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Coming Out all'occidentale. Solo questo?


SerialHenry

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SerialHenry

Il coming out come lo immaginiamo noi e come è rappresentato nella nostra cultura è l'unico modo per "dichiararsi"?

 

 

C. Winter Ha, autore del libro Geisha of a Different Kind: Race and Sexuality in Gaysian America, in una recente intervista che ho letto, descrive altri modi meno apparenti per dichiararsi alla famiglia, modalità che si applicano in contesti non occidentali ed occidentalizzati.

 

In questa intervista fa riferimento a molti argomenti: gli stereotipi sugli uomini gay asiatici e sugli uomini asiatici in generale e molto altro. Quello che mi interessa è questo estratto., in cui commenta il concorrente di un tv show americano, un ragazzo americano-coreano gay, che fa la drag queen ma che non ha "rivelato" nessun delle due cose alla madre che vive anche lei negli USA. A proposito del mancato coming out dice:

 

A long time ago I wrote an article that was published in a book called First Person Queer where I noted that we needed to rethink this idea of [everyone] coming out in the way that Westerners come out. That there are multiple ways of being gay and proclaiming ourselves to be gay. I’ve never had that conversation with my mother either; I’ve never sat my mom down and said, “Guess what, mom: I’m gay.” But she knows I’m gay. Everybody in my family knows I’m gay. And yet no one talks about it.

 

I remember one newspaper review of the book specifically pointed out my chapter and saying I was advocating for people to stay in the closet. What that review told me is that there’s a large idea of what it means to be gay in our country, and that idea is largely based on gay white male experiences and all other experiences are invalid.

A study looked at gay white men and Latino men and found that Latino men who come out in the traditional way that white people come out actually become less happy. They’re happier when they come out in much more subtle ways like bringing a boyfriend to family events, where nobody publicly says “I’m gay,” and no one says “this is my partner,” but that’s the implication.

 

I would be really surprised if Kim Chi’s mother didn’t know. But you have to understand that in Asian American culture, it’s a very interesting relationship with sexuality. It would be one thing if Asian parents had discussions about sex and love with their straight kids, but not talking about sexuality, whether you’re straight or gay, is an entirely common thing for Asian families. Asian kids don’t normally go around telling their parents, “Oh, I went on this date and this is how it’s going.” It’s more subtle. I think about my siblings and how they introduced their boyfriends and girlfriends to my mother. It wasn’t like they said, “Mom, I’m dating this person.” The person just one day showed up.

 

 

Qui l'intervista nel caso vi interessi leggerla per intero: http://www.theatlantic.com/entertainment/archive/2016/05/kim-chi-rupauls-drag-race-femme-fat-asian-c-winter-han-interview-middlebury/483527/

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Sì, è una enorme cazzata.

 

Sì, nelle culture omofobiche di solito i gay non si dichiarano

e lasciano che la famiglia se ne accorga da sola.

 

Prendersi la responsabilità di informare esplicitamente la famiglia

non è una caratteristica del maschio bianco occidentale,

è una caratteristica della persona adulta.

 

Metterla nei termini - palesemente queer da studi postcoloniali -

di una specificità del bianco occidentale è solo una scusa.

Prenderne atto sarebbe un buon passo avanti.

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SerialHenry

Premetto che non sto rivendendo questo articolo come tutorial di uno nuovo stile di C.O. xD Io sono uno dei tanti che si è seduto davanti ai suoi genitori e ne ha parlato con loro.

 

Però forse quello che si sta dicendo qui è che la nostra presunzione è proprio nel credere che l'unica via sia "informare esplicitamente": forse non è l'unico paradigma, sopratutto in quell'avverbio.

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Mah guarda la settimana scorsa un ragazzo gay coreano mi ha detto esattamente questo, cioè che per lui è impensabile fare coming out in famiglia e con molti dei suoi amici e deve passare sotto silenzio la sua omosessualità ancora per molto tempo; ma ha fatto alcun cenno al fatto che "esistono modi diversi di fare coming out", solo al fatto che lo avrebbero i primi ripudiato, i secondi preso in giro.

 

Tutto qui.

 

Il resto sono solo troiate omofobiche di qualche represso superstite post-cirinnà post-obama che crede che si possa chiamare "pudicizia relazionale alternativa" il fatto di vivere nelle intercapedini.

