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Per fortuna o purtroppo lo sono, ovvero sul nazionalismo da tre soldi


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Accanto alle richieste sempre più pressanti di sovranità (qualunque cosa significhi) sto notando un sempre montante nazionalismo. 

Accanto ai luoghi comuni a ogni nazionalismo (il nemico, la celebrazione dei passati fasti, la superiorità intrinseca) penso che quello italiano, in questo preciso momento, abbia delle sue peculiarità:

  • Una certa confusione su quale sia il passato da dovere  incensare: il mondo romano? L'età delle signorie? Il ventennio e le sue imprese? Gli anni del boom? I ruggenti anni '80?
  • La mitizzazione  degli anni '80 come ultimo periodo aureo della nostra storia.
  • Una incessante ricerca, con esiti paradossali, di segni di rinascita economica e culturale.
  • Il basare la nostra supposta superiorità nazionale su una valorizzazione del passato e del territorio che in realtà non avviene.

Ho buttato giù questa lista alla buona perchè non ho troppo tempo. Se vi interessa discuterne oggi pomeriggio chiarirò meglio i vari punti.

LocoEmotivo

Di un nazionalismo becero, mi permetto di correggerti.
Di un nazionalismo infantile, che non ti spinge a pensare "Facciamo di più, facciamo meglio" ma ti invita a puntare i piedi, a fare i capricci, a non prendere fiato finché gli altri non fanno quel che vuoi tu (o finché non ti prendono a ceffoni).
Sembra il nazionalismo in saldo di chi non ha piani né idee per creare consenso e allora ti mette paura, fa leva sui bei tempi andati, ti spinge a tenere d'occhio sempre "l'altro".
Questo delizioso clima da "con noi o contro di noi" viene alimentato in ogni contesto, anche perché la bassa retorica funziona meglio del prezzemolo.
E poi c'è il gusto del complottismo, la faccia "buona" di una medaglia che sull'altro verso reca il vittimismo: se stiamo così è colpa dell'Europa, dei migranti, di Soros, dei massoni, dei savi di Sion...

Guai a far notare che i nostri problemi li alimentiamo noi stessi.
Guai a far notare che abbiamo un livello di corruzione che sbriciola il nostro PIL.
Guai a far notare che, se abbiamo una malavita tanto organizzata da essere quasi considerata uno Stato nello Stato, forse è anche colpa della nostra omertà.
Guai a far notare che alcuni dei partiti a cavallo di questa pericolosissima tigre hanno  delle gestioni economiche poco chiare o conclamatamente spericolate.
Guai a far notare che non siamo un Paese in grado di reggersi in piedi da solo.
Guai a far notare che alcuni progetti di ritorno ad una moneta nazionale sono folli, basati sull'emissione di altro debito pubblico che non si può garantire.

Però sono tutti orgogliosi di essere italiani.
Anche se vanno alle urne per eleggere il premier.
Anche se sono tutti esperti costituzionalisti e parlano di impeachment senza saperlo scrivere.
Anche se si indignano con i giudici che applicano sentenze a loro poco gradite ma perfettamente in linea con l'ordinamento giuridico.
Anche se non si rifanno a "Io non mi sento italiano" ma a "Il conformista".

Hinzelmann

Ovviamente non si celebra nessuna Italia mitica di un lontano passato, questa è una retorica risorgimentale da Mazzini a Mussolini, che ha continuato ad avere un suo effetto per l'avvento del fascismo anche nel ventennio 1922-1942, ma oggi farebbe ridere.

L'Italia ha avuto uno suo Periodo dell'Oro, un periodo cioè in cui al netto di due guerre mondiali, del fascismo e del nazionalismo è cresciuta in modo continuativo

Questo periodo va dal 1890 al 1990, con una fase di sviluppo marcato e accelerato che finisce convenzionalmente nel 1973 con la crisi petrolifera ed una seconda fase 1973-1990 in cui la crescita è stata sorretta da politiche espansive e crescita del debito per la costruzione di un sistema di welfare molto generoso ( su cui ha influito il fatto che fu costruito sotto la pressione politica del più grande partito comunista d'occidente che insidiava il primato della DC )

Il Nazionalismo va ascritto alla voce perdite : produsse imprese coloniali a totale rimessa finanziaria, favorì una partecipazione al primo conflitto mondiale quando la questione di Trieste e Gorizia poteva risolversi per via politica ( anche se non fu un nazionalismo solo Italiano, c'era anche il nazionalismo austriaco assai poco incline a concessioni dall'altra parte ) in ultima analisi creò il presupposto per il Fascismo ed una sconfitta nel secondo conflitto

Eppure - nonostante il nazionalismo - il paese con delle "botte di arresto" non è mai declinato ed anche la tragica sconfitta del 1943 ha innescato un boom economico. Il paradosso è che nonostante gli effetti nefasti del nazionalismo, il paese trovò le forza per rialzarsi.

