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I giovani non fanno più coming out


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Come è noto per chi mi conosce vivo molto il problema del coming out, per ragioni del tutto soggettive, non legate al contesto direttamente ma solo a me stesso.
Detto ciò mi ha colpito questo reportage che oggi è online sul corriere dove si parla di percentuali, a dir poco bassissime, dei giovani che si dichiarano.

Come ogni dato va letto in prospettiva e chiedo a voi soprattutto un'interpretazione, i dati sono così bassi perchè si parla di co in famiglia ma si prendono in considerazione anche i gay repressi o presunti? Qual è il campione? In base alla vostra esperienza come lo vedete?

 

 

 

Qualcosa non va. A pochi giorni dall’approvazione al Senato del ddl Cirinnà, che regola le unioni civili, non tutto è facile per chi ama persone dello stesso sesso. Perché i pregiudizi resistono, anzi, forse quel magma di informazioni, verità dimezzate e proclami apodittici che è internet, a volte amplifica questo muro tra gli eterosessuali e gli omosessuali. Lo dicono i dati di Arcigay: appena il 2.11% dei ragazzi dai quattordici ai diciassette anni si dichiara apertamente (fonte: arcigayagora.it; si tratta di una ricerca fatta seguendo le indicazioni sui social network, dunque, come ammette anche l’associazione, «non saranno certo precisi come una rilevazione statistica») mentre alcuni libri come L’altra parte di me (Piemme), di Cristina Obber, raccontano le difficoltà di due ragazze che scoprono di volersi bene ma che fanno i conti con una società ostile.

Così, paradossalmente, mano a mano che cresce l’impegno della società civile a favore dell’uguaglianza dei diritti (basti pensare alla mobilitazione degli intellettuali e di personaggi famosi come Lady Gaga, per fare un nome), l’impressione che affiora da questo lavoro, una parte dell’inchiesta su Sesso & Amore fatta da La 27Ora-Corriere della Sera, è che, soprattutto tra i giovani, si sia combattendo una battaglia di retroguardia. E il coming out, il venire allo scoperto, si fa sempre più raro: perché rischiare di essere attaccati e derisi quando c’è una sotto-comunità di simili nella quale rifugiarsi e sentirsi bene? Ecco, nelle interviste che abbiamo fatto, nelle testimonianze che abbiamo raccolto, ci è sembrato di cogliere questo atteggiamento: ci sono i gruppi, le «cellule», i sotto-gruppi che si rinsaldano, a scapito di un’apertura.

Cosa che rischia di impoverire decenni di battaglie, anni di impegno per la parità giuridica e sentimentale. Anche di quelle persone che il coming out l’hanno pagato caro sul lavoro. Umberto Bindi, un esempio su tutti (nel 1961 si presentò a Sanremo con un anello al dito pur non essendo «regolarmente sposato» e in seguitò fu emarginato dal suo mondo). 
Ma il riconoscimento di una precisa volontà di amare una persona dello stesso sesso è importante. Ce lo dimostra la storia di Domenico, ragazzo di 24 anni, che ha amato un uomo molto più grande e poi l’ha perso. Ascoltate

 

Il tuo browser non supporta il tag audio

Eppure, molti giovani gay e lesbiche fanno fatica a raccontarsi. A dire apertamente quello che provano. Siamo andati all’Università di Milano, dove il collettivo Gay Statale, fatto di giovani attivisti, si incontra una volta alla settimana. Eva, 22 anni, ci ha rivelato che la sua famiglia non è a conoscenza della sua omosessualità. Sentite che cosa ha raccontato a Radio 27

 

 
Marco, 20 anni, ci ha spiegato con chiarezza le difficoltà con i genitori, sempre a Radio 27

 

Ancora oggi, dunque, nonostante tutti concordino sul fatto che Milano sia una delle città europee meno affette da pregiudizi, l’ostilità resiste eccome. Sentite che cosa ci hanno detto Stefano, 23 anni e Simone, 22

