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MoVimento 5 Stelle: un partito fallito?


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Marika Cassimatis ha vinto il ricorso contro Beppe Grillo che l’aveva espulsa dal MoVimento 5 Stelle dopo l’esito delle votazioni delle comunarie per la scelta del candidato sindaco del M5S di Genova. Il decreto del Tribunale civile di Genova sospende (qui parliamo del merito dell’ordinanza) quanto stabilito da Grillo il 14 marzo quando aveva chiesto ai suoi di “fidarsi di lui” e aveva indetto una nuova consultazione in seguito alla quale era stato deciso che il candidato del MoVimento a Genova sarebbe stato Luca Pirondini.

Non si sa ancora cosa succederà, ovvero se Grillo farà correre la Cassimatis con il simbolo del MoVimento o se il M5S si ritirerà dalla corsa per la poltrona di sindaco di Genova. Per il momento Marika Cassimatis è a tutti gli effetti il candidato sindaco dei 5 Stelle ma il fatto che questa decisione sia stata presa da un giudice e non dagli attivisti (che in realtà l’avevano già presa visto che la Cassimatis aveva vinto le comunarie) non va giù ai duri e puri del partito di Beppe. In attesa di scoprire quello che succederà a Genova gli attivisti a 5 Stelle si interrogano sul significato profondo della decisione del giudice. A molti – che evidentemente preferiscono ancora fidarsi di Grillo – la cosa non sembra poi così regolare. Perché un giudice si è immischiato nelle votazioni di un’associazione privata? A che titolo? Con che diritto?

Secondo molti utenti che commentano la notizia della vittoria della Cassimatis sulle varie bacheche del MoVimento e dei giornali il giudice che ha emesso il decreto di sospensiva che annulla la decisione di Grillo di non candidare la Cassimatis è palesemente un “corrotto” e “di sinistra”. Siamo qui dalle parti del complotto delle toghe rosse che è tanto caro a Berlusconi e ai suoi quando si tratta di commentare decisioni sgradite. Non sappiamo se qualcuno a Genova si è già messo all’inseguimento del giudice Roberto Braccialini per scoprire di che colore sono i calzini che indossa ma il clima che si respira è lo stesso. I 5 Stelle non vogliono ammettersi di essersi fidati della persona sbagliata e quindi per forza di cose ci sono oscuri poteri che tramano nell’ombra per impedire al MoVimento di andare al governo sotto la Lanterna.

Sospetto, per gli attivisti, che il giudice non sia intervenuto per le porcate delle primarie del PD e soprattutto è singolare, sempre secondo loro, la rapidità con cui si è arrivati al decreto di sospensione quando ci sono cittadini che da anni aspettano giustizia per vicende ben più gravi. Anche la Cassimatis ovviamente sarebbe colpevole perché con il suo ricorso ha ulteriormente sovraccaricato il sistema giuridico italiano. Non solo non è un’attivista onesta (ovvero una che dice sì a tutto quello che decide Beppe) ma è anche una cittadina poco coscienziosa perché non ha a cuore il bene comune e la sorte di tanti italiani che soffrono di malagiustizia.

Naturalmente tutto questo è stato possibile perché la Cassimatis è stata pagata da qualcuno che aveva intenzione di indebolire il M5S e impedire al partito di Grillo di espugnare la roccaforte del Partito Democratico.

Alcuni elettori pentastellati sono particolarmente sconvolti dall’accaduto e notano inquietanti parallelismi. Così come con la legge sul divorzio i giudici sono entrati “nella camera da letto” delle persone per stabilire chi dei due coniugi avesse ragione e chi torto con il caso Cassimatis la sospensiva entra “a gamba tesa nella camera da letto di tutti gli italiani”. Non vi sentite anche voi violati nel vostro intimo? Questi giudici oltre ad essere dichiaratamente “di sinistra” sono anche degli inguaribili guardoni e manipolatori del processo della democrazia partecipativa in Rete. Non come Grillo.