Oggi che viviamo in un periodo di declino economico 1990-2018 oramai quasi trentennale, in cui si sono alternati periodi di stagnazione a periodi di recessione e possiamo dire che le giovani generazioni NON hanno MAI vissuto un periodo di espansione economica, per poter ricordare gli anni '80 con dei ricordi da giovani adulti bisogna avere quasi 60 anni.

Siamo al limite della storicizzazione del periodo e ovviamente sotto l'incudine di una situazione negativa, quella attuale, da cui non sappiamo come uscire

Io ho scritto che come nel 1861 ( unità d'Italia ) impiegammo 30 anni per vedere dei benefici del processo di integrazione nazionale, dobbiamo sperare che  i benefici del processo di integrazione europea arriveranno, magari un po' prima del 2030...tuttavia non è che la storia sia destinata a ripetersi, sono discorsi autoconsolatori.

1 hour ago, LocoEmotivo said:

Sembra il nazionalismo in saldo di chi non ha piani né idee per creare consenso e allora ti mette paura, fa leva sui bei tempi andati, ti spinge a tenere d'occhio sempre "l'altro".
Questo delizioso clima da "con noi o contro di noi" viene alimentato in ogni contesto, anche perché la bassa retorica funziona meglio del prezzemolo.
 E poi c'è il gusto del complottismo, la faccia "buona" di una medaglia che sull'altro verso reca il vittimismo: se stiamo così è colpa dell'Europa, dei migranti, di Soros, dei massoni, dei savi di Sion...

Guai a far notare che i nostri problemi li alimentiamo noi stessi.
 Guai a far notare che abbiamo un livello di corruzione che sbriciola il nostro PIL.
Guai a far notare che, se abbiamo una malavita tanto organizzata da essere quasi considerata uno Stato nello Stato, forse è anche colpa della nostra omertà.
Guai a far notare che alcuni dei partiti a cavallo di questa pericolosissima tigre hanno  delle gestioni economiche poco chiare o conclamatamente spericolate.
Guai a far notare che non siamo un Paese in grado di reggersi in piedi da solo.
Guai a far notare che alcuni progetti di ritorno ad una moneta nazionale sono folli, basati sull'emissione di altro debito pubblico che non si può garantire.

Però sono tutti orgogliosi di essere italiani.
Anche se vanno alle urne per eleggere il premier.
Anche se sono tutti esperti costituzionalisti e parlano di impeachment senza saperlo scrivere.
Anche se si indignano con i giudici che applicano sentenze a loro poco gradite ma perfettamente in linea con l'ordinamento giuridico.
Anche se non si rifanno a "Io non mi sento italiano" ma a "Il conformista

this

e però, se proprio volevi citare Gaber, era più adatta questa

I tempi migliori non sono mai esistiti, se non per neofascisti, radical chic fan del '68 drogato e inconcludente ed ex-yuppie ed ex-paninari ignoranti nostalgici degli anni '80.

Voglio parlare di quest'ultimo periodo.

Gli anni '80 furono un decennio di prosperità e rapidi mutamenti. Nuovi modelli di consumo si imposero nelle case degli italiani e ne aumentarono gli standard di benessere; i risparmi delle famiglie crebbero come mai prima di allora. L'economia attuò il processo di terziarizzazione con successo. Le donne conquistarono livelli di libertà e di occupazione maggiori rispetto al passato. Crebbero l'individualismo, l'associazionismo e così pure il grado d'istruzione della gente. Per la prima volta nella storia della Repubblica prese corpo una società civile variegata e pluralista.

Queste linee di tendenza non portarono però all'affermazione di nuovi progetti collettivi. La modernità italiana aveva una facciata scintillante, tutta moda, viaggi e telecomunicazioni, ma un cuore antico, dominato dall'attaccamento alla famiglia, dalle gerarchie clientelari, dalla corruzione dilagante. La classe operaia organizzata, che ancora nel 1975 Berlinguer vide come portatrice di nuovi valori, futura classe dirigente, subì un irrimediabile declino, anche per la scomparsa del leader comunista di levatura internazionale, capace di guidarla nel decennio fosco. Ai giovani non vennero offerti nuovi punti di riferimento o prospettive diverse. La grande borghesia, che attraversava un momento di rapida espansione, non sembrava capace di offrire molti altri messaggi al di là dell'antico grido di battaglia "Arricchitevi".

I cambiamenti nella sfera pubblica riflettevano e amplificavano questi fallimenti. Lo Stato non svolgeva una funzione pedagogica, la mancanza di investimenti e di riforme delle scuola secondaria e università non facilitarono questa situazione. La presidenza della Repubblica di Sandro Pertini e la crescente affermazione di minoranze virtuose in ogni istituzione dello Stato furono alcune eccezioni in questo panorama inquietante. Tra i vari corpi statali, fu la magistratura quella che vide la presenza più attiva di queste coraggiose minoranze. I giudici vennero chiamati costantemente a giocare un ruolo di primo piano per la debolezza di questi piccoli gruppi negli apparati pubblici; una debolezza più che mai evidente nella classe politica dove i quadri dei partiti di governo offrivano un panorama piuttosto squallido. Sul finire del decennio vi erano un debito pubblico in costante aumento, un'opposizione stanca e povera di idee e una maggioranza decisa a spezzare l'autonomia della magistratura.

