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Referendum sulla Riforma Costituzionale 2016


  

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  1. 1. Come voterai al referendum sulla riforma costituzionale?

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La riforma costituzionale e la riforma elettorale garantiscono stabilità e governabilità ma sono leggi perfettamente democratiche e partecipative, non è che stiamo parlando di introdurre una dittatura. :asd:

 

Sistemi stabili e con governabilità ci sono in tanti altri paesi democraticissimi in tutta europa e in america.

 

Per altro Zagrebelsky mi pare sempre che viva fuori dalla realtà in una specie di suo iperuranio.

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La riforma costituzionale e la riforma elettorale garantiscono stabilità e governabilità ma sono leggi perfettamente democratiche e partecipative, non è che stiamo parlando di introdurre una dittatura.

Che c'entra col brano citato?

L'hai riportato tu:

 

A chi dice “governabilità” noi rispondiamo: partecipazione e governo democratico. 

 

Io ho risposto che queste riforme garantiscono sia governabilità/stabilità sia un governo democratico e partecipazione.

Non sono aspetti che si escludono.

Edited by Sbuffo

Be' da una riforma costituzionale pretendi forse un po' troppo.... 

Peraltro, le obiezioni contrarie alla riforma sono che peggiorerà la condizione dei cittadini semplici;   per quelli molteplici non si sa  ;-)

 

già perché gli esponenti di potenze straniere intervengono in quanto hanno a cuore lo stile di vita dei cittadini italiani... come no

 

però c'è da dire che almeno sono coerenti, nemmeno i nostri esponenti hanno interesse a quello che succede fuori dalle leopolde, quindi non mi meraviglia che si supportino a vicenda

privateuniverse

Beh in italia abbiamo avuto 65 governi in 70 anni questo è un dato di fatto, vuol dire quasi un governo all'anno, è altrettanto un dato di fatto che il governo Renzi che è in carica da nemmeno 3 anni è già il quarto governo più longevo tra tutti e 65 i governi italiani

 

65 governi in 70 anni non significa "un governo ogni sei mesi", come hai detto tu (falsamente, come al solito); ma un governo ogni 13 mesi.

Dal 1993 abbiamo avuto 14 governi, cioè uno ogni 20 mesi. Il che non significa esattamente "instabilità".

 

Ad ogni modo, è questo il problema?

 

Allora lo risolveva la riforma Berlusconi, che prevedeva un mandato diretto al governo con l'elezione del presidente del consiglio, la possibilità per quest'ultimo di destituire i ministri e la sfiducia costruttiva.

 

All'epoca si disse di no perché questo dava troppo potere a un uomo solo. Napolitano era uno di quelli che la pensava così.

 

Quando l'uomo solo è Renzi, invece, va bene avere il 54 per cento dei seggi con il 30 per cento dei voti.

Edited by privateuniverse

L'aspetto veramente grave di tutta questa triste vicenda

è che abbiamo buttato via un'altra finanziaria, dopo quella

per le Europee ed incombe la scadenza del mandato Draghi

e forse il suo accerchiamento definitivo a Primavera

 

Due Finanziarie sprecate e la Germania che ci sta oramai con

il fiato sul collo...per garantire la stabilità del non-governo

Io ho risposto

Ho riportato un brano in cui si fa un discorso generale slegato dalla riforma costituzionale in discussione, nulla c'entra la tua risposta.

 

in italia abbiamo avuto 65 governi in 70 anni questo è un dato di fatto, vuol dire quasi un governo all'anno [...]

 

Il pacchetto di riforme dato da riforma costituzionale e legge elettorale favorirà stabilità e governabilità per il paese in modo da avere un solo governo per la durata della legislatura.

«Chi spaccia questa previsione per una "novità" e un segno di "modernità" finge di ignorare che la fiducia in capo alla sola Camera dei deputati esisteva già nello Statuto Albertino del 1848, che resse tutta l'Italia monarchica, ventennio fascista compreso. In realtà la stabilità dei governi non dipende dal numero di Camere che votano la fiducia, ma dalla coesione delle maggioranze. La Repubblica italiana, infatti, ha avuto 63 governi, e solo due in 70 anni (quelli di Romano Prodi) sono caduti per il diniego della fiducia in Parlamento. Tutti gli altri sono venuti meno in seguito a manovre extraparlamentari.

E Renzi dovrebbe saperne qualcosa, visto che andò al governo nel 2014 rovesciando quello di Enrico Letta al di fuori del Parlamento: senza quella manovra di palazzo Letta sarebbe ancora in carica e terminerebbe con buona probabilità l'intera legislatura.

E ancora: un conto è la stabilità istituzionale, un altro è quella sociale. La prima può essere assicurata con artifici che gonfiano la più grande minoranza fino a renderla maggioranza assoluta. Ma è la seconda che conta. La minoranza "gonfiata" approva leggi che la stragrande maggioranza del paese non vuole. E non si possono fare vere riforme senza consenso sociale. Anche perché, appena vinceranno "gli altri", si affretteranno a smontare le norme approvate in precedenza per sostituirle con le proprie. Se l'Italia della Prima Repubblica passò, nonostante tutto, dalla miseria al rango di grande potenza industriale fu anche perché chi governava - con tutti i suoi difetti - tentò sempre di costruire un percorso politico basato sulla coesione sociale senza strappi traumatici.»

 

Notare i punti di contatto con la tesi del brano riportato in precedenza:

 

«Noi pensiamo che occorra “governo”, non “governabilità”, e che governo, in democrazia, presupponga idee e progetti politici capaci di suscitare consenso, partecipazione, sostegno.»