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SerialHenry

Lo trovo interessante e non mi sembra giusti ridurlo.

 

I due ragazzi dell’articolo per esempio:

 

Uno è andato alla tv americana come gay, come drag queen e come figlio di immigrati coreani a parlare del suo mondo e della cultura d’origine con cui si deve confrontare. Ha parlato di fronte alla tv del suo mancato coming out con la madre. La sua ambizione è di poter portare il suo drag show nel paese origine.

 

L’altro è un autore che scrive e parla di omosessualità e della sua omosessualità.

 

Entrambi mi sembrano difficilmente atteggiamenti che rientrano nel vivere “in the closet”.

 

Ancora più interessante è che si dica come nella cultura orientale non è prassi parlare di rapporti sessuali, nel senso delle persone con cui si intrattengono questi rapporti, con la famiglia.

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Non sono assolutamente d'accordo, ti spiego perché.

 

Il coming out viene ritrascinato ad argomento "faceto" e "malizioso", cioè ad una confidenza superflua su un fatterello privato che non bisogna trattare con le persone con cui non si ha confidenza.

 

E sappiamo tutti che gli asiatici hanno bassissima confidenza con i genitori, con cui hanno una distanza gerarchica che è molto forte e molto sentita.

 

Ma tutto ciò è stupido perchè il coming out non è un atto confidenziale.

 

E' un atto politico.

 

E anche l'autorevole papà-san o la silenziosa mama-san, in quanto potenziali attivi portatori di omofobia congenita, devono imperativamente essere resi destinatari del messaggio/strumento politico che, solo, nella sua minuta semplicità, è in grado di estirpare il demonio che è in loro.

 

Che poi essi siano intesi come soggetti "istituzionali" con cui non c'è confidenza affettiva, tanto peggio: a quel punto dovranno essere destinatari di coming out non come una soffocante mamma italiana, una lunatica mamma francese, una esuberante mamma tedesca, ma esattamente quanto un insegnante, un preside, un medico, un infermiere, un burocrate, un avvocato, un poliziotto ecc.


EDIT: Identica considerazione la faccio per quello che viene detto della cultura sudamericana. Mi sembra davvero patetica l'esaltazione che viene fatta di "quelli che invece di fare coming out lanciano messaggi indiretti" perché si scivola seriamente nel culto del non-detto. E ciò di cui non si parla, ha il connotato del tabù, con tutte le conseguenze del caso.

 

E' certamente vero che i latinos spesso fanno il giochino del non-detto, ma lo fanno perché sono dei cazzo di repressi come gli italiani.

 

I latinos a posto con loro stessi fanno invece coming out e vivono sereni.

 

L'omertà cattolica (ed evidentemente confuciana-scintoista-buddhista) si fonda e si è sempre fondata proprio su questo, sulla delegittimazione addirittura verbale del fenomeno: non lo pronuncio, non è pronunciabile: è la forma più alta e psicopatica di negazione dell'esistente.

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Vabbe lasciando stare Sampei che è il talebano dei co, è inutile dire che sono tutte cazzate quelle dell articolo.

Il Co è la fine di un processo di accettazione e va fatto quando si sono superate le ultime resistenze.

È qualcosa che se non la si fa non si riuscirà mai a vivere in pieno e ad essere del tutto sereni punto è basta.

 

Non è un atto politico in alcuni casi, come nel lavoro, puoi anche non farlo se ne trovi ragioni di opportunità ma tali ragioni saranno giuste solo quando avrai eliminato l alibi delle scuse con te stesso

 

Inviato dal mio SM-G903F utilizzando Tapatalk

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Icoldibarin

Ho troppa poca esperienza sulle culture non europee per giudicare un simile modo di procedere, certo sappiamo che molte culture asiatiche hanno dinamiche sociali molto differenti dalle nostre, dinamiche che possono risultare molto singolari anche senza entrare nella sfera dell'omosessualità.

 

Una dinamica però in parte simile la ritroviamo in parte anche nella nostra cultura. Per esempio qui è considerato poco elegante o impacciato una dichiarazione esplicita di interesse sentimentale e/o sessuale verso una persona, bisogna ricorrere ad una forma di comunicazione più indiretta e meno esplicita per non risultare sconvenienti. Sebbene di solito i gay siano più espliciti dei loro coetanei etero questa censura sicuramente esiste codificata nelle meccaniche dei rapporti.