 

La difficoltà a raccontarsi e la paura
Secondo le statistiche di Arcigay (che ha utilizzato anche i dati di Facebook, dove è possibile segnalare il proprio orientamento sessuale), i minorenni (13-17) sono la categoria meno disposta a dichiararsi, un dato che conferma la difficoltà di accettare e/o dichiarare il proprio orientamento sessuale durante l’adolescenza. La percentuale poi aumenta fino a raggiungere un picco tra i 25-34enni (4,82%), poi diminuisce ancora e torna ad aumentare tra gli over-55. Eppure, da tempo il cinema racconta queste problematiche con competenza. Ecco alcuni dei film più famosi sul tema LGTB

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https://www.gay-forum.it/topic/32514-i-giovani-non-fanno-pi%C3%B9-coming-out/
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Sì, ma l'articolo usa termini come i "giovani non fanno più"

"battaglia di retroguardia" e "sempre più raro";

come a dire che PRIMA gli adolescenti si dichiaravano di più.

Ha senso questa cosa?

Una volta andavano a lavorare a 15 anni e si dichiaravano?

 

 

l'articolo usa termini come i "giovani non fanno più" "battaglia di retroguardia" e "sempre più raro"; come a dire che PRIMA gli adolescenti si dichiaravano di più. Ha senso questa cosa?

no.

e cmq mi pare che facciano pure un po' di confusione tra gay -più o meno- dichiarati ed attiviste / suffraggette frocie.

Chè non solo tra i piskelli la percentuale di attivisti nelle ass.ni è molto bassa rispetto alla fauna gaya nel suo complesso

Io non  l' ho mai detto  ; poi  a 15 anni ero già  fuori di casa  anzi  sbattuto fuori  di casa    e  di conseguenza    non l' ho  mai dichierato poi  x  altri fattori  ora  ormai e inutile  .

 

 

cosa serve divulgare un dato percentuale privo di valore statistico? Forse chè i numeri rendono più verosimiglianti le nostre fantasie?

ma infatti è tutta fuffa!!

non c'è una statistica, una data, un riferimento oggettivo..

mi pare un papirone totalmente inutile & facilmente dimenticabile..

 

che poi il corrierone è la stessa testata che 10 giorni fa aveva edito uno speciale multimediale sulla storia del movimento omosex italico molto ma molto ben fatta

(vedi http://www.gay-forum.it/forum/index.php/topic/32473-dalla-clandestinità-ai-diritti-corriereit/ )

bah!!!

Freewheeler

Sì, ma l'articolo usa termini come i "giovani non fanno più"

"battaglia di retroguardia" e "sempre più raro";

come a dire che PRIMA gli adolescenti si dichiaravano di più.

Ha senso questa cosa?

Una volta andavano a lavorare a 15 anni e si dichiaravano?

Concordo! La mia età anagrafica lascia poco spazio ad interpretazione diacroniche

ma ho sempre pensato, forse ingenuamente, che negli ultimi anni fare coming out sia più diffuso che mai.

davydenkovic90
beh difficile dichiarare quando dipendi economicamente dai genitori... scoperta dell'acqua calda

Però se uno vive coi propri genitori, diventa anche opprimente e difficile nascondersi, a un certo punto. Specie se bazzichi "il mondo gay".

Dipende molto anche dai genitori: io ad esempio coi miei sarei potuto andare avanti in eterno senza dichiararmi vista la loro assenza fisica ed emotiva, ma ci sono genitori con personalità più forti e più presenti che opprimono i figli con continue richieste e allusioni e credo sia difficile mantenere il segreto.

Diverso è il caso di quelli che lasciano casa, a quel punto non c'è bisogno di dichiararsi. E se ne riparla quando l'università è finita, quando dovranno difendersi dalla domanda "Come mai hai un lavoro, una casa e non hai la fidanzata?".