Edited by paperino

The Post Internazionale

"La riforma costituzionale ricalca quella di Silvio Berlusconi" ha commentato lo storico dell'arte Salvatore Settis, che fa eco all'ex primo ministro Massimo D'Alema, che in più occasioni ha notato come a suo avviso la riforma costituzionale approvata nel 2016 su iniziativa del governo Renzi abbia numerosi punti in comune con quella approvata nel 2006 su iniziativa del governo Berlusconi.


La riforma del 2006, ricordiamo, venne approvata a maggioranza assoluta dal parlamento e, non avendo raggiunto la maggioranza qualificata, venne sottoposta a referendum costituzionale e respinta dai cittadini con oltre il 61 per cento dei voti contrari, non entrando dunque mai in vigore.

La riforma del 2016, il Ddl Boschi, è stata approvata anch'essa a maggioranza assoluta e sarà sottoposta a referendum il prossimo 4 dicembre.

Per quanto entrambe le riforme pongano, tra le varie questioni, il superamento del principio vigente dal 1948 in Italia del bicameralismo paritario per cui camera e senato hanno gli stessi poteri, le due riforme sono molto diverse sia a livello di contenuto che a livello di metodo.

Proprio per confutare questa teoria, che vede come portavoce anche figure molto autorevoli, abbiamo fatto un'analisi nei diversi punti delle due riforme.

FINE DEL BICAMERALISMO PARITARIO E NUOVO SENATO
Per quanto sia la riforma del 2006 che quella del 2016 aspirino a porre fine al bicameralismo paritario e a trasformare il senato in camera di rappresentanza degli enti locali, nel 2006 questa camera avrebbe dovuto occuparsi anche di legiferare sui temi in cui le regioni hanno competenze in concorrenza con lo stato.

Questo principio, invece, viene completamente eliminato nella riforma del 2016, che abolisce completamente la concorrenza tra leggi regionali e leggi nazionali.

La riforma nel 2016 attribuisce alla sola camera dei deputati il ruolo di unico ramo del parlamento che dà e toglie la fiducia a un esecutivo. In caso di caduta di un governo, essa rimarrebbe sovrana e potrebbe sostenere un altro incarico di governo formando una nuova maggioranza.

Questo fatto non avveniva in alcun modo nel 2006, dal momento che in caso di sfiducia all'esecutivo, si sarebbe necessariamente andati a nuove elezioni a meno che la sola stessa maggioranza uscita vincente dalle elezioni non avesse trovato l'accordo su un nuovo esecutivo.

La riforma del 2016, inoltre, prevede che le modifiche alla Costituzione debbano essere approvate da entrambe la camere.

A livello di composizione, inoltre, la riforma del 2006 avrebbe ridotto i deputati da 630 a 518 e dei senatori da 315 a 252, mentre quella del 2016 lascerebbe invariato il numero di deputati a 630 e ridurrebbe invece i senatori da 315 a 100. In generale, nel 2006 i parlamentari sarebbero scesi da 945 a 770, mentre nel 2016 dovrebbero scendere da 945 a 730.

Stando alla riforma del 2016, inoltre, i consiglieri regionali e i sindaci che andrebbero a formare il nuovo senato, non riceverebbero alcuno stipendio oltre a quello che percepiranno per il loro ruolo nelle autonomie locali.

DEVOLUTION E AUTONOMIE LOCALI
L'altro tema principale della riforma del 2006 era quello della cosiddetta "devolution", uno dei cavalli di battaglia della Lega Nord, che componeva insieme a Forza Italia, Alleanza Nazionale e l'Unione di Centro lo zoccolo duro della maggioranza di governo che approvò tale riforma.

Questo principio, di chiara impronta federalista, avrebbe portato a dare potestà legislativa esclusiva alle regioni in materia di polizia amministrativa, scuola e organizzazione sanitaria. Inoltre, il presidente della Repubblica sarebbe stato definito dalla Costituzione "garante dell'unità federale della Repubblica".

A questa impronta marcatamente federalista si contrappone in modo netto la riforma approvata nel 2016, che anzi è accusata da molti suoi detrattori di accentrare notevolmente i poteri regionali sullo stato.

Essa prevede infatti, oltre all'abolizione delle provincie, l'abolizione della legislazione concorrente tra stato e regioni - il principio per cui esistono alcune materie su cui lo stato e le regioni possono legiferare in concorrenza tra di loro - e per le regioni vengono ridotte le materie di competenza esclusiva rispetto allo stato.

POTERI DEL PREMIER
La riforma del 2006 avrebbe aumentato in modo notevole i poteri del primo ministro, istituendo il cosiddetto premierato. Il presidente del Consiglio avrebbe potuto sciogliere le camere, un potere che attualmente la Costituzione riserva solo al presidente della Repubblica, revocare ministri e determinarne - anziché coordinarne - l'azione politica. 

Nella riforma del 2016 non viene in alcun modo dato un tale potere al presidente del consiglio.

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Il ruolo del presidente della Repubblica sarebbe stato fortemente ridimensionato dalla riforma del 2006. Esso non avrebbe più potuto scegliere a chi affidare l'incarico di presidente del consiglio, ma darlo esclusivamente al candidato indicato dalla coalizione vincitrice delle elezioni.

Avrebbe visto fortemente ridimensionato anche il potere di sciogliere le camere, divenuto principalmente di competenza del primo ministro, e che il capo dello stato avrebbe potuto esercitare solo su richiesta del premier o in caso di morte o impedimento permanente del capo di governo.

Il capo dello stato sarebbe inoltre stato definito dalla Costituzione come "garante dell'unità federale della Repubblica".

Con la riforma del 2016, il presidente della Repubblica non perde nessuno di questi poteri. Inoltre, viene resa molto complessa la possibilità di farlo eleggere da una sola parte politica e senza un accordo trasversale. Oggi infatti il presidente può essere eletto nei primi tre scrutini con una maggioranza dei due terzi dell'assemblea - formata da deputati, senatori e rappresentanti delle regioni - mentre dal quarto scrutinio può essere eletto semplicemente dalla maggioranza assoluta.

