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Cambogia, gestazione per altri: 33 donne incriminate


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Corriere della Sera

Rischiano tra i sette e i 15 anni di prigione. Sono 33 le donne – alcune in stato di gravidanza avanzato e tutte tra i 20 e i 30 anni – incriminate venerdì in Cambogia per human trafficking e sfruttamento sessuale. Le manette sono scattate due in un’operazione tesa a smantellare una rete clandestina di maternità surrogata gestita dai cinesi.

Secondo Keo Thea, il capo dell’unità investigativa anti-traffico, le donne erano state reclutate da una rete di 5 persone con la promessa di 10 mila dollari a parto divise in rate mensili da 300 dollari e un acconto di 500 dollari versato al momento del concepimento, cifre enorme per gli standard cambogiani. Il «piano» prevedeva poi che alcune avrebbero partorito in Cambogia, altre direttamente in Cina.

A rischiare il carcere, oltre gli intermediari, ora sono anche le madri. «Vedremo cosa deciderà la corte. Ma non permetteremo certo loro di abortire per cancellare le prove», aveva dichiarato al Pnom Penh Post Chou Bun Eng, vicepresidente permanente del Comitato nazionale per la lotta alla tratta prima della loro incriminazione.

La questione – delicatissima – della maternità surrogata in Paesi via di sviluppo non è nuova. Nel luglio dello scorso anno, un tribunale cambogiano ha condannato una donna australiana e due soci cambogiani a un anno e mezzo di prigione per aver fornito servizi di maternità surrogata. Ma ora queste nuove incriminazioni riportano a galla il tema. La Thailandia, su modello di quanto accaduto in India e in Nepal ha messo al bando questa pratica per fini commerciali nel 2015 e l’anno successivo lo stesso ha fatto la Cambogia, dove diverse cliniche thailandesi avevano trasferito il loro business.

Sam Everingham, fondatore di Families Through Surrogacy, un’organizzazione no-profit con sede in Australia che fornisce consulenza e supporto a persone in cerca di accordi di maternità surrogata, ha spiegato al New York Times come la richiesta dalla Cina sia particolarmente alta a causa degli alti tassi di sterilità in Cina e per la politica del figlio unico.

A favorire questi traffici anche la mancanza di normative chiare e anche laddove ci siano delle leggi che vietano gli accordi, l’ostacolo viene aggirato facendo partorire la madre surrogata all’estero. In Cambogia, ad esempio, pur essendo la pratica vietata, non esiste ancora il reato specifico di sfruttamento di maternità surrogata, dunque sia le madri che gli intermediari vengono giudicati sulla base delll’articolo 332 del codice penale che punisce lo human trafficking.

Molti poi i casi di donne che vengono attirate in questo tipo di traffico con la possibilità di guadagnare soldi affittando il loro utero e che poi vengono truffate. Non mancano infine – secondo quanto riportano sia il New York Times che il Phnom Penh Post - casi di bambini che essendo nati con malattie o malformazioni vengono di fatto “abbandonati” al loro destino.

Cosa ne pensate? Si può scindere un "utero in affitto" nei paesi del Terzo mondo da una GPA controllata in Occidente?

On 7/8/2018 at 12:00 PM, Rotwang said:

«Vedremo cosa deciderà la corte. Ma non permetteremo certo loro di abortire per cancellare le prove»

Basterebbe un test di gravidanza per accertare lo status della madre e semmai il buon senso consiglierebbe di arrestarle per un vero o presunto pericolo di fuga

Comunque se può avere un senso - in astratto - l'idea di vietare l'aborto e trattare il feto abortito come corpo del reato da sequestrare, mi risulta un po' difficile immaginare il sequestro preventivo di un feto al fine di evitare l'aborto e produrre quindi un corpo di reato ( il prodotto del parto ) che è però una volta nato, corpo del reato vivente.

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