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Freewheeler

Non capisco perché chiamare "coming out" il fenomeno del non-detto che esiste ed è esistito in tutte le culture.

Dicano semplicemente che non si sentono pronti a dichiararsi, senza fare confusioni terminologiche.

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Hinzelmann

Ciò che viene evocato mi sembra sia il fatto che sia nella cultura latina che

in quella asiatica vi è una minore consapevolezza del valore della libertà

individuale, la "persona" non si definisce solo per la sua identità individuale

ma anche e soprattutto attraverso i legami sociali, con il clan, la famiglia etc

A dire il vero lo stesso vale per gli Arabi o i mediorientali in genere

 

Se esiste una specificità culturale, io tenderei però a vederla confinata agli

Asiatici ( ma un asiatico-americano, come un cinese-italiano non è mai interamente

asiatico, come non è mai interamente italiano o americano, il problema quindi si

complica ) I Latini ed i mediorientali, non li vedo così diversi dagli Italiani

 

Gli Asiatici hanno il problema della "vergogna", in particolare per la cultura cinese

la vergogna non è una "emozione" ma una "qualità" della persona, che la spinge a

modificare i comportamenti socialmente non desiderabili. Invece le emozioni vanno

sistematicamente represse, perchè esprimerle sarebbe una forma di "esibizionismo"

Al contempo la risposta standard che un Asiatico riceve da una famiglia omofoba è

"non ci interessa il tuo comportamento, ma devi sposarti e fare figli" il ché in un sistema

sociale in cui i matrimoni combinati sono ancora una realtà, ha un forte peso.

 

Ma anche in Cina o in Giappone, l'identità gay è in gran parte il frutto di una elaborazione

di idee occidentali, in Cina neanche esisteva una parola per definire "gay" quindi non credo

possa esistere una identità alternativa, con strumenti di affermazione alternativi

 

Può esistere una sorta di "adattamento" delle idee occidentali ad un contesto orientale

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Ciò che viene evocato mi sembra sia il fatto che sia nella cultura latina che in quella asiatica vi è una minore consapevolezza del valore della libertà individuale, la "persona" non si definisce solo per la sua identità individuale ma anche e soprattutto attraverso i legami sociali,

 

Si vabé ma così scivoliamo in una aporia piuttosto disturbante, cioè, l'identità della persona è troppo "sociale" e troppo poco "individuale" e questo non permette all'omosessuale di vivere bene il coming out e le sue conseguenze identitarie: ma è proprio questo che storicamente annienta l'anonimo omosessuale medio, il fatto di non avere alcun modo per poter esplicitare una propria identità sociale perché quella preesistente ne nega l'esistenza. Ma lui esiste!

 

La definizione della persona ANCHE a livello sociale è ovviamente essenziale e preziosa, ma è la COARTAZIONE di tale definizione sociale su canali prestabiliti nei quali l'omosessualità è vietata, deviante, o inconcepibile distrugge la persona omosessuale, cui a priori è impedita una definizione identitaria sociale.

 

Insomma se io sono un cinese gay, non esistono strade di nessun genere affinché io possa esistere socialmente per quello che sono: la definizione della mia identità sociale mi porge un ventaglio di opzioni fra le quali "omosessuale cinese" NON ESISTE.  Tutto ciò che mi spingerebbe a non coincidere con l'opzione identitaria "eterosessuale cinese" è assurdo e privo di senso sociale.

 

Ed è assolutamente capziosa l'eventuale obiezione che "in alcune culture non può che essere così" perché esistono (Polinesia) e sono esistite (come il fenomeno berdache nordamericano, o i Siwa in Nordafrica) società che hanno ISTITUZIONALIZZATO in vari modi l'omosessualità invece di negarne l'esistenza, così come in tante società la concezione dell'omosessualità è variata nel tempo anche molto profondamente, quindi l'idea dell'emancipazione delle persone omosessuali da una società negazionista è pienamente concepibile in senso trans-culturale, non ritengo sia un fenomeno da intendersi come esclusivamente occidentale.