La riforma del 2016 prevede che l'assemblea sia formata dai soli deputati e senatori e che, dopo i primi tre scrutini in cui la maggioranza richiesta per l'elezione rimane dei due terzi, dal quarto scrutinio dovrà votare un candidato con una maggioranza dei tre quinti anziché della metà più uno per eleggerlo presidente della Repubblica.

ALTRE MATERIE
La riforma costituzionale del 2016 tocca poi numerosi argomenti che non erano contemplati nel 2006, come l'abolizione del Cnel, l'introduzione dei referendum propositivi, l'abbassamento del quorum dei referendum popolari e la garanzia di discussione delle leggi di iniziativa popolare.

LE DIFFERENZE DI METODO
Se la riforma del 2006 venne approvata in parlamento esclusivamente dalla maggioranza di governo formata da Forza Italia, Alleanza Nazionale, Lega Nord, Unione di Centro ed altre formazioni minori, uscita vincitrice dalle elezioni politiche del 2001 e a sostegno dei due governi guidati da Berlusconi succedutisi tra il 2001 e il 2006, l'iter a livello parlamentare della riforma del 2016 è stato più complesso.

Le elezioni del 2013, infatti, non hanno portato alcuna coalizione a riuscire a formare un governo autonomamente. Quando a maggio il parlamento, non riuscendo a trovare l'accordo per eleggere un nuovo presidente della Repubblica, fu costretto a chiedere a Giorgio Napolitano di ricoprire un secondo mandato, egli accettò a patto che il parlamento iniziasse un iter di riforme costituzionali.

In seguito a questo, dette ad Enrico Letta il mandato di formare un governo con il sostegno di Partito Democratico, Popolo della Libertà e la coalizione centrista che aveva sostenuto la candidatura a premier di Mario Monti. Successivamente, il Popolo della Libertà si sciolse e si divise in Nuovo Centrodestra (a sostegno del governo) e Forza Italia (all'opposizione).

L'iter per la riforma costituzionale iniziò effettivamente nel 2014, quando il primo ministro diventò Matteo Renzi, sostenuto dalla stessa maggioranza di Enrico Letta, ed iniziò ad approvarla in parlamento grazie ai voti della maggioranza di governo e di Forza Italia, la quale tuttavia cambiò la propria posizione dopo che il primo ministro ruppe l'accordo con loro nel 2015 in seguito all'elezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica.

In altri termini, se la riforma del 2006 nasce da una sola parte politica, quella del 2016 nasce da un governo già di per sé di larghe intese, coinvolgendo peraltro settori dell'opposizione.

 

 

Ecco i rappresentanti del NO:

 

14971877_10211530836373182_1674958672_n.

Edited by Rotwang

“Non è drammatico dire che a volte si sceglie il meno peggio. È quello che una forza di governo come la nostra ha fatto spesso in Parlamento”.

Così Emma Bonino, intervenendo alla terza giornata del XV Congresso di Radicali italiani, annuncia il suo ‘sì’ al referendum costituzionale, pur sottolineando che “nessuno vuole imporre niente a nessuno” e che la libertà di coscienza resta un principio cardine per i Radicali. “È probabile – aggiunge Bonino – che se vince il no ci sarà un cambio di quadro politico, si dice così in politichese. E ho l’impressione che i temi che stanno a cuore a noi radicali non riceverebbero maggiore ascolto da SalviniBrunetta e perfino Grillo“.

Edited by Rotwang

 

 

Che significa buttare via le finanziarie ?

 

Significa fare delle leggi dalla visione corta con cui si distribuiscono

soldi ad una platea ampia di potenziali elettori per vincere una competizione

politica ( e non a caso dico competizione e non elezione, perchè il governo

Renzi mai è stato eletto, ma ha trasformato prima le Europee ed ora il

referendum costituzionale in forme improprie di competizione elettorale )

e non per una idea di rilancio dell'economia nazionale

 

Forse prima della stretta sulla BCE avremo un'ultima finanziaria a disposizione

ma sarà sufficiente?

E' un po' pernicioso mettere Monti sullo stesso piano di D'Alema e, ancor più, Berlusconi.

 

Comunque, quando Hinzelmann dice che si son sprecate due finanziarie, penso sia vero. L'attuale governo è coinciso con un periodo particolarmente favorevole, caratterizzato dalla presidenza Draghi alla BCE (che ha voluto il QE), il rilassamento UE sui conti pubblici e un abbandono delle politiche di austerità più rigorose, calo dei prezzi del greggio, una generale congiuntura positiva dell'economia mondiale.

 

Il governo, invece di approfittare di un simile periodo, ha fatto sì spesa pubblica, ma senza interventi capaci di far ripartire l'economia con una crescita robusta (la crescita odierna, molto anemica, è ritenuta decisamente congiunturale e tutta trainata dall'esterno o da comparti molti ristretti, vicini alla saturazione, come quello delle automobili). Si è preferito andare avanti con riforme parziali o ''mance elettorali'' (con effetti immediati ma non duraturi) invece di tagliare le tasse sul lavoro e quant'altro con le stesse risorse.

 

Intanto leggevo come vi sia un deflusso continuo, dal 2014 ad oggi, di capitali dall'Italia. La cosa è nascosta dal QE, leggevo, ma quando tutto ciò finirà (e la Germania preme affinché ciò avvenga entro i tempi previsti, ovvero marzo 2017), cosa accadrà?