Questi anni furono caratterizzati dall'esplosione di una drammatica attività criminale (sì, compresa la P2). La cultura del clientelismo che aveva dominato tanta parte della politica meridionale fornì l'humus ideale per lo sviluppo delle organizzazioni criminali. Come ha affermato l'antropologa Amalia Signorelli, il clientelismo era "la socializzazione di massa all'illegalità". Lungo l'arco di anni dal dopoguerra alla fine del secolo, i padrini della politica del Mezzogiorno convogliarono le risorse pubbliche verso destinazioni scelte a propria discrezione, con lo scopo preciso di rafforzare il proprio potere e le clientele personali. I boss mafiosi non avevano certo motivo di opporsi a questa prassi. La malavita organizzata non diede quindi inizio a una guerra aperta contro lo Stato, ma un suo avvicinamento, con un approccio cauto e discreto di singoli politici. Il ceto dirigente dell'Italia repubblicana (non solo negli anni '80) poté contare su una disponibilità di risorse più ampia di qualsiasi élite nella storia unitaria. Dai grandi enti pubblici romani, alla nefanda giunta regionale siciliana, fino alle amministrazioni locali, le opportunità di arricchimento personale attendevano solo di essere colte. Come ha scritto il magistrato Luciano Violante, mettere le mani sui Comuni significava controllare il territorio, costruire in modo selvaggio, inquinare senza controllo, rapinare le risorse naturali e conseguire guadagni giganteschi. I pochi funzionari che tentarono di arginare la marea montante di illegalità venivano sguarniti di mezzi e difese.

Dopo il breve esperimento dei governi di solidarietà nazionale negli anni '70, la politica governativa tornò ad essere dominata dall'alleanza DC-PSI. Ma la coalizione non si fondava sulla fiducia reciproca o su un accordo programmatico; al contrario, era lacerata dal sospetto e da continui giochi di potere. Questo dato di fatto rese praticamente impossibile ogni piano strategico, comportò enormi sprechi di tempo e di energie in lotte intestine, producendo governi tutt'altro che stabili. La classe dirigente della Prima Repubblica era giunta al capolinea con la morte di Moro nel 1978.

Negli anni '40, '50 e '60 le attività sociali e culturali che travalicavano l'orizzonte familiare in Italia erano perlopiù organizzate da due grandi formazioni ideologiche: la Chiesa cattolica e il Partito Comunista. Queste due organizzazioni di massa non si limitavano ad aggregare minoranze istruite, ma coinvolgevano ampi strati delle classi popolari. Negli anni '80, dopo l'epoca delle azioni collettive (1968-1977), il quadro era completamente cambiato. Tanto la Chiesa quanto i comunisti avevano perso gran parte della loro capacità di organizzare attività di massa in modo sistematico. Mentre la Chiesa aveva ancora ruoli significativi nel volontariato ed era possibile parlare di religiosità diffusa anche se la partecipazione alle messe domenicali toccava livelli minimi, il Partito Comunista si trovava in cattive acque: vi fu il definitivo declino delle sue sezioni e dei luoghi di riunione concepiti come punto d'incontro tra strati popolari e classi diverse.  L'ideologia attenuò dunque la sua presa sulla società, con risultati anche positivi, come l'affermarsi di un nuovo pluralismo liberato dalle gerarchie ecclesiastiche e politiche, un nuovo localismo e la nascita di una società civile non legata ai partiti o alla Chiesa, ma fluida, auto-innovativa e imprevedibile. Quasi tutti gli influssi culturali, politici e religiosi che avevano permeato per decenni la storia repubblicana e prima, erano decisamente svaniti. Al loro posto c'era un grande vuoto. Milioni di famiglie italiane erano materialmente molto più ricche di quanto non fossero mai state, ma più povere culturalmente. Il loro coinvolgimento in attività associative era minimo. L'influsso culturale dominante nella loro vita era ormai esercitato dalla televisione.

Fu il decennio della prima immigrazione "extracomunitaria", cessando di essere un Paese esportatore di forza-lavoro e diventando meta migratoria. Prima la popolazione italiana era sempre stata per diversi motivi (culturali, linguistici, etnici, religiosi) straordinariamente omogenea, pertanto apparve molto conservatrice su questo tema, nonché del tutto impreparata e ostile a una nazione multietnica. La televisione italiana diffondeva nei Paesi vicini un autentico miraggio di ricchezza e fortuna, pura illusione anche perché non c'era più l'accesso al benessere immediato attraverso un lavoro stabile. Le prime reazioni degli italiani furono ostili e xenofobiche, ma la cosa scioccante fu la violenza simile a quella perpetrata proprio a danno degli emigranti italiani decenni prima in Europa e in America.