Alcuni attivisti sono sconvolti: come fa un giudice ad arrogarsi il diritto di dettare al MoVimento la sua linea politica? Perché il giudice sovverte le regole che il MoVimento si è dato? Difficile, una volta che ci si è fidati di Grillo, capire che il giudice non ha “sovvertito” alcunché anzi ha rilevato che a sovvertire le regole del partito (ad esempio non annunciando le votazioni con il dovuto preavviso) è stato proprio il Capo Politico nonché Garante del M5S. Ma questi sono dettagli. O no?

  • 3 weeks later...
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Carmela De Marco, titolare del bar di Ostia finito nelle mire dei clan, ha scritto una lettera aperta alla sindaca di Roma Virginia Raggi pubblicata da Repubblica. La De Marco critica la sindaca per aver detto che tutto va bene ad Ostia:

Cara sindaca,
leggo dai giornali che lei è venuta a Ostia e ha detto che va tutto bene. Ma lei è per caso il sindaco di New York? O di Roma? È venuta a Ostia a 400 passi dal mio bar finito otto mesi fa nelle mani degli Spada e della rete dei loro complici (prestanome titolari di agenzie immobiliari e la lista è lunga); e che solo grazie all’aiuto di una campagna stampa condotta dal giornale che ospita questa mia lettera e delle forze dell’ordine sono riuscita a riavere.
Lei viene a Ostia e non si è preoccupata di venire a darmi un conforto. Anzi, si permette di dire che va tutto bene a Ostia? Lo sa che così lei si è guadagnata i voti dei criminali? Le chiedo di venire a vedere in che condizioni vivo io e la mia famiglia oggi, col terrore che mi brucino viva o che mi ammazzino ogni giorno. Cara sindaca, scenda dal piedistallo e guardi la realtà invece di parlare di legalità a Ostia. Io e tanti commercianti siamo nella morsa dei criminali. E voi sareste i paladini della legalità accanto alla gente? Voi sareste quelli che combattono la mafia?
Cara sindaca a Ostia la legalità è un miraggio e dire che va tutto bene significa fare un favore a chi le regole le vuole mantenere sottosopra. Quando dice certe cose, si rende conto del danno che fa alla gente perbene che a Ostia ci vive e sulla propria pelle subisce il male di questi malavitosi? Io sono sola, a parte la solidarietà di chi mi è stato vicino in questa vicenda. Io vorrei che lei si scusasse con me e con tutta le gente perbene di Ostia per le dichiarazioni che ha fatto durante la sua visita. Qui a Ostia non va bene niente, se lo ricordi. E vorremmo che lei stesse dalla nostra parte.


Un articolo di Federica Angeli ed Enrico Bellavia aveva raccontato la strategia dei clan per agganciare gli imprenditori in difficoltà invitandoli a concedere in affitto l’attività per rifiutare e ripartire quando la liquidità è nuovamente in cassa:

È successo con il tentativo di esproprio del lido Orsa Maggiore, denunciato da Repubblica, è accaduto con una tabaccheria e una gelateria in via Stiepovich, cui sono seguiti blitz e arresti.
Nell’ultimo anno a Ostia, gli Spada e i loro alleati, i Fasciani, guidati da Terenzio, detto Garibaldi, con all’attivo un’accusa per mafia schivata in secondo grado, mostrano di non accontentarsi più, vogliono prendersi quanta più roba è possibile, piazzare bandierine nella città che conta. Far vedere, esibire la propria potenza sottraendo i sia pur esigui margini di concorrenza.
Succede così che in poche settimane il sistema si sia messo in moto, replicando con meticolosa efficienza lo schema di sempre. Il primo caso ha fatto scuola. E a seguire se ne sono verificati altri cinque: via Corrado del Greco, via delle Azzorre, via Piola Caselli, via dei Promontori, piazza della Stazione Vecchia, piazza Quarto dei Mille.

  • 1 month later...