 

Una cosa che mi piace della riforma è che, in teoria, potrebbe responsabilizzare il governo di fronte agli elettori*. Avendo maggioranze stabili e chiare - sempre in teoria - non vi saranno più scuse legate alla necessità di trovare, per ogni cosa, ''i numeri'' in Parlamento. Certo i capri espiatori si trovano sempre, così come fantomatici ''nemici'' esterni (l'UE, i mercati, la Germania, la globalizzazione, ecc.) di situazioni che, di fatto, son per lo più scaturite dalle manchevolezze e dalla confusione che regna all'interno, tra la classe politica italiana e tutto il sistema-paese.

 

[* Certo si potrebbe chiedere quanto siano responsabili gli elettori...]

Edited by Layer

 

 

l'italia alla fine e' un posto conservatore che non vuole i cambiamenti alla fine prevarra' il no secondo me.

 

Probabile.

D'altronde l'avversione ai cambiamenti in un tempo in cui tutto cambia è anche comprensibile:

si teme un futuro peggiore e ci si ancora ad un passato pur non giudicato migliore.

Certo non saranno due camere perfettamente uguali nella funzione a farci andare a fondo e non sarà la loro soppressione a salvarci.

Però qualche passetto per accrescere la forza o meglio diminuire la debolezza dei nostri governi, costituzionalmente sancita e voluta, si potrebbe pur fare o dobbiamo in  perpetuo rimanere prigionieri del timore, comprensibile forse nel 1946, d'un governo forte che esautori il parlamento ed imponga la dittatura?

Peraltro non dimentichiamo che le leggi "fascistissime" che instaurarono la dittatura furono votate dal parlamento:

se si vuole, la via alla dittatura si può trovare anche costituzionalmente ;-)

 

 

Avendo maggioranze stabili e chiare - sempre in teoria - non vi saranno più scuse legate alla necessità di trovare, per ogni cosa, ''i numeri'' in Parlamento.

 

Se tu per primo riconosci che è una scusa e non un motivo

vero come puoi pensare che possa cambiare qualcosa?

 

Abbiamo passato 4 anni a mettere e togliere l'IMU sulla prima

casa, non certo perchè vi fossero sollevazioni in Parlamento o

al Senato, ma in base a dei sondaggi di opinione

 

Questa è la nuda e cruda verità

“Non è drammatico dire che a volte si sceglie il meno peggio.

E' col dover scegliere il meno peggio che in america ora i votanti sotto i 35 anni si asterranno in massa e succede che non si sa come va a finire.

 

Se si e' ridotti a dover scegliere tra una mela marcia e una pera marcia il risultato sara' qualcosa di marcio.

Scegliere il meno peggio è del tutto lecito

 

Però ci dovrebbe essere una analisi politica della

situazione, una previsione, una spiegazione

 

Altrimenti si sceglie il meno peggio "per partito preso"

 

Il mio dubbio è che dopoché Renzi avrà vinto il Plebiscito

il tempo sia già scaduto

 

( mi chiedo poi che senso abbia puntare tutto su legislature

lunghe, se le leadership si consumano nel giro di 12--24 mesi )

Se tu per primo riconosci che è una scusa e non un motivo

vero come puoi pensare che possa cambiare qualcosa?

 

Abbiamo passato 4 anni a mettere e togliere l'IMU sulla prima

casa, non certo perchè vi fossero sollevazioni in Parlamento o

al Senato, ma in base a dei sondaggi di opinione

 

Questa è la nuda e cruda verità

 

E' vero che i nostri governanti, negli ultimi anni, stanno sempre con il bilancino dei consensi in mano, molto più di quanto un governante democratico debba comprensibilmente fare; eppure una riforma che, pensata in sinergia con un legge elettorale provvista di premio di maggioranza (alla lista) e ballottaggio al secondo turno, permette anche di superare il bicameralismo perfetto non dovrebbe dare forse abbastanza tempo e stabilità a un governo per dimostrare la bontà (o meno) di determinati provvedimenti e, sopratutto, pensarli all'interno di coerente e lungimirante visione politica, economica e sociale? Penso sia questa una delle opportunità date dalla riforma (e dall'Italicum), certo non è detto che venga colta o garantisca il successo.

 

La capacità di pensare a una visione lungimirante e coerente dipende dal cd. sistema-paese, da una parte della classe politica e da una parte degli elettori che quella ha eletto. E' proprio questa capacità che, forse, oggi potrebbe essere compromessa (se mai vi è stata)... a quel punto le riforme dell'assetto istituzionale non basterebbero certamente. Tuttavia, quali sarebbero le alternative fattibili e realizzabili a una riforma che, per quanto confusa e non perfetta in vari punti, ha anche qualcosa di buono?

 

Qui si ritorna al discorso del ''meno peggio''.

Dagli interventi che sto leggendo, pare che le migliori motivazioni per votare no siano che Renzi è cattivo (come meravigliosamente argomentato da Private) e che all'estero sarebbe gradita e com'è noto ciò che gli altri paesi ci suggeriscono di fare è sempre e solo per nostro male e rientra in un complotto mondiale plutogiudaico per distruggere l'Italia (come sottolineato da R.POST).

Che dire, mi avete convinto, voto no! XD

Edited by FreakyFred

Il mettere e togliere l'Imu è dovuto proprio al fatto di un cambio continuo di governi che avevano idee diverse al riguardo, una riforma che dia stabilità e governabilità darà anche maggiore stabilità alle norme.

 

Poi credo sia semplicistico e caricaturale definire delle mance gli interventi delle finanziarie.

 

Il governo ha cercato di dare più soldi nelle tasche degli italiani per aumentare i consumi in modo da sostenere la crescita.

Gli 80€ non sono altro che un taglio dell'irpef per i lavoratori dipendenti più svantaggiati, in modo da fornirgli più soldi da poter spendere e reimmettere nel sistema economico.

