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Contro le elezioni. Perché votare non è più democratico.


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Nel suo libro “Contro le elezioni: Perché votare non è più democratico” (2015, Feltrinelli), David van Reybrouck, prende atto – come quasi tutti noi – che non se ne può più di una politica fatta di sondaggi, teatrini televisivi finalizzati agli indici di ascolto, mercanteggiamenti fra partiti, oratoria e slogan populisti, incarichi permanenti e cariche passate di padre in figlio. La crisi delle democrazie occidentali è sempre più una crisi di legittimità, che si esprime in alti tassi di astensionismo, in un voto sempre più volubile, in una sempre minor rappresentatività dei partiti. Una via di uscita, sulla base di alcuni felici esperienze realizzate in Islanda, Canada, Olanda e Irlanda, sta probabilmente in un maggior ricorso ad esperienze di democrazia deliberativa, in cui i cittadini parlano fra di loro, si confrontano con esperti, in un contesto fatto di dibattiti, sottogruppi, moderatori, scalette predefinite.

Ma la tesi principale del libro sta nella radicale messa in discussione del principio su cui si basano le nostre democrazie, ovvero la democrazia rappresentativa elettiva. Il problema, dice van Reybrouck nasce da quando si è iniziato a considerare democrazia ed elezioni come sinonimi. Si veda ad esempio la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 :”la volontà del popolo si esprime attraverso elezioni serie e periodiche”. Si tratta di un assunto culturale che non considera modalità alternative di partecipazione e coinvolgimento della popolazione. Nella cultura occidentale, anticamente il voto era lo strumento utilizzato per raggiugere l’unanimità in seno ad un gruppo che già condivideva le stesse convinzioni (es. il conclave). Ad Atene le cariche pubbliche si attribuivano per sorteggio, e duravano pochissimo. Le elezioni erano ristrette ad un circolo chiuso, elitario, fatto da cittadini illustri. Per Aristotele il sorteggio era democratico, le elezioni invece costituivano un meccanismo oligarchico. E solo per le più alte funzioni militari e finanziarie non si ricorreva al sorteggio ed alla rotazione.

Il sorteggio delle cariche pubbliche ha indubbiamente una serie di vantaggi. Il principale è quello di neutralizzare l’influenza personale nella scelta delle assemblee legislative. E quindi anche la corruzione. L’altro vantaggio è di ridurre i conflitti. Da ultimo, il sorteggio aumenta la partecipazione ed il coinvolgimento: tutti possono essere sorteggiati. Lo stesso Tocqueville, come Aristotele, associava la libertà all’assunzione occasionale di responsabilità. Nella democrazia ateniese ad esempio non vi era distinzione fra politici e cittadini, fra amministrati ed amministratori. Se la democrazia è libertà, libertà significa essere a turno governati e governanti.

La classica obiezione al sorteggio è che questo porta a scegliere persone incompetenti. Sarebbe fin troppo facile controbattere che certamente non è la competenza che caratterizza la gran parte degli attuali rappresentanti eletti nei vari parlamenti nazionali e locali. In realtà i sistemi che in passato hanno fatto ricorso al sorteggio erano tutti sistemi misti, ovvero il sorteggio era inserito in procedure di selezione, autoselezione e valutazione. Sia Rousseau che Montesquieu erano favorevoli a sistemi misti, in cui procedure aleatorie ed elettorali si sostengono a vicenda. Così accadeva in numerose città italiane dal 1200 in poi, in cui vi sono numerosi esempi di sistemi di sistemi basati sul sorteggio, con meccanismi estremamente sofisticati. A Firenze e a Venezia turni successivi di sorteggi ed elezioni portavano alla scelta dei governanti, che non duravano mai in carica troppo a lungo.
 
A questo link trovate un approfondimento che racconta nel particolare le esperienze - fallite per motivi che esulano dal sistema in sé del sorteggio - in Canada (British Columbia e Ontario), Olanda, Islanda e Irlanda: http://www.ilpost.it/2015/10/09/democrazia-sorteggio/
 
Che ne pensate?

Secondo me sarebbe un'ottima cosa non tanto eliminare le elezioni a favore del sorteggio, ma affiancare ad una camera elettiva un'altra camera di sorteggiati.

E credo anche che sarà questo il futuro del sistema democratico, vista anche l'attuale crisi del sistema elettivo.

Il link che ho messo in fondo rimanda ad un articolo abbastanza lunghetto (tre pagine), ma che spiega in modo molto più chiaro ed esaustivo quello che c'è da dire.

Ci sono già state diverse proposte in merito, come ad esempio quella di creare una House of Lots (Camera dei sorteggiati) per l'Unione Europea, da affiancare all'attuale parlamento elettivo.

una camera di sorteggiati?

E chi verrebbe sorteggiato? E che farebbe poi un sorteggiato? cosa sarebbe in grado di fare?

 

Tutto sommato, noi abbiamo l'esempio dei 5 stelle (non propriamente sorteggiati, ma comunque comune cittadini catapultati nelle camere dall'oggi al domani). Quanto si sono rivelati, naturalmente e comprensibilmente, incapaci?

Come noto il "sorteggio" è scomparso dalla pratica politica per trovare

una sua stabile affermazione con varie fortune in quella giudiziaria.

 

Più negli USA che in Europa ed in Italia, ma il motivo è noto: l'esperienza

della "giustizia popolare rivoluzionaria" spaventò le elite europee ( Robespierre,

il Terrore ) e quindi i regimi liberali, cercarono di ridimensionarne il peso,

marginalizzarle temendo a torto o a ragione di affidare il giudizio al popolo

 

Ma ragionevolmente un peso ce l'ebbe la disparità economico-sociale ( soprattutto

se pensiamo alle giurie popolari nel processo civile...un sorteggio avrebbe consentito

ad una maggioranza di poveri di giudicare una minoranza di ricchi in questioni economiche

mentre negli USA molte comunità erano cosituite da persone di simili mezzi e fortune )

 

L'aver limitato-temperato-selezionato le giurie popolari le ha lentamente

"uccise" rendendole irrilevanti, pur restando vero che Mussolini le abolì

del tutto e Togliatti propose di ripristinarle e quindi il tema era ancora sentito

agli albori della Repubblica

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