Adele ha debuttato. Chiudono altri posti su Denmark Street, la strada dei negozi musicali e degli studi d’incisione. Chiudono i pub indipendenti e diventano ristoranti di lusso, punti vendita di catene, o smettono di essere luoghi pubblici. La perdita di spazio pubblico e lavorativo è un aspetto della trasformazione. Lo spazio residenziale è l’affare più redditizio a Londra, e ovunque ottengono il permesso, i proprietari preferiscono erigere una nuova palazzina di appartamenti che venderanno o affitteranno nelle fasce alte del mercato. Secondo l’Economist, nell’arco di dieci anni in quest’area sono stati convertiti in appartamenti più di 180mila metri quadrati di uffici. Il consueto paradosso della gentrification: i residenti benestanti sono attratti dalla vitalità di una zona, ma una volta insediati spingono perché la zona diventi più tranquilla. La battaglia per Soho non riguarda solo il tentativo di salvare le ultime tracce dell’anima della zona, l’idea romantica che una metropoli occidentale possa conservare un cuore di luce-ombra e libertà. Riguarda lo scontro tra diversi modelli di investimento. L’economia di una zona come Soho si basa sul settore dell’intrattenimento e su un patrimonio di individualità che richiama visitatori. Si basa inoltre su quella idea di capitalismo, evidenziata dieci o quindici anni fa da economisti come Richard Florida, di lavoratori creativi in zone urbane dallo stile di vita libero e anticonformista, capaci di richiamare talenti e produrre innovazione. Oggi, tutto questo è espulso dalle ruspe e dalle gru, dalla forza bruta del valore per metro quadro, dalle opere di sviluppo con burocrazie inflessibili e bilanci miliardari. Per avere conferma di questi processi si può allargare lo sguardo ad altre parti della città, dove sono coinvolti settori anche più strategici. A Shoreditch, per esempio, le start-up hanno provato a costituire una sorta di Silicon Valley britannica, ma molte sono costrette ad andarsene per il costo degli affitti. A Soho, imprese che un decennio fa sembravano l’avanguardia della città sono oggi vittime trascurabili dei suoi impetuosi cambiamenti. La lista dei locali gay che hanno chiuso negli ultimi anni non smette di allungarsi: Bar Code, Ghetto, Candy Bar, Manbar, Green Carnation, The Edge. Mentre il Curzon Soho, il raffinato multisala che ospita affollati festival di cinema, è minacciato dalla Crossrail 2. Le nuove linee ferroviarie promettono di portare più visitatori, ma cosa verranno a fare quei visitatori, se non ci saranno più luoghi interessanti dove andare? Poco prima di Natale, ci si ritrova per la presentazione di un libro e un ultimo brindisi all’Italian Bookshop. C’è molta gente. Ci sono la comunità letteraria italiana di Londra, i giovani frequentatori della libreria, il resto della squadra che la gestisce con Ornella. Aria di commozione e qualche risata. Ornella annuncia che la libreria potrebbe riaprire in un’altra parte della città, a South Kensington, ma sarà un negozio molto più piccolo che non le permetterà di fare quello che ama: esporre i libri, mettere in evidenza le novità, fare insomma al meglio il suo lavoro di libraia. Se l’Italian Bookshop sopravviverà, sebbene in una zona meno comoda e con spazio molto ridotto, sarà in ogni caso una buona notizia. Altri luoghi di Soho intanto resistono e non sembrano avere intenzione di mollare. Non c’è solo una cronaca della fine, in questa prodigiosa città. Ma c’è un motivo se le elegie sulle chiusure di locali storici e sulla perdita di identità dei quartieri sono diventate un genere onnipresente sui mezzi d’informazione londinese. In una metropoli in movimento febbrile, sovrappopolata e nervosa, dove si vive da stranieri e circondati da stranieri, ciò che conta è salvare qualche senso di comunità. La storia di Soho conta non solo perché si tratta di una zona storica, di cui proteggere l’architettura e l’atmosfera, ma perché i suoi luoghi hanno finora espresso un senso di comunità e di appartenenza, o di varie comunità intrecciate, pacificamente, nello spazio protetto di un village urbano. Per alcuni, queste sono solo nostalgie passatiste. Magari è così. Eppure la trasformazione di un luogo risponde sempre a spinte economiche e non è detto che siano quelle più lungimiranti. Disperdere l’anima di un luogo è un investimento costoso e intimamente violento. In nome di quale modello di futuro urbano? Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Sampei Posted December 21, 2015 Share Posted December 21, 2015 (edited) Il quartiere di Soho è da rottamare, lo dice Renzi con Confindustria e Bertone, quindi Ornella, non rompere le palle con il tuo passatismo e accetta il progresso e la distruzione del tuo amato quartiere schifoso pieno di sporchi froci sudici artisti pidocchiosi e cinesi tuttofare che rubano il lavoro agli italiani che rubano il lavoro ai lituani che rubano il lavoro ai londinesi. Beccati gli ottanta euro fumateli come ti pare e sta' zitta. Shish Edited December 21, 2015 by Sampei Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