Ugualmente l'eliminazione dell'Imu e della Tasi sull'abitazione principale sono dei tagli per dare più soldi in tasca ai cittadini da spendere.

Idem l'innalzamento della no-tax area per i pensionati e l'aumento della quattordicesima per le pensioni minime.

 

Poi sono stati tanti gli interventi in queste finanziare per sostenere l'imprese a l'economia riducendo le tasse:

-taglio dell'irap sotto forma del taglio del costo del lavoro con la totale deduzione del costo dei lavoratori a tempo indeterminato.

-taglio dell'Ires dal 27 al 24%.

-azzeramento dell'imu sugli imbullonati per le imprese.

-azzeramento dell'irpef agricola.

-azzeramento dell'imu agricola.

-azzeramento dell'irap agricola.

-regime dei minimi per i professionisti reso vitalizio (per i professionisti che stanno sotto 30.000 euro si paga solo il 15% di irpef).

-taglio dei contributi per i professionisti iscritti alla gestione separata Inps dal 27% (che con la riforma fornero sarebbero dovuti invece aumentare al 33%) al 25%.

-introduzione dell'Iri cioè un'aliquota fiscale del 24% per artigiani e piccoli imprenditori che si applicherà ai redditi lasciati in azienda al posto dell'attuale irpef che invece può arrivare fino al 43%.

 

Sono tutti interventi strutturali per il sostegno dell'impresa e dei professionisti.

 

Poi Renzi la bacchetta magica non ce l'ha e si trova ad affrontare una brutta crisi economica e con una pessima eredità fatta di un enorme debito pubblico che solo di interessi si mangia ogni anno decine di miliardi di euro (cosa che gli altri paesi non hanno).

 

Ho riportato un brano in cui si fa un discorso generale slegato dalla riforma costituzionale in discussione, nulla c'entra la tua risposta.

«Chi spaccia questa previsione per una "novità" e un segno di "modernità" finge di ignorare che la fiducia in capo alla sola Camera dei deputati esisteva già nello Statuto Albertino del 1848, che resse tutta l'Italia monarchica, ventennio fascista compreso. In realtà la stabilità dei governi non dipende dal numero di Camere che votano la fiducia, ma dalla coesione delle maggioranze. La Repubblica italiana, infatti, ha avuto 63 governi, e solo due in 70 anni (quelli di Romano Prodi) sono caduti per il diniego della fiducia in Parlamento. Tutti gli altri sono venuti meno in seguito a manovre extraparlamentari.
E Renzi dovrebbe saperne qualcosa, visto che andò al governo nel 2014 rovesciando quello di Enrico Letta al di fuori del Parlamento: senza quella manovra di palazzo Letta sarebbe ancora in carica e terminerebbe con buona probabilità l'intera legislatura.
E ancora: un conto è la stabilità istituzionale, un altro è quella sociale. La prima può essere assicurata con artifici che gonfiano la più grande minoranza fino a renderla maggioranza assoluta. Ma è la seconda che conta. La minoranza "gonfiata" approva leggi che la stragrande maggioranza del paese non vuole. E non si possono fare vere riforme senza consenso sociale. Anche perché, appena vinceranno "gli altri", si affretteranno a smontare le norme approvate in precedenza per sostituirle con le proprie. Se l'Italia della Prima Repubblica passò, nonostante tutto, dalla miseria al rango di grande potenza industriale fu anche perché chi governava - con tutti i suoi difetti - tentò sempre di costruire un percorso politico basato sulla coesione sociale senza strappi traumatici.»

Notare i punti di contatto con la tesi del brano riportato in precedenza:

«Noi pensiamo che occorra “governo”, non “governabilità”, e che governo, in democrazia, presupponga idee e progetti politici capaci di suscitare consenso, partecipazione, sostegno.»

 

Io ho risposto a quello che hai citato e che ti ho riportato e cioè questo:

 

A chi dice “governabilità” noi rispondiamo: partecipazione e governo democratico. 

 

Io ho risposto che le cose possono andare di pari passo e lo fanno con questa riforma costituzionale e legge elettorale.

Con questa riforma non si introduce mica una dittatura, ci saranno sempre governi democratici, anzi con questa riforma grazie al premio di maggioranza al partito vincente semmai i governi saranno effettivamente scelti dagli elettori, non come spesso accade oggi scelti dai partiti dopo le elezioni.

Si potenziano gli strumenti di democrazia diretta che favoriscono la partecipazione come il referendum abrogativo per cui viene abbassato il quorum con 800.000 firme, con l'introduzione dei referendum propositivi e con l'obbligo di discussione delle proposte di iniziativa popolare.

 

Sul resto come ho detto Zagrebelsky mi pare vivere in un suo iperuranio, quando dice:

 

«Noi pensiamo che occorra “governo”, non “governabilità”, e che governo, in democrazia, presupponga idee e progetti politici capaci di suscitare consenso, partecipazione, sostegno.» 

 

Questo semplicemente non è così nella realtà delle cose, forse in un mondo immaginario che non esiste se non nella testa di Zagreblesky.

Perchè fa finta di ignorare che le opposizioni ti votano contro a progetti che creano consenso per cercare di attaccarti sempre e cmq, lo vediamo benissimo in parlamento come berlusconiani e grillini si attaccano a qualsiasi cosa anche su riforme positive pur di votare contro.

Poi c'è poco da girarci attorno per formare un governo serve un voto di fiducia e serve una maggioranza certa.

Già i grillini loro si dicono indisponibili a qualsiasi governo con Pd o Fi perchè loro non fanno alleanze per statuto.

 

Un sistema che non garantisce la maggioranza produce gli effetti che abbiamo visto in tutti questi anni in Italia e cioè:

-governi balneari che duravano un annetto e poi cadevano, 65 governi in 70 anni.