Inoltre nel 1983, un sondaggio ISTAT pubblicato su La Stampa rivelò che il 56% degli italiani di allora considerava una malattia l'omosessualità (trent'anni dopo scesero al 25%) e vedeva in modo peggiore prostituzione (65%) e film pornografici (60%) rispetto alle molestie sui bambini (57%). Solamente il 39% avrebbe accettato un figlio gay, a fronte del 25% che l'avrebbe sottoposto a "terapie riparative" e il 22% ci avrebbe troncato ogni rapporto. Il 33% era a favore dell'introduzione del reato di omosessualità e il 15% avrebbe voluto una legge per impedire l'assunzione di LGBT in certi posti di lavoro.

Quindi non vedo alcun motivo per avere nostalgia di un'epoca simile, come di nessun'altra, di ruggente c'era solo la mafia.

Edited by Rotwang
3 hours ago, Rotwang said:

I tempi migliori non sono mai esistiti, se non per neofascisti, radical chic fan del '68 drogato e inconcludente ed ex-yuppie ed ex-paninari ignoranti nostalgici degli anni '80.

Voglio parlare di quest'ultimo periodo.

Gli anni '80 furono un decennio di prosperità e rapidi mutamenti. Nuovi modelli di consumo si imposero nelle case degli italiani e ne aumentarono gli standard di benessere; i risparmi delle famiglie crebbero come mai prima di allora. L'economia attuò il processo di terziarizzazione con successo. Le donne conquistarono livelli di libertà e di occupazione maggiori rispetto al passato. Crebbero l'individualismo, l'associazionismo e così pure il grado d'istruzione della gente. Per la prima volta nella storia della Repubblica prese corpo una società civile variegata e pluralista.

Queste linee di tendenza non portarono però all'affermazione di nuovi progetti collettivi. La modernità italiana aveva una facciata scintillante, tutta moda, viaggi e telecomunicazioni, ma un cuore antico, dominato dall'attaccamento alla famiglia, dalle gerarchie clientelari, dalla corruzione dilagante. La classe operaia organizzata, che ancora nel 1975 Berlinguer vide come portatrice di nuovi valori, futura classe dirigente, subì un irrimediabile declino, anche per la scomparsa del leader comunista di levatura internazionale, capace di guidarla nel decennio fosco. Ai giovani non vennero offerti nuovi punti di riferimento o prospettive diverse. La grande borghesia, che attraversava un momento di rapida espansione, non sembrava capace di offrire molti altri messaggi al di là dell'antico grido di battaglia "Arricchitevi".

I cambiamenti nella sfera pubblica riflettevano e amplificavano questi fallimenti. Lo Stato non svolgeva una funzione pedagogica, la mancanza di investimenti e di riforme delle scuola secondaria e università non facilitarono questa situazione. La presidenza della Repubblica di Sandro Pertini e la crescente affermazione di minoranze virtuose in ogni istituzione dello Stato furono alcune eccezioni in questo panorama inquietante. Tra i vari corpi statali, fu la magistratura quella che vide la presenza più attiva di queste coraggiose minoranze. I giudici vennero chiamati costantemente a giocare un ruolo di primo piano per la debolezza di questi piccoli gruppi negli apparati pubblici; una debolezza più che mai evidente nella classe politica dove i quadri dei partiti di governo offrivano un panorama piuttosto squallido. Sul finire del decennio vi erano un debito pubblico in costante aumento, un'opposizione stanca e povera di idee e una maggioranza decisa a spezzare l'autonomia della magistratura.

Questi anni furono caratterizzati dall'esplosione di una drammatica attività criminale (sì, compresa la P2). La cultura del clientelismo che aveva dominato tanta parte della politica meridionale fornì l'humus ideale per lo sviluppo delle organizzazioni criminali. Come ha affermato l'antropologa Amalia Signorelli, il clientelismo era "la socializzazione di massa all'illegalità". Lungo l'arco di anni dal dopoguerra alla fine del secolo, i padrini della politica del Mezzogiorno convogliarono le risorse pubbliche verso destinazioni scelte a propria discrezione, con lo scopo preciso di rafforzare il proprio potere e le clientele personali. I boss mafiosi non avevano certo motivo di opporsi a questa prassi. La malavita organizzata non diede quindi inizio a una guerra aperta contro lo Stato, ma un suo avvicinamento, con un approccio cauto e discreto di singoli politici. Il ceto dirigente dell'Italia repubblicana (non solo negli anni '80) poté contare su una disponibilità di risorse più ampia di qualsiasi élite nella storia unitaria. Dai grandi enti pubblici romani, alla nefanda giunta regionale siciliana, fino alle amministrazioni locali, le opportunità di arricchimento personale attendevano solo di essere colte. Come ha scritto il magistrato Luciano Violante, mettere le mani sui Comuni significava controllare il territorio, costruire in modo selvaggio, inquinare senza controllo, rapinare le risorse naturali e conseguire guadagni giganteschi. I pochi funzionari che tentarono di arginare la marea montante di illegalità venivano sguarniti di mezzi e difese.