 

Non bisogna comunque generalizzare troppo perché poi le varie culture asiatiche trovano risposte differenti, per esempio nei paesi in cui vi è  buddhismo di corrente Theravada gli omosessuali hanno un riconoscimento sociale evidentissimo e non sono affatto oggetto di discriminazione (Sri Lanka, Thailandia) mentre nei paesi in cui il buddhismo è di corrente Mahayana (Cina, Corea, Giappone, in cui è mixato con confucianesimo e scintoismo) o Vajrayana (Nepal in cui è mixato con l'induismo) le cose cambiano profondamente e si passa alla negazione.

Edited by Sampei
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Hinzelmann

Quel che io suggerivo era un "adattamento" al contesto culturale in cui si vive

il fatto che l'omofobia asiatica colpisca più su certi aspetti rispetto ad altri, va

considerato

 

Ad esempio il dovere morale di sposarsi e fare figli, non lo si sconfigge dicendo

di essere omosessuale, ma presentando in famiglia il proprio fidanzato e costringendo

i familiari ad accettare il fatto che l'omosessualità deve essere un fatto socialmente rilevante.

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Se domani un ragazzino veneto mi dicesse:

"L'ho detto ai miei genitori, ma fanno finta di niente

e continuano a sperare che mi trovi una ragazza"

io non penserei: "Allora la cultura veneta è come quella cinese!"

 

Le reazioni omofobiche dei genitori sono piuttosto standard,

semplicemente alcune persone non-occidentali

vogliono leggerle come specifiche della loro cultura

(implicitamente accusando l'universalismo della cultura gay occidentale).

 

Purtroppo questa sciocchezza è alimentata dai teorici queer

che considerano l'identità gay un prodotto della civiltà occidentale

(mentre invece la civiltà occidentale ha il merito di non averla repressa).

 

Ricordo un ragazzo che si occupa di migranti GLBT

che mi raccontava di un omosessuale del Bangladesh

che si definiva "etero" perché nel suo Paese

la parola "gay" si usava solo per gli effeminati.

E mi raccontò l'aneddoto sicuro che mi avrebbe persuaso

del fatto che l'identità gay varia con le culture...

Gli ho risposto che basta entrare in chat per scoprire

qualche omosessuale attivo italiano che si definisce "etero" per gli stessi motivi...

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Hinzelmann

Richiamo l'attenzione anche su questo topic introdotto da @freedog

su gay ed islam, che introduce il concetto di "eib" mediorientale, che

potrebbe assomigliare a quello confuciano di "vergogna"

 

http://www.gay-forum.it/forum/index.php/topic/32806-interesting-point-of-view/#entry923790

 

Per chi volesse approfondire l'approccio multiculturale alle problematiche

di gay immigrati mediorientali ed asiatici, mi pare molto interessante

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L'omertà cattolica (ed evidentemente confuciana-scintoista-buddhista) si fonda e si è sempre fondata proprio su questo, sulla delegittimazione addirittura verbale del fenomeno: non lo pronuncio, non è pronunciabile: è la forma più alta e psicopatica di negazione dell'esistente.

 

Invidio la tua prolissità, io avrei usato solo la parola tabù.

 

Compiuti i miei primi vent'anni m'ero avvicinato anch'io alla tua visione, a quella di Almadel...complici le circostanze, la disillusione, l'insuccesso delle mie relazioni ora mi accorgo di non essere più all'altezza di vivere apertamente la mia vita gay.

Ecco, non parlerei di pudicizia relazionale, ma -più prosaicamente- di fifa.

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complici le circostanze, la disillusione, l'insuccesso delle mie relazioni ora mi accorgo di non essere più all'altezza di vivere apertamente la mia vita gay. Ecco, non parlerei di pudicizia relazionale, ma -più prosaicamente- di fifa.

 

Beh ma secondo me quello di cui parli è un problema totalmente diverso, ed ha a che fare con qualcosa di trasversale ad etero e gay, ossia la concezione brutalmente performante che si impone anche della vita sentimentale delle persone.

 

Per la cultura occidentale europea attuale, ormai tutta devastata dalla "logica IBM" nordamericana, bisogna essere il Wolf of Wall Street in tutto, perfino nei rapporti sociali, amicali, ed evidentemente anche nelle relazioni. Le persone che percepiscono queste orrende pressioni "sistemiche" e non hanno strumenti culturali alternativi per proteggersi si sentono stritolate e si ritraggono.