La Stampa

«In relazione all’espulsione contestata nel giudizio pendente e sospesa con provvedimento cautelare del Tribunale di Roma, cui è seguita la riammissione temporanea, ti comunico la riammissione in via definitiva al MoVimento 5 stelle». Firmato Beppe Grillo. Roberto Motta, il capo degli espulsi romani M5S, uno dei militanti dotati di studi alle spalle (laureato in statistica con Giorgio Troi, nel giro degli allievi di Federico Caffè), ha guidato i ricorsi vinti contro la Casaleggio dai grillini cacciati a Roma e Napoli. Ha appena ricevuto questa mail dall’azienda, per la prima volta Grillo deve arretrare da un’espulsione, pena guai giudiziari più seri. Ma Motta non ha intenzione di deporre l’ascia. «La lotta continua», dice. 

Non è abbastanza che Grillo, per la prima volta, debba riammettere un espulso? 
«No. Ci sono altri giudizi pendenti, illegittimità del regolamento e della seconda associazione, costituita da Grillo e dal nipote, lite temeraria, e altro» 

Ci sarà anche un possibile risarcimento molto alto, per perdita di chance. 
«Io sarei stato tra i consiglieri comunali, con ottime chance di risultare nei primi cinque». 

La riammissione avviene in coincidenza dei guai della sindaca. Che pensa della Raggi? 
«Il suo fallimento va molto oltre le cose che sono emerse. Comincia dal decalogo che firmò con lo staff. Lei ha accettato di fare tutto quello che le viene detto. A partire dalle nomine. Non può decidere niente».

Per esempio? 
«Pensi solo a due degli ultimi casi: Raggi nomina Fabio Serini - che era il curatore giudiziale all’Aamps, l’azienda di rifuti di Livorno, cioè un controllore del M5S - come commissario straordinario all’Ipa, l’Istituto di previdenza dei dirigenti capitolini: cioè un controllato. Luca Lanzalone, consulente Aamps sempre a Livorno, diventa presidente di Acea. Siamo dentro totali conflitti d’interessi, intrecci nei cda, un disastro, completamente contrario ai princìpi del Movimento». 

Rispetto alla giunta Marino come va? 
«Marino aveva fatto cose anche buone. Per esempio aveva tolto tutti i cda delle municipalizzate. La Raggi li ha rimessi. C’è una persona brava, come Antonella Giglio all’Ama? Viene mandata via senza motivo, anzi, col motivo strisciante che sarebbe amica della Muraro: detto dalla Montanari, che arriva a Grillo dalla giunta di Delrio a Reggio Emilia». 

La Raggi dapprima legata alla destra, poi ha cercato tregua dai media appoggiandosi a qualche ex del mondo Pd? 
«La Raggi, scoperta la sua pratica da Previti, o le nomine legate al giro Panzironi, s’è rifugiata ripescando le terze file del Pd a Roma. Altra cosa contraria alle regole M5S. In passato gente è stata cacciata dal M5S per molto meno, come la povera Cecilia Petrassi, che era stata assistente, precaria, di Claudio Scajola». 

Le competenze come le sembrano, nella giunta e negli eletti capitolini M5S? 
«Ai contenuti hanno preferito imporre minigonne, slogan banali e incoerenti rispetto ai principi condivisi dalla base. Alle critiche rispondono con permaloso livore mirato a colpire esclusivamente la persona. Nel M5S un capogruppo che ha un diploma turistico alberghiero, Paolo Ferrara, attacca Cristina Grancio, un architetto, che critica con cognizione di causa le scelte di Raggi sullo stadio». 

È vero che Lombardi ha reso la vita ancora più difficile alla sindaca? 
«Io ci credo poco. Tutto questo odio tra le due l’ho visto poco, e ho lavorato per Roberta, e avuto ottimo rapporto con Virginia. Conservo ancora gli scritti di quando la futura sindaca mi rispondeva per messaggio “vedete di andare d’accordo, tu e Roberta, il Paese ha bisogno di voi”». 

Forse una lieve esagerazione, foriera di analoghe prove.

  • 4 weeks later...