m89 Posted December 21, 2015 Share Posted December 21, 2015 Ma dico io perché perdere cinque minuti del proprio tempo per scrivere un commento che definire stupido è davvero poco?! Detto questo l'articolo è davvero interessante e da ragazzo che vive a Londra posso dire che è vero che la trasformazione di Soho ci sarà sicuramente stata ma tutt'ora quando abbandoni le popolari Charing Cross Raod o la Shaftesbury Avenue e arrivi in Soho hai la sensazione di entrare in un piccolo microcosmo separato dal resto della città, non c'è frenesia né gente che corre da tutte le parti, ma un clima tranquillo e rilassato, il fatto che sia il quartiere gay della città poi è un altro fattore, ma Soho è frequentata non solo dalla comunità gay londinese (insieme a Shoreditch e in misura maggiore Vauxhall) ma da tutti i cittadini che cercano un momento tranquillo nel cuore della città....purtroppo è anche vero che a Londra va tutto per catene commerciali e che molte piccole attività sono schiacciate da questo sistema e che il mercato degli affitti è fuori controllo soprattutto nella zona centrale e quindi molti commercianti non sono più in grado di poter pagare l'affitto per locali al centro e devono quindi ripiegare su altre zone della città...ma tuttora Soho è ancora Soho! Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
_mat2k8_ Posted December 21, 2015 Share Posted December 21, 2015 Sono stato spesso a londra... La prima volta nel 2005 poi ho fatto alcuni anni in cui ogni 6 mesi andavo a fare un giro e l'ultima volta è stata nel 2013... Nei vari anni uno dei cambiamenti più evidenti che ho notato è stato a camden town: dai negozi di dischi e cd usati in cui riempivo il mio bagaglio a mano e arrivavo ad avere 30kg di trolley (gli inizi di ryanair, il peso non era considerato troppo) e 3 felpe e 4 maglie addosso per il viaggio che non stavano più nel bagaglio siamo passati a negozi di souvenir (sempre quelli, sempre gli stessi) e catene commerciali... Gli altri quartieri un po' più caratteristici stanno facendo la stessa fine... capisco perfettamente l'articolo postato... Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
OLEG Posted December 21, 2015 Share Posted December 21, 2015 La gentrification è un fenomeno che riguarda tutte le città vitali. A Londra questo processo è macroscopico ma anche in alcune città italiane è visibile anche se in modo nettamente più limitato. La gentrification porta inevitabilmente a cambiare l'anima del quartiere in oggetto, così come ci saranno altri quartieri, oggi anonimi, capaci di produrre un clima culturale fecondo come è stato Soho in passato. Un secondo aspetto della gentrification è il cambiamento architettonico del quartiere, a volte vengono recuperati vecchi edifici che prima erano decadente altre volte si costruiscono dei veri e propri mostri. Basta farsi un giro al quartiere Isola di Milano, ad esempio, per vedere interessanti recuperi architettonici su case di ringhiera e abominevoli sopralzi. Ecco spero che da questo punto di vista Londra sappia tutelare meglio se stessa. Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Efestione7 Posted December 21, 2015 Share Posted December 21, 2015 (edited) Tutto cambia necessariamente nelle città, non ne farei un dramma. Se Londra non fosse cambiata dall'epoca vittoriana agli anni 80, col caxxo che l'80% dei gays italiani sarebbe andato là a lavorare e che Soho sarebbe diventato ciò che è ora. Così come San Francisco non ha più nulla della citta dei fiori anni 70/80. Semplicemente adesso si dovranno trasferire a Tel Aviv o Vancouver. Edited December 21, 2015 by Efestione7 Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Shell Posted December 21, 2015 Share Posted December 21, 2015 Anche Pordenone se l'è praticamente mangiata il Veneto però non ci apri un topic, vero brutto piacentino? Hipster populista e complottaro Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Efestione7 Posted December 22, 2015 Share Posted December 22, 2015 L'80% mi sembra alta come percentuale non credi ? Direi più un 10% di solito quelli che hanno già in parte il culo parato. Non ho fatto una ricerca, era una cifra giusto per dare l'idea del fenomeno. (e comunque sti giorni Grindr mi da almeno 1 nuovo ogni tre, con descrizione in inglese e la scritta "holidays fun", ne traggo qualche conclusione direi...) Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Sampei Posted December 22, 2015 Share Posted December 22, 2015 ma tuttora Soho è ancora Soho Baggianate, la legge di stabilità prevede ben altro che questi piagnucolosi amoreggiamenti omosessuali esterofili. Quel quartiere sarà doverosamente raso al suolo per far posto a MilanoFiori4 e alla nuova diramazione della Serravalle Scrivia per facilitare l'accesso dei consumatori queer ai Magazza. Il Wessex deve ripartire! Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
Rotwang Posted March 19, 2016 Author Share Posted March 19, 2016 (edited) Il Fatto Quotidiano Adesso andate a dirglielo, a Bertolaso, che a fianco di Sadiq Khan, candidato sindaco di Londra per i Laburisti, c’è una signora incinta di nove mesi. Ivana Bartoletti, 36 anni, italianissima, a Londra da sei anni, deve partorire, se tutto va bene, il 30 marzo. Nonostante questo porta il suo pancione in giro, ogni giorno, a fare campagna elettorale. Ivana si candida per uno dei 25 posti all’interno della London Assembly, nella circoscrizione di Havering e Redbridge, quella Londra multietnica che lei stessa, e il candidato sindaco di origini pachistane Sadiq Khan, difendono a spada tratta ed è vice-presidente della Fabian Society, lo storico think tank dei Labour. ‘Nessuno ha avuto niente da ridire al fatto che mi candidassi pur essendo incinta’, dice. ‘Nemmeno il tory Andrew Rosindel, che qualche anno fa aveva fatto dei commenti su un’altra candidata donna in gravidanza, ma che venne attaccato così duramente da destra e da sinistra che fu costretto a zittirsi. D’altra parte io lavoro tantissimo, incinta o no. Solo che ho imparato a chiedere aiuto quando ne ho bisogno. Questo non vuol dire che faccio meno o lavoro meno. Solo che so circondarmi da persone migliori, più d’aiuto e più comprensive.’ ‘I commenti fatti alla possibile candidatura di Giorgia Meloni sono orripilanti. Tra l’altro io e Giorgia ci conosciamo e abbiamo fatto politica insieme, anche se in diverse fazioni’. Se le si chiede cosa l’ha portata a fare politica, spiega che è un amore di lunga data. ‘Io e la politica ci siamo incontrate tanti anni fa, quando ero ancora sui banchi di scuola. A 17 anni sono andata a studiare in Usa, ai tempi della campagna elettorale di Bill Clinton, e mi sono innamorata delle idee dei democratici. Poi mi sono iscritta alla Sinistra Giovanile, ho lavorato con Barbara Pollastrini. E poi sono venuta a Londra. Mi sono unita ai Labour e ho ricominciato da zero, a dar via volantini. Be’, a essere precisa non proprio da zero. Le esperienze passate a qualcosa servono sempre. Comunque certo, ho fatto una carriera politica molto veloce qui in UK. D’altra parte qui tutto succede velocemente. Non è mica come in Italia, che vedi le stesse facce per 30 o 40 anni. Anche se la politica è complicata anche qui, e ancora di più per una donna. Adesso Ivana corre di fianco a Sadiq Khan, per uno dei venticinque posti della London Assembly, che controlla da vicino il lavoro del sindaco. ‘La Londra che vorrei è quella che ho amato e scelto quando sono venuta qui sei anni fa’, dice Bartoletti. ‘Quella che ti da un’opportunità se sei disposto a lavorare duro, indipendentemente da razza, religione, colore della pelle. Purtroppo Londra sta cambiando sempre più sotto I nostri occhi. E’ diventata un parco divertimento per ricchi, terra di conquista per i costruttori. Intendiamoci, io non ho niente contro la cosiddetta gentrificazione, purché non stravolga la società. Invece a Londra non ci sono più opportunità per tutti, la classe di provenienza ha sempre più peso. Vorrei che Londra tornasse a essere la città del talento e dell’eccellenza. Sadiq, con la sua storia, rappresenta proprio la Londra che tutti abbiamo amato e che vogliamo rivedere: figlio di un guidatore di autobus ha studiato duro, è diventato avvocato, si è dato alla politica ed è diventato ministro. Questa è la Londra per cui combattiamo. Tra l’altro Sadiq è contrario al Brexit, mentre Zac Godsmith (il candidato dei Tories, ndr) è a favore. Come è possibile che il sindaco di una città come Londra la voglia vedere fuori dall’Europa?’. Edited March 19, 2016 by Rotwang Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
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