Dopo il breve esperimento dei governi di solidarietà nazionale negli anni '70, la politica governativa tornò ad essere dominata dall'alleanza DC-PSI. Ma la coalizione non si fondava sulla fiducia reciproca o su un accordo programmatico; al contrario, era lacerata dal sospetto e da continui giochi di potere. Questo dato di fatto rese praticamente impossibile ogni piano strategico, comportò enormi sprechi di tempo e di energie in lotte intestine, producendo governi tutt'altro che stabili. La classe dirigente della Prima Repubblica era giunta al capolinea con la morte di Moro nel 1978.

Negli anni '40, '50 e '60 le attività sociali e culturali che travalicavano l'orizzonte familiare in Italia erano perlopiù organizzate da due grandi formazioni ideologiche: la Chiesa cattolica e il Partito Comunista. Queste due organizzazioni di massa non si limitavano ad aggregare minoranze istruite, ma coinvolgevano ampi strati delle classi popolari. Negli anni '80, dopo l'epoca delle azioni collettive (1968-1977), il quadro era completamente cambiato. Tanto la Chiesa quanto i comunisti avevano perso gran parte della loro capacità di organizzare attività di massa in modo sistematico. Mentre la Chiesa aveva ancora ruoli significativi nel volontariato ed era possibile parlare di religiosità diffusa anche se la partecipazione alle messe domenicali toccava livelli minimi, il Partito Comunista si trovava in cattive acque: vi fu il definitivo declino delle sue sezioni e dei luoghi di riunione concepiti come punto d'incontro tra strati popolari e classi diverse.  L'ideologia attenuò dunque la sua presa sulla società, con risultati anche positivi, come l'affermarsi di un nuovo pluralismo liberato dalle gerarchie ecclesiastiche e politiche, un nuovo localismo e la nascita di una società civile non legata ai partiti o alla Chiesa, ma fluida, auto-innovativa e imprevedibile. Quasi tutti gli influssi culturali, politici e religiosi che avevano permeato per decenni la storia repubblicana e prima, erano decisamente svaniti. Al loro posto c'era un grande vuoto. Milioni di famiglie italiane erano materialmente molto più ricche di quanto non fossero mai state, ma più povere culturalmente. Il loro coinvolgimento in attività associative era minimo. L'influsso culturale dominante nella loro vita era ormai esercitato dalla televisione.

Fu il decennio della prima immigrazione "extracomunitaria", cessando di essere un Paese esportatore di forza-lavoro e diventando meta migratoria. Prima la popolazione italiana era sempre stata per diversi motivi (culturali, linguistici, etnici, religiosi) straordinariamente omogenea, pertanto apparve molto conservatrice su questo tema, nonché del tutto impreparata e ostile a una nazione multietnica. La televisione italiana diffondeva nei Paesi vicini un autentico miraggio di ricchezza e fortuna, pura illusione anche perché non c'era più l'accesso al benessere immediato attraverso un lavoro stabile. Le prime reazioni degli italiani furono ostili e xenofobiche, ma la cosa scioccante fu la violenza simile a quella perpetrata proprio a danno degli emigranti italiani decenni prima in Europa e in America.

Inoltre nel 1983, un sondaggio ISTAT pubblicato su La Stampa rivelò che il 56% degli italiani di allora considerava una malattia l'omosessualità (trent'anni dopo scesero al 25%) e vedeva in modo peggiore prostituzione (65%) e film pornografici (60%) rispetto alle molestie sui bambini (57%). Solamente il 39% avrebbe accettato un figlio gay, a fronte del 25% che l'avrebbe sottoposto a "terapie riparative" e il 22% ci avrebbe troncato ogni rapporto. Il 33% era a favore dell'introduzione del reato di omosessualità e il 15% avrebbe voluto una legge per impedire l'assunzione di LGBT in certi posti di lavoro.

Quindi non vedo alcun motivo per avere nostalgia di un'epoca simile, come di nessun'altra, di ruggente c'era solo la mafia.

tutto bello, tutto giusto, tutto condivisibile

ma magari citare autore & fonte de sto papiro poteva esse interessante, no?

2 hours ago, freedog said:

tutto bello, tutto giusto, tutto condivisibile

ma magari citare autore & fonte de sto papiro poteva esse interessante, no?

Sono io l'autore, stai parlando con un aspirante storico e lo sono.

Edited by Rotwang

cmq tocca pure considerà quanto ci sia di vero e di "costruito" ad arte algoritmica in questo abbaiamento sconclusionato.

piccola case history sul tema, attuale & molto istruttiva

http://www.lastampa.it/2018/05/30/italia/un-network-di-account-sospetti-ha-spinto-la-campagna-sui-social-contro-mattarella-Gq8Y0IKb3NeCFkIW6vi5jO/pagina.html  

Il neonazionalismo è semplicemente una reazione alla globalizzazione che ha avuto luogo dagli anni '90 con tutte le sue conseguenze: delocalizzazioni, massive migrazioni in Occidente, cessione di sovranità ad organismi sovranazionali, indebolimento delle frontiere, etc. 