L'Espresso

Che ci azzecca la cultura politica con i vaccini? Son tempi postmoderni (anzi, post-postmoderni) questi; un’era di nuove fratture che cambiano i contorni delle dicotomie tradizionali della politica otto-novecentesca. E sono i tempi del fiorire di prese di posizione politiche “no vax” - e dell’inaccettabile moltiplicarsi del personale sanitario infedele che, di nascosto, non vaccina i bambini.

Così, le campagne d’opinione e i movimenti antivaccini, nel corso degli ultimi anni, sono diventati attori della post-politica, riportando pure alla ribalta un tema tipico delle società complesse quale quello delle relazioni problematiche tra scienza e politica. E delle contestazioni che settori radicali di vario orientamento ideologico hanno mosso contro gli enunciati delle istituzioni scientifiche, a partire da quel preludio della postmodernità che fu il Sessantotto-pensiero con i suoi attacchi (ispirati anche all’anarchismo epistemologico) nei confronti della cosiddetta “scienza borghese”. In particolare in un Paese come l’Italia, che a livello diffuso non si è mai davvero sintonizzato con la scienza, per tutta una serie di pregiudizi o di anatemi culturali di lunghissimo periodo.

Da qualche anno a questa parte, la battaglia antivaccinica è così dilagata in maniera irresistibile, potendo contare anche sulla formidabile cassa di risonanza garantita dal web, e configurando una vera e propria lotta per l’egemonia (sottoculturale). L’antivaccinismo costituisce un fenomeno globale, con il quale flirtano bellamente parecchi leader e partiti populisti: un nome su tutti, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. E, in Italia, il Movimento 5 Stelle, per il quale la polemica anti-vaccini rappresenta un autentico elemento identitario e un’issue politica fondamentale; oltre che un fronte di guerra che lo vede contrapporsi duramente, anche in questa materia, al centrosinistra (e, in particolare alla Regione Emilia-Romagna del presidente Pd Stefano Bonaccini che è stata antesignana di questo tema).

Ad accomunare trumpismo, grillismo e antivaccinismo, del resto, ci ha pensato perfino il New York Times , che nella sua campagna anti-fake news e postverità, ha dedicato un editoriale a Populismo, politica e morbillo, constatando come negli ultimi anni il numero di bambini vaccinati in Italia risulti in costante riduzione (anche se, chiaramente, non ne attribuisce la responsabilità completa al M5S).

Per il grillismo - che dalle nostre parti si è fatto l’imprenditore politico per eccellenza di tale atteggiamento antiscientifico - l’antivaccinismo e, più in generale, la disinformazione nei riguardi della medicina “ufficiale” identificano una componente forte della propria ideologia debole e a geometrie variabili(ampiamente fondata sulla «retorica della democrazia della rete», come ha scritto, sin dall’inizio della cavalcata pentastellata, il politologo Michele Sorice). Nelle radici di quello che è diventato il più fortunato aggregatore partitico-organizzativo dei No-vax ci sono vari rivoli di ecologismo e un filone di antiscientismo che, mescolato con significative dosi di anticapitalismo, cospirazionismo e dietrologia (a cui parecchi militanti e simpatizzanti pentastellati indulgono con una certa frequenza), ha portato il leader-“megafono”-frontman Grillo a definire l’Aids alla stregua della maggiore «bufala del secolo» e alcuni dirigenti del partito-non partito a teorizzare la dannosità delle vaccinazioni, che servirebbero solamente a incrementare i profitti di Big Pharma e delle multinazionali farmaceutiche.

In questa visione No-vax agisce sicuramente l’influenza di un elemento “anarcolibertario” di rigetto dell’obbligatorietà - un tema che rimanda all’indubbia fascinazione per l’“ideologia californiana” (e per l’iper-individualismo USA) del cofondatore Gianroberto Casaleggio.