 

Credo che il punto sia che quella comunità o subcultura che tu citi non è quella occulta che c'era 20 anni fa, ma è ben visibile e si batte perché l'omosessualità sia sdoganata al di fuori dai contesti gay. L'omosessuale che, siccome vive in ambienti gay, non sente il bisogno di dichiararsi, è quello "medio" degli anni 70, forse 80 o 90.. ma non del 2016.

Io fra i miei coetanei, ad esempio, vedo che quasi tutti fanno coming out, e chi ancora non lo fa viene aiutato dagli altri a farlo, specie se la situazione a casa risulta opprimente.

Uno dei miei amici che è studente fuorisede, per esempio, un paio d'anni fa è tornato a casa e si è portato dietro anche il ragazzo. Ha detto a sua madre che avrebbe dormito con lui in camera perché erano una coppia. E' stato molto naturale farlo. Avrebbe potuto fare tremila altre cose, non portare il ragazzo, avrebbero potuto fare una vacanza in hotel da qualche altra parte. 

Hanno scelto la strada più ovvia e più al passo coi tempi che corrono. Secondo me, la miglior scelta, dato che il "nascondersi" non è mai bello e non si può protrarre all'infinito. In particolar modo se hai una relazione stabile.

 

 

Attenzione: segue noioso davy-pensiero sul coming out in famiglia.

Io vedo il "dichiararsi" come un "non nascondersi più". Raccogliere il coraggio e la faccia tosta, andare a dire a mamma e papà "sono gay" così di punto in bianco, e aspettare la reazione, non è quello che io immagino... è come se un figlio andasse a dire "mamma papà, sono etero". Non ha molto senso la cosa, a meno che, ripeto, loro non pongano domande dirette o diventino opprimenti ed entranti nella tua vita... Ma, in casi "standard" il coming out è semplicemente un non nascondersi. Un vivere tranquillamente la propria vita senza paura di essere scoperti e senza vergognarsi qualora ci sia bisogno di dire che siamo gay o che abbiamo un compagno. 

Penso che la cosa più scoraggiante in un coming out non sia tanto la paura che avvenga un terremoto familiare di essere ostracizzati quanto la noia e il fastidio dato dal comportamento maldestro dei familiari nei tuoi confronti. 

A me capita di vivere situazioni abbastanza surreali con la mia famiglia delle volte... Ho detto che sono gay per onestà intellettuale. Meriterei di ricevere lo stesso trattamento di un etero, ma non è così. Solo ed esclusivamente per aver detto di essere gay, in famiglia mi sono beccato del ribelle, dell'insoddisfatto della propria vita, del plagiato... addirittura del "plateale" a un certo punto. E chi mi conosce sa che sono tutto tranne che plateale. Tutto questo è noioso. 

Edited by davydenkovic90
Sì, ma l'articolo usa termini come i "giovani non fanno più" "battaglia di retroguardia" e "sempre più raro"; come a dire che PRIMA gli adolescenti si dichiaravano di più. Ha senso questa cosa?

 

E' vero manca il secondo termine di paragone. Cioè si fa un paragone fra x e y dove x è oggi e y... non c'è!

 

Secondo me è un modo coglioncello e contorto con il quale commentatori eterosessuali, da una prospettiva in buona fede ma falsata, cercano goffamente di approcciare il tema dell'omofobia in famiglia interpretando voci e dibattiti sottilissimi, cervellotici e assolutamente secondari in seno alla comunità lgbt.

 

Io eterosessuale italiano della strada vengo a sapere dell'esistenza dell'omosessualità REALE tra 2013 e 2015 quando si inizia a parlare delle unioni civili. Poi nel 2016 vado a sentire cosa dicono le associazioni gay (di cui magari prima me ne fottevo altamente) e se riesco ad interpretare bene cosa dicono, mi pare che siano preoccupate per la bassa percentuale di ragazzi che in generale riescono a vivere apertamente il loro orientamento sessuale in famiglia. Cosicché mi improvviso sociologo della domenica facendo connessioni CAZZUALI fra cause ed effetti, magari non ho nemmeno poi tutta questa capacità di capire ciò che io stesso scrivo in italiano perché lo stage al Corriere lo ho ottenuto con una telefonata del papi, e mi metto a dire che il progresso giuridico non riesce ad implicare progresso sociale tipo figa cioè oh.