-governi sotto ricatto di micropartitini, vedi l'Udeur di Mastella o l'Ncd oggi.

-megacoalizioni formate da decine di partiti con dentro tutto ed il contrario di tutto per di avere una maggioranza, vedi le coalizioni di Prodi.

-coalizioni e governi scelti non dai cittadini ma dai partiti dopo le elezioni e tra forze che durate la campagna elettorale si presentavano come alternative e opposte.

 

Un sistema che garantisce una maggioranza invece favorisce gli effetti opposto:

-governo stabile.

-si responsabilizzano i governi e il partito che vince le elezioni perchè avendo la maggioranza da solo non potrà più incolpare nessun altro per quello che ha fatto o che non ha fatto.

-niente più ricatti dei micropartitini perchè non c'è più bisogno di loro per avere la maggioranza.

-niente più megacoalizione, ogni partiti si presenta per sè stesso e con il suo programma e candidato presidente del consiglio.

-sono i cittadini votando a scegliere quale sarà il partito che esprimerà il governo e il presidente del consiglio.

 

65 governi in 70 anni non significa "un governo ogni sei mesi", come hai detto tu (falsamente, come al solito); ma un governo ogni 13 mesi.

Dal 1993 abbiamo avuto 14 governi, cioè uno ogni 20 mesi. Il che non significa esattamente "instabilità".

Ad ogni modo, è questo il problema?

Allora lo risolveva la riforma Berlusconi, che prevedeva un mandato diretto al governo con l'elezione del presidente del consiglio, la possibilità per quest'ultimo di destituire i ministri e la sfiducia costruttiva.

All'epoca si disse di no perché questo dava troppo potere a un uomo solo. Napolitano era uno di quelli che la pensava così.

Quando l'uomo solo è Renzi, invece, va bene avere il 54 per cento dei seggi con il 30 per cento dei voti.

 

Un governo all'anno vuol dire appunto frammentazione ed instabilità, visto che dovrebbero durare una legislatura di 5 anni.

 

La riforma di Berlusconi era invotabile perchè come ho già spiegato più volte dava un potere eccessivo al presidente del consiglio introducendo il premierato a scapito degli altri organi di garanzia, cose che in questa riforma non ci sono e la rendono più equilibrata e quindi condivisibile.

Edited by Sbuffo

 

 

Qui si ritorna al discorso del ''meno peggio''.

 

Non vedo niente di ciò che è successo negli ultimi 4 anni

che non potrebbe succedere con la nuova costituzione

 

Ci sono cose che potrebbero forse non succedere con l'Italicum

 

Ma c'è il non indifferente difetto di essere una legge per me incostituzionale

e che in ogni simulazione possibile fa vincere il M5S ( il ché la dice lunga di come

sia stata pensata in modo lungimirante e approfondito...)

 

Quindi l'Italicum deve essere modificato in ogni caso con qualcosa che abbia

un senso

La Stampa

Il superamento del ballottaggio e l’elezione dei deputati nei collegi. Sono i due aspetti dell’Italicum che potrebbero cambiare dopo il referendum costituzionale. Le modifiche sono infatti indicate nel documento approvato da una commissione PD formata dai vertici del partito (Lorenzo Guerini, Ettore Rosato, Luigi Zanda, Matteo Orfini) e dal deputato della minoranza Gianni Cuperlo. Il testo non assume invece nessun impegno sulla possibilità di assegnare il premio di maggioranza non alla lista, come previsto ora, ma alla coalizione, come chiedono a gran voce i piccoli partiti. 


I principi di base del sistema elettorale, viene spiegato nel documento, restano «governabilità e rappresentanza»: se le modifiche proposte divenissero legge cambierebbe il modo di ottenerli. Il documento sarà inviato ad Assemblea, Direzione e gruppi parlamentari PD, ma il Parlamento inizierà a occuparsi del tema non prima del referendum costituzionale del 4 dicembre, anche perché dalle consultazioni svolte informalmente dalla commissione è emerso che la maggioranza degli altri partiti non è disposta ad affrontare il tema prima del voto. 

Ma come cambierebbe l’Italicum secondo le modifiche indicate dalla commissione PD? L’attuale è un sistema proporzionale con sbarramento al 3% e premio di maggioranza (340 seggi su 630) alla lista che supera il 40%: se nessuno lo raggiunge, si decide il vincitore in un ballottaggio tra i due partiti più votati. Il documento indica invece la possibilità che con un premio che assicuri la governabilità, si possa archiviare il ballottaggio dell’Italicum. Ma non viene indicata l’entità del premio né se sarà assegnato alla lista o alla coalizione


Il secondo aspetto è quello del metodo di selezione dei deputati: la legge elettorale in vigore prevede che si votino liste con capolista bloccato e la contesa tra gli altri con le preferenze. La commissione Dem indica invece la «preferenza» per la scelta di un «sistema di collegi». Ma, nota il bersaniano Federico Fornaro, che critica il documento, non si indica «se i collegi siano uninominali maggioritari (candidato di coalizione) oppure uninominali proporzionali (candidato di partito)». 

Sinistra riformista, l’area Pd che fa capo a Roberto Speranza e Pier Luigi Bersani, ha bocciato l’accordo perché contiene impegni troppo vaghi e soprattutto «è una dichiarazione di intenti e non una proposta di legge». Quanto alle altre forze politiche, l’abolizione del ballottaggio appare un cambiamento largamente condiviso. Per il resto, restano agli atti le richieste da loro avanzate in questi mesi di discussione. 