Non è un caso che la classe operaia, gli "ultimi" della globalizzazione, oggi si rivolga ad esso. Trump ha vinto grazie al voto dei blue-collar degli stati del Midwest, elettori tradizionalmente di sinistra che però vedevano in lui una speranza di rivalsa per via della sua opposizione ai trattati di libero scambio e le delocalizzazioni, la cui conseguenza è stata una rapida deindustralizzazione che li ha impoveriti. 

O si capisce questo e si agisce di conseguenza, o non si arriverà mai ad una soluzione. A nulla serve lamentarsi del "popolino ignorante" con fare elitario, è anzi solo controproducente. 

Edited by Uncanny
3 hours ago, FreakyFred said:

Un mio amico intelligente e bello e single ha scritto un articolo proprio su questo un po' di tempo fa. 

Sono le motivazione che uso per spiegar(mi) per quale motivo

siano così frequenti le leader di estrema destra in Europa.

Il fascismo di oggi non mira a conquistare l'Africa e farne schiave le "faccette nere",

ma al contrario teme che i "negroni" stuprino le candide europee.

Il fascismo insomma si è - anche per effetto del suffragio universale - "femminilizzato".

Un tempo gli omosessuali andavano "convertiti" per avere nuovi soldati,

oggi vanno biasimati (sempre solo i maschi) perché i bambini hanno bisogno della mamma.

13 hours ago, Hinzelmann said:

Oggi che viviamo in un periodo di declino economico 1990-2018 oramai quasi trentennale, in cui si sono alternati periodi di stagnazione a periodi di recessione e possiamo dire che le giovani generazioni NON hanno MAI vissuto un periodo di espansione economica, per poter ricordare gli anni '80 con dei ricordi da giovani adulti bisogna avere quasi 60 anni.

Già; credo che la generazione dei miei genitori sia stata quella davvero fortunata...incidentalmente e fortuitamente, la vera eccezione è stata la loro.

Non credo che il punto sia il nazionalismo, né che le ideologie siano volani economici; dagli anni 90 in poi, a mercato interno "saturo", probabilmente l'Italia non ha saputo mantenere il passo, da paese manifatturiero ha iniziato a patire le politiche di globalizzazione, non potendo/non riuscendo ad offrire sufficiente valore aggiunto ai suoi prodotti e ai suoi servizi s'è fatta meno attrattiva e di qui la stagnazione.

Nessuno riflette mai a sufficienza su quanto sia granulare il nostro tessuto produttivo, non si è saputa valorizzare dal punto di vista economico la "specificità Italia", e a molti livelli manca un'adeguata cultura finanziaria; in linea di principio non è, a mio avviso, "scorretto" prendersela collo strapotere di questa o quell'agenzia di rating, o con le ingerenze tedesche...piuttosto, da Paese del Primo Mondo quale siamo, ci si sarebbe aspettato in anni passati maggior capacità incisiva da parte dei nostri governanti - al tavolo europeo - per cavare un po' di profitto per noi dalle politiche comunitarie.

Poi, che dire...abbiamo uno dei sistemi sanitari più generosi al mondo (magari non il più efficiente), e checché se ne dica, un'ottima istruzione pubblica (ok, pochi laureati, ma pure pochi corsi di laurea in saldo).

14 hours ago, LocoEmotivo said:

Di un nazionalismo infantile, che non ti spinge a pensare "Facciamo di più, facciamo meglio" ma ti invita a puntare i piedi, a fare i capricci, a non prendere fiato finché gli altri non fanno quel che vuoi tu (o finché non ti prendono a ceffoni).

No no no...in tanti vorremmo far di più e far meglio, ma la laboriosità non è sufficiente se manca il big picture.

10 hours ago, Rotwang said:

Quindi non vedo alcun motivo per avere nostalgia di un'epoca simile, come di nessun'altra, di ruggente c'era solo la mafia.

Mi pare un giudizio fondato ma un po' parziale; io probabilmente ho un'immagine edulcorata dell'Italia, sarà che in altri Stati non ho mai vissuto...

Hinzelmann
11 hours ago, schopy said:

Non credo che il punto sia il nazionalismo, né che le ideologie siano volani economici

Il volano economico a partire dagli anni '90 se parliamo in termini ideologici sarebbe il mercatismo liberale della globalizzazione

Il punto è che negli anni '90 a questa idea corrispondeva una realtà sociale in cui il sistema distribuiva ai risparmiatori discrete rendite finanziarie, che me ne frega a me se chiude la manifattura in Italia, nel momento in cui il suo trasferimento all'estero determina un rialzo dei titoli ed un mio guadagno. Se esiste un problema questo problema sarà dell'operaio licenziato, non è il mio problema. E se qualcuno pensasse di farmi la morale...gli posso pure dire che grazie a me c'è un operaio romeno o cinese, che sta meglio. Per di più se il sistema tiene a bada salari, domanda interna e prezzi, la mia rendita vale di più ed io mi sento più ricco.

16 hours ago, Rotwang said:

Sono io l'autore, stai parlando con un aspirante storico e lo sono.