 

Che cosa rispondo io:

 

1) I due progressi sono lenti e si trascinano a vicenda, e fino a due mesi fa quello sociale era infinitamente più avanti di quello giuridico, ora si sono un pochino colmate le distanze ma quello sociale resta palesemente più avanti di quello giuridico;

2) Quando volete giocare a fare paragoni storici dovete avere DUE TERMINI DI RIFERIMENTO NEUTRALI temporalmente collocati e quantitativamente definiti, altrimenti sono parole al vento, questo dovrebbero insegnarvelo nelle scuole di giornalismo, ma se è il papi che fa la telefonatina posso capire che vi manchino le basi di concetti come la statistica sociale o la demografia;

3) Porca miseria, la legge non è nemmeno passata in camera bassa per la seconda lettura definitiva e già insinuate "paradossalità" e "scollamenti" all'interno di processi di lunghissimo periodo come quelli sociali... ma andate a farvi uno spriz dai!!!

Edited by Sampei

Per conto mio la questione e' posta male. Non va fatta sui giovani ma sui genitori.

 

Se i genitori fin dall'infanzia spiegassero ai figli che esistono i gay, i bisex, gli etero e i trans e che per loro non fa nessuna differenza ad avere un figlio gay o etero allora i figli farebbero subito CO. anzi, al loro primo dubbio riguardo la propria affettivita' la cosa piu' naturale per i figli forse sarebbe proprio parlarne con i genitori stessi.

 

Se invece il figlio fa CO con timore ai genitori significa che i genitori non hanno svolto in maniera ottimale il loro ruolo di genitore.

 

 

Questi giovani, sempre lì a radersi intorno all'ano e mai tempo per il CO

 

In effetti son più impegnati a scoparsi che ragionare sull'importanza sociale del fenomeno del CO, hanno già superato certi nostri fulcri di pensiero, sono oltre.

davydenkovic90

il problema principale  della paura di fare coming out, secondo me, è che uno potrebbe arrivare a rinunciare alla propria vita affettiva e sessuale per non dover rischiare di fare coming out.

un conto è avere una vita gay e non farlo sapere ai genitori per starsene tranquilli e non sentirsi giudicati, un altro conto è evitare di avere una vita gay (o non viverla appieno) per paura che i genitori sappiano che sei gay. E facilmente si realizza quest'ultimo caso.

E' un po' il problema che avevo io alle superiori: sapevo di essere gay dentro di me, ma evitavo di esplorare la mia sessualità perché, se l'avessi fatto, sarei stato probabilmente scoperto e non avrei saputo gestire la situazione. Me ne stavo "nascosto" e stavo tranquillo, però allo stesso tempo non vivevo la mia vita come facevano gli altri miei coetanei e mi rifugiavo nello studio... non stavo male, ma neanche bene.

Secondo me il dato è abbastanza inattendibile

 

In primo luogo la categoria di età selezionata è bassa

la fascia 14-17 taglia fuori tutti coloro che si sbloccano

all'Università o che sono cresciuti nella sterminata provincia

italiana

 

In secondo luogo il mezzo "orientamento su profilo facebook"

implica il rendere il proprio orientamento di pubblico dominio

cioè lo vedono tutti i parenti, i professori ( parliamo in fondo di

ragazzi delle superiori etc ) cioè è una forma di CO molto forte

per dei minorenni, che però magari a qualcuno lo hanno già detto

 

E' vero che poi possono subentrare altri fattori di timore ( il CO

sul lavoro etc ) però il 4,8% è già un dato discretamente confortante

 