I piccoli partiti - NCD su tutti - chiedono di assegnare il premio di maggioranza non alla lista ma alla coalizione. Silvio Berlusconi ha espresso una preferenza per un sistema proporzionale, che lascerebbe anche la possibilità di larghe intese dopo il voto. I Cinque Stelle hanno una proposta di legge proporzionale (lo hanno chiamato «Democratellum»), con collegi intermedi, soglie di sbarramento e preferenze, sia positive che negative.

Edited by Rotwang
privateuniverse

Proprio per confutare questa teoria, che vede come portavoce anche figure molto autorevoli, abbiamo fatto un'analisi nei diversi punti delle due riforme.

 

FINE DEL BICAMERALISMO PARITARIO E NUOVO SENATO

 

[...]

 

Stando alla riforma del 2016, inoltre, i consiglieri regionali e i sindaci che andrebbero a formare il nuovo senato, non riceverebbero alcuno stipendio oltre a quello che percepiranno per il loro ruolo nelle autonomie locali.

 

[...]

 

LE DIFFERENZE DI METODO

Se la riforma del 2006 venne approvata in parlamento esclusivamente dalla maggioranza di governo formata da Forza Italia, Alleanza Nazionale, Lega Nord, Unione di Centro ed altre formazioni minori, uscita vincitrice dalle elezioni politiche del 2001 e a sostegno dei due governi guidati da Berlusconi succedutisi tra il 2001 e il 2006, l'iter a livello parlamentare della riforma del 2016 è stato più complesso.

 

[...]

 

In altri termini, se la riforma del 2006 nasce da una sola parte politica, quella del 2016 nasce da un governo già di per sé di larghe intese, coinvolgendo peraltro settori dell'opposizione.

 

 

L'articolo scrive molte falsità.

 

Sarebbe troppo lungo elencarle.

 

C'è però una reale differenza.

 

La riforma del 2006 prevedeva un Senato elettivo.

 

Quella del 2016 ne prevede uno nominato dai consigli regionali.

 

Strano che un articolo così puntiglioso dimentichi proprio quest'aspetto.

 

Risibile, poi, l'affermazione secondo cui cui questa riforma sarebbe il frutto di una maggioranza parlamentare più ampia di quella del 2006.

 

Entrambe le riforme furono approvate a colpi di maggioranza. Questa, però, è costituita da partiti che alle ultime elezioni ottennero appena il 36,4 per cento dei voti.

 

I partiti che approvarono la riforma Berlusconi del 2005 avevano ottenuto il 48,5 per cento dei voti.

 

Era senz'altro più rappresentativa quella coalizione di questa.

“Non è drammatico dire che a volte si sceglie il meno peggio. È quello che una forza di governo come la nostra ha fatto spesso in Parlamento”.

Così Emma Bonino, intervenendo alla terza giornata del XV Congresso di Radicali italiani, annuncia il suo ‘sì’ al referendum costituzionale, pur sottolineando che “nessuno vuole imporre niente a nessuno” e che la libertà di coscienza resta un principio cardine per i Radicali. “È probabile – aggiunge Bonino – che se vince il no ci sarà un cambio di quadro politico, si dice così in politichese. E ho l’impressione che i temi che stanno a cuore a noi radicali non riceverebbero maggiore ascolto da SalviniBrunetta e perfino Grillo“.

 

Traduzione:

 

"Abbiamo sempre cercato, disperatamente, di salire sul carro del vincitore per mendicare qualche posto. Ci abbiamo provato con Craxi, poi nel 1994 con Berlusconi (ed è così che diventai membro della Commissione UE), nel 2006 con Prodi. Certo, qualche volta ci è stato risposto seccamente di no: per esempio, quando nel 2005 ci offrimmo indifferentemente alla destra e al centrosinistra, entrambi ci risposero picche. E anche Grillo, con cui abbiamo cercato qualche abboccamento qualche tempo fa, ci ha mandato al diavolo.

 

Ora ci rimane solo Renzi. Però, diciamo la verità: a noi non ha mai fatto schifo niente. Anzi: più sono carogne, più ci vanno bene. Altrimenti come avremmo potuto farci piacere prima Craxi e poi Berlusconi? Tanto noi siamo capacissimi di allearci con qualcuno e di fargli le scarpe (come alle comunali di Milano, quando ci siamo alleati con Sala pur presentando un ricorso sulla sua ineleggibilità).

 

Quindi, vada per Renzi."

 

Del resto Giachetti non viene forse dalle nostre file?"

Visto che l'italia alla fine e' un posto conservatore che non vuole i cambiamenti alla fine prevarra' il no secondo me.

 

Un paese avverso al cambiamento?

 

Dal 1993 abbiamo cambiato tre volte la legge elettorale nazionale, almeno due volte le leggi elettorali regionali e cambiato la legge elettorale per i comuni.

 

Nel 2001 c'è stata una riforma costituzionale che ha cambiato notevolmente la ripartizione delle competenze fra stato e regioni.

 

Il sistema pensionistico e la normativa in materia di lavoro sono irriconoscibili rispetto a vent'anni fa. La scuola e l'università sono state interessate da due riforme importanti, una del centrosinistra e una della destra.

 

Di cambiamenti, per lo più peggiorativi, ne abbiamo accettati fin troppi. Molti di più della Svizzera.

 

Questo è l'ultimo in ordine di tempo e il peggiore qualitativamente parlando.

 

Il No è contro una riforma pessima e fatta nell'interesse di una sola persona, non è "contro il cambiamento".

Edited by privateuniverse

L'articolo scrive molte falsità.

 

Sarebbe troppo lungo elencarle.

 

C'è però una reale differenza.

 

La riforma del 2006 prevedeva un Senato elettivo.

 

Quella del 2016 ne prevede uno nominato dai consigli regionali.

 

Strano che un articolo così puntiglioso dimentichi proprio quest'aspetto.