 

Se nel caso etero la "ritrazione" non ha implicazioni identitarie, nel caso gay invece le ha, perché lapalissianamente l'esporsi socialmente coincide con il primo passo per poter strutturare in via definitiva la propria identità.

 

Insomma: "io sono gay sono a condizione che e nella misura in cui la mia vita relazionale è uno splendore, alttrimenti non lo sono" è il feroce e disumano messaggio che strangola un omosessuale che non ha un appoggio culturale per proteggersi dal "performantismo" totalitario statunitense. Le implicazioni di natura identitaria sono l'aggravante dato dal fatto che il performantismo è miserabile e non ha pietà nemmeno per chi è obbligato per motivi sociali a passare per le force caudine dell'accettazione interna ed esterna.

 

Mi spiace essere scivolato off topic ma era uno spunto interessantissimo.

Edited by Sampei
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SerialHenry

Ho letto l'intervista a Saleem Haddad e di 2ciò che è bene fare o non fare in pubblico e nelle relazioni sociali". Anche lui ha conosciuto due culture come il ragazzo di cui si parla nell'articolo con cui ho iniziato la discussione.
 
Riesce a parlare davanti ad una platea e alla telecamere del mancato coming out con la madre coreana. E quando  gli fanno notare che era po' strano dato che aveva partecipato ad un programma televisivo e la madre potrebbe vederlo tv lui ha risposto che  molte persone coreane in America non interagiscono con la cultura americana  quindi non era possibile che la madre lo vedesse.
Tuttavia questo ragazzo a me ancora non trasmette l'idea di vivere in the closet. Per molte delle sue scelte coraggiose lo sento più rappresentato da "adattamento" come ha detto qualcuno.
 
 

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Insomma: "io sono gay solo a condizione che e nella misura in cui la mia vita relazionale è uno splendore, altrimenti non lo sono" è il feroce e disumano messaggio che strangola un omosessuale che non ha un appoggio culturale per proteggersi dal "performantismo" totalitario statunitense. Le implicazioni di natura identitaria sono l'aggravante dato dal fatto che il performantismo è miserabile e non ha pietà nemmeno per chi è obbligato per motivi sociali a passare per le forche caudine dell'accettazione interna ed esterna.

 

Da studente di Filosofia un po' snob e engagée mi son ritrovato a svolgere la grigia mansione di cassiere bancario, di qui anche il rovesciamento di prospettiva di cui accennavo.

Certo, ho introiettato quel "performantismo" di cui parli già negli anni del liceo, e alcuni periodi all'Uni son stati molto duri anche per l'assenza di compiti, scadenze, attività finalizzate...è che non sono mai stato sufficientemente freak per decidere di lanciarmi in stravaganti progetti di cooperazione internazionale o di studi queer come hanno fatto diversi amici espatriati in Francia, né sufficientemente "piantato" da decidere di studiare ingegneria. A vent'anni mi impegnavo molto per integrare le diverse pressioni: quelle della famiglia, quelle del gruppo dei pari e quelle dell'ambiente di studio, col risultato che nessuno -credo- mi conosceva a fondo, nemmeno io.Come noterai non faccio riferimento alla vita affettiva, forse perché l'ho sempre ritenuta un corollario, mai un obiettivo (grosso errore)...è andata così, pazienza. Fine OT.

Edited by schopy
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per integrare le diverse pressioni: quelle della famiglia, quelle del gruppo dei pari e quelle dell'ambiente di studio

Ma in futuro potrai comunque creare un'identità più egosintonica di te stesso, l'importante è provarci, e per provarci devi ripulire il cervello dalle pressioni che hai sempre voluto integrare ad ogni costo e capire invece che cosa veramente ti farebbe egoisticamente infantilmente ed ingenuamente felice. vale la pena che tu inizi ad indagare. ra che lavori avrai più tempo e meno distrazioni per farlo!

 

 

 

Tuttavia questo ragazzo a me ancora non trasmette l'idea di vivere in the closet. Per molte delle sue scelte coraggiose lo sento più rappresentato da "adattamento" come ha detto qualcuno.

Come TU lo senti, però, non dipende da come lui ha vissuto le sue scelte ma da come TU ne INTERPRETI la portata.