Molte volta non sembra, quindi ogni dubbio è sempre lecito.

On 5/30/2018 at 9:37 AM, Hinzelmann said:

Ovviamente non si celebra nessuna Italia mitica di un lontano passato, questa è una retorica risorgimentale da Mazzini a Mussolini, che ha continuato ad avere un suo effetto per l'avvento del fascismo anche nel ventennio 1922-1942, ma oggi farebbe ridere.

Io invece trovo che la celebrazione sia ai massimi livelli, anche se disorganizzata. Dappertutto mi ritrovo a leggere sproloqui sull'eccezionalità della nostra cultura, sull'intrinseca superiorità del nostro patrimonio artistico e sulla bellezza assoluta dei nostri paesaggi. Dappertutto vedo una trattazione becera di questi argomenti, propugnati senza la minima consapevolezza. 

21 hours ago, Zafkiel said:

Blood hai preso spunto dalla chat di ieri sera? ??

Non solo da quel piccolo scambio di battute, ma anche da altri simili a cui ho preso parte la mattina dopo in università.

13 hours ago, Uncanny said:

O si capisce questo e si agisce di conseguenza, o non si arriverà mai ad una soluzione. A nulla serve lamentarsi del "popolino ignorante" con fare elitario, è anzi solo controproducente. 

Cosa vuol dire agire di conseguenza? Una soluzione pensi ci sia? 

Edited by Bloodstar
Hinzelmann
3 minutes ago, Bloodstar said:

Io invece trovo che la celebrazione sia ai massimi livelli.

Non è che Mazzini e Mussolini si limitassero a dire che l'Italia è il "Bel Paese"

Era il mito della terza Roma, un nazionalismo messianico attribuito all'Italia

Quindi forse parliamo di due cose diverse, il "bel paese la dove il sì sona" è una allocuzione consolatoria che trova fondamento nell'Italia come mera espressione geografica, l'Italia non è una nazione è un "paese" ma almeno è un paese Bello, ricco di storia di paesaggi, di cultura etc

Questo meccanismo compensativo è sempre esistito dai tempi di Dante e Petrarca, fino alla catastrofe nazionale del 1943 e quindi riproposto dalla Democrazia Cristiana nel dopoguerra e corrisponde anche allo stereotipo degli stranieri su di noi.

Quindi quando risalta fuori significa che in realtà attraversiamo un periodo di crisi nera

1 hour ago, Bloodstar said:

Non solo da quel piccolo scambio di battute, ma anche da altri simili a cui ho preso parte la mattina dopo in università.

credo sia normale ciò in vista di ciò che sta accadendo... qualsiasi stato nella nostra situazione (salvo Germania) invocherebbe il nazionalismo :sisi: come  forma di ribellione verso gli stati sovrani che ci vorrebbero con il capo chinato.

un tempo c'erano le guerre oggi solo miliardi di persone :sisi:

Edited by Zafkiel
1 hour ago, Bloodstar said:

Cosa vuol dire agire di conseguenza? Una soluzione pensi ci sia? 

Vuol dire cercare di correggere gli effetti negativi della globalizzazione, cosa che non so se possa essere totalmente efficace e quindi risolutiva, ma che comunque sarebbe già qualcosa. Sicuramente la soluzione non è tornare ai modelli del passato, che in un mondo globalizzato come quello attuale sarebbero inefficaci, come vorrebbero i neonazionalisti. 

Quindi la direzione da seguire dovrebbe consistere nel democratizzare gli organismi sovranazionali a cui si è ceduta sovranità in modo che non si riducano a gruppi di oligarchi che fanno il buono e il cattivo tempo. Mi riferisco in questo caso in particolare all'UE, che dovrebbe anche integrarsi maggiormente e diventare un'unione politica e non solo monetaria. 

Bisognerebbe implementare rigide normative anti-dumping e anti-elusione, in modo da limitare in particolare l'azione delle multinazionali che fanno un po' quello che vogliono.

I trattati di libero scambio non sono necessariamente negativi, ma vanno formulati con criterio in modo da tutelare le specificità nazionali. 

L'immigrazione dovrebbe essere governata e regolata in base alle esigenze del mercato del lavoro. L'immigrazione massiva e senza regole come avvenuta negli ultimi decenni oltre a essere causa di conflitti sociali e culturali ha anche portato dumping salariale. 

Per quanto riguarda il mercato del lavoro, in un sistema globalizzato che necessita di flessibilità, ritengo ottimale un sistema di flexicurity come quello che sta alla base delle socialdemocrazie scandinave. 

Queste sono solo le prime soluzioni che mi vengono in mente, ovviamente non sono esaustive. 

Edited by Uncanny
12 minutes ago, Zafkiel said:

come  forma di ribellione verso gli stati sovrani che ci vorrebbero con il capo chinato.

un tempo c'erano le guerre oggi solo miliardi di persone :sisi:

Ma ti rendi conto di quello che dici? Vorresti risolvere il problema  "[de]gli stati sovrani che ci vorrebbero con il capo chinato" creando un nuovo stato sovrano che, necessariamente, opprimerebbe altri stati che a loro volta rivendicherebbero la sovranità. 