Dopodichè se lo scopo di Arcigay era quello di dirci che l'Italia non è

il Canada, dove magari tutti i ragazzini lo fanno etc OK, lo posso accettare

ma allora mi devi fare dei paragoni con altri paesi occidentali

 

E non paragoni con coloro che nel 1992 lo avrebbero detto alla migliore amica

ed alla mamma...

si potrebbe dire, tutt' al più , che la situazione non si è evoluta ma addirittura involuta rispetto al passato mi pare impossibile

certo che il 2,11% sembra davvero pochino

e il pensiero va, polemicamente, a quegli omofobi che sostengono, una sorta di generale esibizionismo gay

Come è noto per chi mi conosce vivo molto il problema del coming out, per ragioni del tutto soggettive, non legate al contesto direttamente ma solo a me stesso.

Detto ciò mi ha colpito questo reportage che oggi è online sul corriere dove si parla di percentuali, a dir poco bassissime, dei giovani che si dichiarano.

 

Come ogni dato va letto in prospettiva e chiedo a voi soprattutto un'interpretazione, i dati sono così bassi perchè si parla di co in famiglia ma si prendono in considerazione anche i gay repressi o presunti? Qual è il campione? In base alla vostra esperienza come lo vedete?

 

 

 

Qualcosa non va. A pochi giorni dall’approvazione al Senato del ddl Cirinnà, che regola le unioni civili, non tutto è facile per chi ama persone dello stesso sesso. Perché i pregiudizi resistono, anzi, forse quel magma di informazioni, verità dimezzate e proclami apodittici che è internet, a volte amplifica questo muro tra gli eterosessuali e gli omosessuali. Lo dicono i dati di Arcigay: appena il 2.11% dei ragazzi dai quattordici ai diciassette anni si dichiara apertamente (fonte: arcigayagora.it; si tratta di una ricerca fatta seguendo le indicazioni sui social network, dunque, come ammette anche l’associazione, «non saranno certo precisi come una rilevazione statistica») mentre alcuni libri come L’altra parte di me (Piemme), di Cristina Obber, raccontano le difficoltà di due ragazze che scoprono di volersi bene ma che fanno i conti con una società ostile.

Così, paradossalmente, mano a mano che cresce l’impegno della società civile a favore dell’uguaglianza dei diritti (basti pensare alla mobilitazione degli intellettuali e di personaggi famosi come Lady Gaga, per fare un nome), l’impressione che affiora da questo lavoro, una parte dell’inchiesta su Sesso & Amore fatta da La 27Ora-Corriere della Sera, è che, soprattutto tra i giovani, si sia combattendo una battaglia di retroguardia. E il coming out, il venire allo scoperto, si fa sempre più raro: perché rischiare di essere attaccati e derisi quando c’è una sotto-comunità di simili nella quale rifugiarsi e sentirsi bene? Ecco, nelle interviste che abbiamo fatto, nelle testimonianze che abbiamo raccolto, ci è sembrato di cogliere questo atteggiamento: ci sono i gruppi, le «cellule», i sotto-gruppi che si rinsaldano, a scapito di un’apertura.

Cosa che rischia di impoverire decenni di battaglie, anni di impegno per la parità giuridica e sentimentale. Anche di quelle persone che il coming out l’hanno pagato caro sul lavoro. Umberto Bindi, un esempio su tutti (nel 1961 si presentò a Sanremo con un anello al dito pur non essendo «regolarmente sposato» e in seguitò fu emarginato dal suo mondo). 