 

Per un omosessuale italiano, che ha addosso duemila anni di cattolicesimo che lui lo voglia o no, vive in una società e in una mentalità a distacco tardivo (cioè il figlio si stacca dai genitori di fatto solo nel momento in cui si sposa e mette su famiglia, con una "longhissima manus" della famiglia d'origine sulle scelte future, per via della scarsità di risorse economiche e la delegittimazione culturale delle persone post adolescenti tipica di tutte le società mediterranee) è certamente golosa ed affascinante la prospettiva di una "socializzazione" dell'omosessualità che non preveda il conflitto intergenerazionale.

 

[Guarda caso il distacco tardivissimo dalla famiglia d'origine e il ferreo controllo genitoriale sulla neo-famiglia del figlio sono fenomeni tipici anche delle società asiatiche confuciane e di quelle sudamericane cattoliche].

 

Tanto più che in Italia siamo in pieno reflusso post-sessantottino ed ormai il giovane è una minoranza seccante e fastidiosa in seno ad una società di cinquantenni, quindi la cosa torna proprio comoda a tutti.

 

Tutto ciò, che già è soffocante per un etero, diventa pericolosamente INIBITORIO per un omosessuale, e io mi batterò sempre perché lo si tenga a mente.

Edited by Sampei
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Hinzelmann
Tuttavia questo ragazzo a me ancora non trasmette l'idea di vivere in the closet. Per molte delle sue scelte coraggiose lo sento più rappresentato da "adattamento" come ha detto qualcuno.

 

Beh se va in Tv non si può dire che non sia dichiarato

 

Tuttavia se conta sul fatto che gli immigrati asiatici della sua comunità

non guardano la TV in inglese, si può dire che ha anche una doppia vita

 

Questa doppia vita non è : gay coi gay VS etero con gli etero come sarebbe

per un velato italiano

 

bensì è

 

gay coi bianchi,  etero con gli etero asiatici

 

La parte interessante sarebbe vedere come il gay asiatico si comporta coi

gay asiatici, ma qui il discorso si complica perchè i gay asiatico americani

si dividono in due sottocategorie: quelli che vanno coi bianchi ( detti potato

Queens che è l'equivalente gay del gergo asiatico etero della banana: gialla

fuori ma bianca dentro ) quelli che vanno con altri asiatici ( detti sticky rice )

 

Tuttavia stiamo parlando di gay asiatico-americani, cioè persone che hanno

un problema di identità razziale e che subiscono in certa misura anche una dose

di pressioni etnico-razziali nella comunità gay di riferimento

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  • 3 weeks later...

Lo spunto di riflessione è interessante, tuttavia - leggendo almeno lo stralcio di intervista riportata dal topic starter - mi pare che le dinamiche non siano molto differenti da quelle di una famiglia che ''sa'' ma non ''parla'' dell'omosessualità, il che farebbe pensare a un atteggiamento omofobo, come Almadel e altri hanno notato. Parlare quindi del ''coming out'' come forma etnocentrica di rivelazione pubblica del proprio orientamento sessuale, almeno tenendo presente questa testimonianza, non mi pare il caso.

 

In alternativa, ma qui sono ancora supposizioni, si potrebbe pensare che nella famiglia del coreano non sia un tabù (l'omosessualità) e quindi venga tratta come l'eterosessualità (cioè, non la si tratta, perché è data per ''scontata'', possibile). Ma forse ciò è veramente poco plausibile, essendo qualcosa di molto ''progressista'', ossia raro e difficile - pur non impossibile - per persone che hanno una certa età.

 

Il diverso grado di confidenza tra figli e genitori, un rapporto più ''gerarchico'' rispetto a quello che un occidentale moderno ha con i suoi genitori - come supposto da Sampei - penso possa essere considerato un discorso valido per rafforzare la prima idea (omofobia).

 

Se poi ci mettiamo che l'influenza della cultura orientale nella formazione del coreano - veicolata almeno in parte dalla famiglia - tende a privileggiare imho le tendenze introverse, e quindi a tenere per sé alcune componenti intimistiche della propria individualità (in questo caso l'orientamento sessuale), non è molto difficile trarre risultati diversi dal ''tutti sanno anche senza averlo mai detto''.

Edited by Layer
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