Nella prima fase del movimento pentastellato, quella più “di sinistra” e connotata dall’ambientalismo, le sezioni e le cellule di base coincidevano con i meet-up e con i gruppi degli “Amici di Beppe Grillo”, dai quali scaturivano spesso liste civiche che traducevano a livello di competizione elettorale amministrativa le battaglie ambientali locali (contro gli inceneritori o gli impianti inquinanti, e per l’acqua pubblica e le energie alternative).

Con lo spostamento del M5S su un piano sostanzialmente nazionale (estremamente verticistico e alla ricerca prevalente di un voto di opinione “anti-casta”), e con l’espulsione o l’allontanamento di numerosi esponenti di questo stadio pionieristico, i comitati e i movimenti No-vax, insieme a quelli No-Tav, si sono rivelati assai preziosi. E, nell’epoca della distruzione dei corpi intermedi e del rifiuto della mediazione fatta dagli esperti, che tanto contraddistingue il populismo, sono divenuti, al tempo stesso, delle importanti constituencies elettorali (e dei bacini di voti) e le cinghie di trasmissione di un nuovo collateralismo.

Viviamo ormai in quelle che alcuni studiosi chiamano “epistemo-democrazie” (oltre che postdemocrazie), dove a venire costantemente messi in discussione sono i fondamenti anche cognitivi su cui si erano costruiti il consenso diffuso e la convivenza comune in seno alle liberaldemocrazie. Ma la scienza dovrebbe rimanere esclusivamente un ambito di conflitto tra paradigmi epistemologici alternativi(come ha evidenziato il filosofo Thomas Kuhn), senza venire convertita in un’occasione di peloso scontro politico, né finire strumentalizzata a fini elettoralistici.

Edited by Rotwang
  • 1 month later...

Next Quotidiano

Per la Sicilia il MoVimento 5 Stelle ha pronto un programma in grado di portare il vento del cambiamento che spira a Roma fino agli angoli più remoti della Regione. Al momento quel programma però nessuno lo ha ancora potuto leggere. Il candidato Presidente del M5S, tra una foto subacquea e un lancio in paracadute di Di Maio e Di Battista, Giancarlo Cancelleri assicura che non sta vendendo sogni, ma solide realtà. Tra queste figurano per ora il taglio dei costi della politica siciliana, la promessa di abbassare le tasse e quella di istituire il reddito di cittadinanza per i siciliani.

Al momento la strategia dei 5 Stelle è quella di rivelare poco a poco il proprio programma durante le tappe del tour a tutta Sicilia con il quale il M5S sta presentando Cancelleri ai siciliani. Subito dopo l’annuncio della sua candidatura Cancelleri – che era stato il candidato anche nel 2012 – aveva promesso reddito di cittadinanza, abbassamento delle tasse regionali e finanziamento di borse di studio per giovani laureati con i tagli alla politica. Inoltre il candidato pentastellato aveva detto che la priorità sono “sanità, infrastrutture e imprese”. La Sicilia a 5 Stelle modernizzerà la rete ferroviaria e quella stradale. Qualche tempo dopo Cancelleri se ne è uscito con la difesa dell’abusivismo di necessità.

Perché la casa è un diritto, ha spiegato successivamente Luigi Di Maio, dicendo che quando andranno al governo del Paese faranno approvare una legge per l’impignorabilità della prima casa. Peccato che – come non ha mancato di rilevare Phastidio – “se la casa di abitazione fosse intangibile, le banche cesserebbero di erogare mutui, ed il mercato si fermerebbe d’istante e d’incanto”.

Ma sono dettagli che nel mondo a 5 Stelle non hanno molta importanza. Ed è un dettaglio di poco conto anche il fatto che gli alfieri della legalità senza se e senza ma ora si siano scoperti difensori degli abusi e degli illeciti. A fini meramente elettorali, ovviamente. Perché quello che conta per il M5S è andare al governo della Regione. Poi alla prova dei fatti potranno dare la colpa a chi li ha preceduti (e del resto in Sicilia c’è solo l’imbarazzo della scelta), chiedere comprensione perché “sono nuovi” e prendere tempo per “lasciarli lavorare”, e infine dire che miracoli non se ne fanno. Un copione già visto a Roma in questo primo anno di giunta Raggi. Ma per ora il problema dei 5 Stelle non è cosa faranno una volta al governo ma quello che stanno promettendo per andarci. Anche a costo di svendere i propri valori.