Ma il riconoscimento di una precisa volontà di amare una persona dello stesso sesso è importante. Ce lo dimostra la storia di Domenico, ragazzo di 24 anni, che ha amato un uomo molto più grande e poi l’ha perso. Ascoltate

 

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Eppure, molti giovani gay e lesbiche fanno fatica a raccontarsi. A dire apertamente quello che provano. Siamo andati all’Università di Milano, dove il collettivo Gay Statale, fatto di giovani attivisti, si incontra una volta alla settimana. Eva, 22 anni, ci ha rivelato che la sua famiglia non è a conoscenza della sua omosessualità. Sentite che cosa ha raccontato a Radio 27

 

 

Marco, 20 anni, ci ha spiegato con chiarezza le difficoltà con i genitori, sempre a Radio 27

 

Ancora oggi, dunque, nonostante tutti concordino sul fatto che Milano sia una delle città europee meno affette da pregiudizi, l’ostilità resiste eccome. Sentite che cosa ci hanno detto Stefano, 23 anni e Simone, 22

 

La difficoltà a raccontarsi e la paura

Secondo le statistiche di Arcigay (che ha utilizzato anche i dati di Facebook, dove è possibile segnalare il proprio orientamento sessuale), i minorenni (13-17) sono la categoria meno disposta a dichiararsi, un dato che conferma la difficoltà di accettare e/o dichiarare il proprio orientamento sessuale durante l’adolescenza. La percentuale poi aumenta fino a raggiungere un picco tra i 25-34enni (4,82%), poi diminuisce ancora e torna ad aumentare tra gli over-55. Eppure, da tempo il cinema racconta queste problematiche con competenza. Ecco alcuni dei film più famosi sul tema LGTB

 

Sono concorde con alcuni che hanno detto precedentemente che questo articolo è "Fuffa", visto che non si capisce bene rispetto a che periodo storico i giovani si "dichiarino di meno"... 

 

...A me sembra invece vero il contrario. Su tanti diciassettenni che vedo in giro (tra profili vari e che sento parlare in realtà di chat), mi sembra che comunque la maggior parte siano dichiarati. Un caso? Mah. Di certo l'impressione che ne traggo io è che la nuova generazione ( =nati dal '95 in poi, almeno secondo me) sia molto più incline a fare outing, anche perché - volenti o nolenti - è un tema, per così dire, "sul tavolo" da pochi anni... telegiornali ne parlano, se ne parla molto più spesso rispetto a prima e dunque, sempre secondo la mia opinione, ci sono più giovani che fanno outing di prima. Alcuni addirittura lo fanno su Youtube... Per me questo articolo lascia il tempo che trova.

Guarda, mi si faceva notare di recente che Glee é già vecchio rispetto agli adolescenti attuali.....comunque c'é una differenza tra essere gay consapevoli e avere la possibilitá di dirlo, grazie ad internet uno puó essere un 15 aggiornatissimo e al tempo stesso vivere sulle creste dall'Aspromonte in un paesello dominato dalla mole di una tetra abbazia coi frati che gregoriano il de profundis per le vie del paese ogni venerdì pomeriggio.

 

NB: il problema di fare il CO paradossalmente, é proprio la possibilitá di vivere relazioni o scopate, nel senso che se sei adolescente e dici ai tuoi genitori che sei gay, poi la pressione del dove vai cosa fai con chi ti vedi no tu non esci potrebbe essere pesante.

Ammesso che uno se ne renda conto prima. Io no, ma ce ne son tanti piú furbi di me.

Edited by Demò

Un gay ''dichiarato'' è sconveniente anche nella stessa comunità gay, che tende a vivere la propria omosessualità nell'ombra.

Un gay dichiarato, con una cultura lgbt alle spalle, con certe ambizioni riguardo ai propri diritti e al proprio futuro, viene considerato noioso, di certo inadeguato per il sottobosco del sesso clandestino in cui sono immersi molti omosessuali.

Un gay dichiarato, oserei dire, minaccia un certo equilibrio , attira l'attenzione di sè stesso e di quelli con i quali esce, ma non è più soggetto alle umiliazioni o a episodi di bullismo di quanto non lo siano i gay non dichiarati.

Tutto sommato a livello ''psicologico'' il coming out è un vantaggio non di poca rilevanza, considerando poi che molte malattie psichiatriche sono legate alla non - accettazione dei propri impulsi, direi che il coming out vada fatto con consapevolezza, dopo aver trovato la forza per accettare in primis sé stessi.

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