 

Risibile, poi, l'affermazione secondo cui cui questa riforma sarebbe il frutto di una maggioranza parlamentare più ampia di quella del 2006.

 

Entrambe le riforme furono approvate a colpi di maggioranza. Questa, però, è costituita da partiti che alle ultime elezioni ottennero appena il 36,4 per cento dei voti.

 

I partiti che approvarono la riforma Berlusconi del 2005 avevano ottenuto il 48,5 per cento dei voti.

 

Era senz'altro più rappresentativa quella coalizione di questa.

 

Traduzione:

 

"Abbiamo sempre cercato, disperatamente, di salire sul carro del vincitore per mendicare qualche posto. Ci abbiamo provato con Craxi, poi nel 1994 con Berlusconi (ed è così che diventai membro della Commissione UE), nel 2006 con Prodi. Certo, qualche volta ci è stato risposto seccamente di no: per esempio, quando nel 2005 ci offrimmo indifferentemente alla destra e al centrosinistra, entrambi ci risposero picche. E anche Grillo, con cui abbiamo cercato qualche abboccamento qualche tempo fa, ci ha mandato al diavolo.

 

Ora ci rimane solo Renzi. Però, diciamo la verità: a noi non ha mai fatto schifo niente. Anzi: più sono carogne, più ci vanno bene. Altrimenti come avremmo potuto farci piacere prima Craxi e poi Berlusconi? Tanto noi siamo capacissimi di allearci con qualcuno e di fargli le scarpe (come alle comunali di Milano, quando ci siamo alleati con Sala pur presentando un ricorso sulla sua ineleggibilità).

 

Quindi, vada per Renzi."

 

Del resto Giachetti non viene forse dalle nostre file?"

 

Un paese avverso al cambiamento?

 

Dal 1993 abbiamo cambiato tre volte la legge elettorale nazionale, almeno due volte le leggi elettorali regionali e cambiato la legge elettorale per i comuni.

 

Nel 2001 c'è stata una riforma costituzionale che ha cambiato notevolmente la ripartizione delle competenze fra stato e regioni.

 

Il sistema pensionistico e la normativa in materia di lavoro sono irriconoscibili rispetto a vent'anni fa. La scuola e l'università sono state interessate da due riforme importanti, una del centrosinistra e una della destra.

 

Di cambiamenti, per lo più peggiorativi, ne abbiamo accettati fin troppi. Molti di più della Svizzera.

 

Questo è l'ultimo in ordine di tempo e il peggiore qualitativamente parlando.

 

Il No è contro una riforma pessima e fatta nell'interesse di una sola persona, non è "contro il cambiamento".

 

Sei un fanatico grillino, sragioni, scrivi sciocchezze immani e faziose.

Edited by Rotwang
privateuniverse

Dagli interventi che sto leggendo, pare che le migliori motivazioni per votare no siano che Renzi è cattivo (come meravigliosamente argomentato da Private) e che all'estero sarebbe gradita e com'è noto ciò che gli altri paesi ci suggeriscono di fare è sempre e solo per nostro male e rientra in un complotto mondiale plutogiudaico per distruggere l'Italia (come sottolineato da R.POST).

Che dire, mi avete convinto, voto no! XD

 

Nono, è assolutamente normale che l'ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, il presidente degli Stati Uniti, il Commissario all'UE Moscovici e, per la Germania, Merkel, De Maizière e Schauble si esprimano su cosa dovremmo votare.

 

Come se fosse affar loro.

 

Ovviamente lo fanno dall'Empireo: essi giudicano soltanto in base a valori astratti, non in base agli interessi dei paesi che governano.

 

Mi raccomando, fate i bravi sudditi italiani ubbidienti: votate Sì.

 

Non vorrete far piangere Obama e Moscovici?

Sei un fanatico grillino, sragioni, scrivi sciocchezze immani e faziose.

 

Detto da te...

 

Mai votato (finora) per l'M5S.

 

Certo, dovendo scegliere tra l'M5S e il PD, sceglierei il primo.

 

Ma, tanto per fartelo sapere, sono iscritto a un altro partito.

Edited by privateuniverse
privateuniverse

Renzi stasera da Minoli sulla 7.

 

Minuto 1:43

Domanda:
"Ma se le dicono che lei sta realizzando il programma di Berlusconi si arrabbia?"


Risposta:
"No, credo che Berlusconi avrebbe dovuto realizzarlo lui il suo programma"


Invece ci ha pensato lui, Renzi, a realizzarlo.


http://www.la7.it/facciaafaccia/video/faccia-a-faccia-con-matteo-renzi-06-11-2016-197326
 

 

 

Nono, è assolutamente normale che l'ambasciatore degli Stati Uniti in Italia, il presidente degli Stati Uniti, il Commissario all'UE Moscovici e, per la Germania, Merkel, De Maizière e Schauble si esprimano su cosa dovremmo votare. Come se fosse affar loro. Ovviamente lo fanno dall'Empireo: essi giudicano soltanto in base a valori astratti, non in base agli interessi dei paesi che governano. Mi raccomando, fate i bravi sudditi italiani ubbidienti: votate Sì. Non vorrete far piangere Obama e Moscovici?

Sai com'è, quando fai parte dell'Unione Europea e della NATO hai degli alleati che si interessano di quello che accade nel tuo paese, ed essendo alleati normalmente non agiscono ai fini della tua distruzione totale.

Ma anche ammesso che si volesse fregarsene del tutto del loro parere, altra cosa sarebbe la ridicolaggine suggerita da R.POST e che tu sembri appoggiare, e cioè che siccome ce lo dicono loro bisogna fare il contrario.

Ma forse se fosse stato il caro Putin a dire di votare Sì allora lo avreste fatto; lui sì che vuole il nostro bene. 

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