Ma soprattutto come tutti i partiti politici anche i pentastellati stanno promettendo mari e monti senza tenere conto della specificità della situazione siciliana e dell’estrema fragilità dei conti pubblici regionali. Non tutto quello che il M5S sta promettendo potrà essere finanziato con i tagli dei costi della politica; Vi ricordate di quando Frongia promise di trovare entro un anno 1,2 miliardi di euro tagliando gli sprechi dell’Amministrazione capitolina? Ed è tutto da valutare l’impatto – economico e occupazionale – di un’eventuale “Buona Tassa” per tassare gli introiti delle grandi aziende che inquinano per finanziare gli incentivi all’installazione di impianti fotovoltaici (a spese della Regione) sui tetti delle case dei meno abbienti. Non è chiaro se Cancelleri intende anche sui tetti degli abusivi per necessità.

Non c'è niente di meglio per valutare la bontà della proposta pentastellata che dare un’occhiata a come se la stanno cavando i sindaci del M5S eletti in Sicilia. In tutto sono otto: Alcamo, Augusta, Bagheria, Grammichele, Favara, Pietraperzia, Porto Empedocle e Ragusa. I sindaci a 5 Stelle sono stati chiamati dagli elettori a svolgere un compito arduo: non solo amministrare bene le città ma anche porre mano in maniera decisa a problemi decennali. Le attese però sono state presto deluse. A Bagheria non si può certo il sindaco Patrizio Cinque sia partito con il piede giusto. Qualche giorno fa il sindaco ha sposato con entusiasmo la nuova linea del MoVimento sugli abusi edilizi. Dimenticando però che nel febbraio 2016 l’assessore all’urbanistica era stato costretto a dimettersi dopo che le Iene avevano rivelato che la sua abitazione era abusiva. Successivamente venne fuori che anche la casa dei genitori di Cinque non era in regola.

Cinque riuscì a uscire indenne dalla tempesta sulle case abusive, salvo dover poi affrontare quello più delicato della raccolta dei rifiuti. Per arrivare al fatto che per due anni e mezzo il Comune non è riuscito a far approvare il bilancio vedendosi costretto a congelare gli stipendi dei dipendenti pubblici accusandoli di “non lavorare abbastanza”. Anche a Favara – governata dalla sindaca Anna Alba – è ancora stato approvato il bilancio. La sindaca nel novembre 2016 ha anche dichiarato lo stato di dissesto seguendo la linea della collega di partito di Porto Empedocle Ida Carmina. Alcamo soffre invece di una perenne crisi idrica, che il sindaco Domenico Surdi ha provato a risolvere attingendo l’acqua dai pozzi privati e finendo sotto inchiesta per abuso d’ufficio. A Ragusa il sindaco Federico Piccitto e la sua giunta hanno deciso nel 2015 di farsi riconoscere, dal mese di maggio, un ritocco dello stipendio sotto forma di adeguamento Istat. Un incremento “a posteriori”: gli amministratori ragusani si sono garantiti tutti gli arretrati a partire dal 2013. Ovvero da quando sono in carica, per un totale di 35.557,90 euro. Sempre a Ragusa è esploso il caso della consigliera Gianna Sigona, che ha esaltato il fascismo su Facebook annunciando orgogliosamente di non voler festeggiare il 25 aprile. Fino a fine 2015 il M5S governava anche Gela ma il sindaco Domenico Messinese è stato espulso. Il dato che emerge è che la rivoluzione promessa dal MoVimento tarda ad arrivare e che governare i comuni siciliani si sta rivelando un’impresa più difficile del previsto. Onestà e trasparenza non sono sufficienti e il M5S dovrà trovare un’altra formula se davvero ha intenzione di cambiare la Sicilia.

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