Sorvolerò sulle tue proposte igieniste. 

Hinzelmann

Non è che l'oppressione consegua necessariamente al Nazionalismo

L'URSS era Internazionalista, a parole, ma di fatto occupava militarmente mezza Europa

L'unico paese al mondo a cui è consentito in questo momento di teorizzare il perseguimento del proprio interesse nazionale sono gli USA, che hanno vinto la guerra fredda, anche loro però lo scrivono nei loro documenti ufficiali ( le famigerate "dottrine" di politica estera ) salvo poi dissimularlo nella pratica per garantirsi il consenso dell'opinione pubblica internazionale.

8 hours ago, Hinzelmann said:

Se esiste un problema questo problema sarà dell'operaio licenziato, non è il mio problema. E se qualcuno pensasse di farmi la morale...gli posso pure dire che grazie a me c'è un operaio romeno o cinese, che sta meglio. 

Bah io provengo da una regione discretamente ricca e ottusa, ma non è che vent'anni fa qui tutti la pensassero proprio così...

6 hours ago, Uncanny said:

Per quanto riguarda il mercato del lavoro, in un sistema globalizzato che necessita di flessibilità, ritengo ottimale un sistema di flexicurity come quello che sta alla base delle socialdemocrazie scandinave. 

E' più semplice organizzarsi quando si è in così pochi...non cerco scappatoie, credo solo qui sia più complesso.

6 hours ago, Uncanny said:

Vuol dire cercare di correggere gli effetti negativi della globalizzazione, cosa che non so se possa essere totalmente efficace e quindi risolutiva, ma che comunque sarebbe già qualcosa. Sicuramente la soluzione non è tornare ai modelli del passato, che in un mondo globalizzato come quello attuale sarebbero inefficaci, come vorrebbero i neonazionalisti. 

Non tutti gli effetti negativi della globalizzazione "per noi" erano evidenti allora, non tutti sono evidenti ora...io son già rassegnato, tra vent'anni avrò un datore di lavoro indiano o cinese che maltollererà il mio pressapochismo italiota. Cent'anni fa la vita era più facile per pochi, e credo occorra una certa onestà intellettuale per accettar l'idea che sì, a molti di noi -di certo a me- non sarebbe dispiaciuto far parte di quei pochi. 

6 hours ago, Zafkiel said:

un tempo c'erano le guerre oggi solo miliardi di persone :sisi:

Questa è agghiacciante ?

Edited by schopy
Hinzelmann

Guardate che venti anni fa non c'era Salvini, c'era Bossi il quale sosteneva che il problema del Veneto erano rispettivamente Roma Ladrona e lo stato nazionale.

Forse si era esaurita la spinta Secessionista della Lega, cioè l'idea di Germanificare il Nord lasciando il Sud alle mafie ( Miglio ) certamente la Lega non era un partito ancora nazionalista

L'unico tratto di continuità è l'ostilità per l'immigrato, che è stata la chiave di accesso della lega al voto operaio e popolare ( per la concorrenza nell'offerta del lavoro e la compressione salariale ) tuttavia la borghesia del Nord era Berlusconiana e globalista

  • 2 weeks later...

l'Italia è una penisola dalla geografia complessa e posta in un crocevia di civiltà fin dall'antichità

bastano questi elementi base a far capire che noi siamo italiani più per il fatto che siamo nati in un questo territorio così complesso, nonché pregno di storia per via della sua collocazione geografica 

tutta  questa complessità comporta un'infinità di problemi, contraddizioni e ricchezze che si riflettono sulla mentalità dell'insieme di genereazioni d'individui che si perpetuano in questo territorio da millenni 

applicarvi valori di nazionalità, unità popolare, senso civico, patriottismo (concetti giunti a maturazione solo nel corso del XIX sec) è problematico quanto ideare un romanzo anagrammando tutte le lettere di un altro romanzo già esistente   

Edited by Catilina
LocoEmotivo
7 hours ago, Catilina said:

applicarvi valori di nazionalità, unità popolare, senso civico, patriottismo (concetti giunti a maturazione solo nel corso del XIX sec) è problematico quanto ideare un romanzo anagrammando tutte le lettere di un altro romanzo già esistente   

E forse molto, molto più stupido.

11 hours ago, Catilina said:

crocevia di civiltà

un discorso che pretende di spiegare gli ultimi 50 anni partendo dall'antichità nasce sbagliato, polveroso e reazionario

la rivoluzione industriale (le rivoluzioni industriali, compresa quella che stiamo vivendo) ci mostra chiaramente che secoli di storia possono essere cancellati con estrema facilità, basta averne i mezzi

altrimenti si fa un discorso alla pasolini, che piangeva per la morte del mondo contadino invece che rallegrarsi per quello che la costituzione definisce "rimozione degli ostacoli sociali ed economici che impediscono il pieno sviluppo della persona umana"

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