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Incomunicabilità


Beppe_89

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Ciao raga,

visto che sono qua apro una discussione a cui stavo pensando in realtà da qualche tempo. 

Man mano che passano gli anni mi sto rendendo sempre più conto di quando sia difficile "comunicare se stessi" agli altri. 

Ossia far capire agli altri come siamo fatti e chi siamo, i vissuti che ci hanno cambiato e ci hanno portato in determinate situazioni, a fare determinate scelte ecc. 

Potrebbe essere una riflessione generale in relazione a tutti i rapporti interpersonali ma qui vorrei focalizzarla nell'ambito delle relazioni affettive.

Per forza di cose non si può mai inondare la persona con cui stiamo avendo una relazione con un resoconto dei nostri 20, 25, 30, 40 anni di vita.. non avrebbe senso e non sarebbe costruttivo...oltre a diventare in un certo senso anche "vincolante" perché ci impedirebbe di sviluppare lati di noi stessi che non siano coerenti con il nostro vissuto o con l'immagine di noi stessi che abbiamo dato mettendo a nudo la montagna di esperienze pregresse su cui camminiamo. 

Ciò che può aiutare è un certo senso di esperienze comuni "date per scontate", ossia si tende a pensare che più o meno tutti abbiamo fatto determinate cose in determinate fasi della nostra vita e lì finisce... si parte da una base comune e poi si costruisce da zero il rapporto, si fanno esperienze insieme ecc

Non credo che sia un metodo valido però e non riesco a focalizzare la questione al punto dal renderla maneggiabile. 

So di essere un po' vago però se avete qualche spunto da condividere posso entrare in dettagli più personali anche per capirci meglio. 

Edited by Beppe_89
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1 hour ago, Beppe_89 said:

si costruisce da zero il rapporto

I rapporti non si costruiscono partendo da zero, ma certo partendo da una conoscenza superficiale ed intuitiva di come una persona è.

Per questo serve ad un certo punto una forma di "impegno", che è anche una disponibilità ad approfondire la conoscenza reciproca.

L'affetto, se parliamo di relazioni affettive, può essere pregiudicato dalla conoscenza di qualche aspetto talmente rilevante da far crollare l'immagine che si ha di una persona, ma in larga parte si tratta anche di intuire in quale misura il tuo partner si sia formato una immagine totalmente idealizzata di te ( problema che si tende a superare naturalmente con l'età ma a volte tende a persistere fino ai 35 anni ) e di accompagnare la reciproca conoscenza a comportamenti positivi ( se io vedo che ti comporti in un modo che mi piace sarò più disponibile a conoscere aspetti di te e del tuo passato che potrebbero non piacermi )

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Ecco però questa conoscenza reciproca quanto mai potrà essere completa?

Mai

Per quello parlo di incomunicabilità.

Gli essere umani possono mai "spiegarsi" reciprocamente?

Per me no.

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La persona con cui hai una relazione deve conoscerti per come sei ora, non per come eri 10 anni prima di conoscervi.

l'importante e' come sei tu ora e come e' la vostra relazione ora, non come eri in passato e come erano le tue relazioni passate.

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39 minutes ago, Beppe_89 said:

Ecco però questa conoscenza reciproca quanto mai potrà essere completa?
Mai
Per quello parlo di incomunicabilità.

Tra il comunicare completamente ed il non comunicare affatto c'è un mare di posizioni diverse.... ?

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1 hour ago, Beppe_89 said:

Ecco però questa conoscenza reciproca quanto mai potrà essere completa?

Il primo problema pratico è non dare una immagine superficiale, falsa o inautentica, di sé

Che sia incompleta tendiamo a darlo per scontato, anche se direi che presupponga anche una certa consapevolezza di come siamo, cioè una conoscenza di sé che è il presupposto per potersi relazionare e conoscere gli altri ( poi vabbè alcuni gay hanno uno spiccato problema con il non riuscire del tutto a piacersi, che è una interferenza più specifica )

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davydenkovic90
4 hours ago, Beppe_89 said:

Ciò che può aiutare è un certo senso di esperienze comuni "date per scontate", ossia si tende a pensare che più o meno tutti abbiamo fatto determinate cose in determinate fasi della nostra vita e lì finisce... si parte da una base comune e poi si costruisce da zero il rapporto, si fanno esperienze insieme ecc

Per me questo non vale, nel senso, sì, ci può essere identificazione con qualcuno e su specifici argomenti, però mi interessa molto conoscere anche persone lontane dalle mie esperienze o dai miei desideri. E' forse questa una delle possibilità più interessanti offerte dalla vita adulta.

Sul discorso del "resoconto della propria vita", bah, lo si può fare col tempo, non trovo proficuo ammorbare un nuovo conoscente con la lista dei parenti, dei traumi infantili, delle operazioni chirurgiche, degli studi fatti, storie burrascose alle spalle, turbe psichiche (seppur importanti) 

Piuttosto porre l'accento su episodi felici o divertenti della propria vita, sorridere molto e abbracciare prima possibile. Tutte cose che spiegano molto di più che mille chiacchiere a vuoto. 

Edited by davydenkovic90
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vabbè provo a continuare la discussione pur con questa ombra di inquietudine proiettata su di noi..

dunque... l'incomunicabilità di cui parlo è un'incomunicabilità intrinseca nella condizione umana, una incomunicabilità Pinteriana . 

Questo deve quindi in qualche modo coinvolgere tutti voi, a meno che non tacciate spoglie aliene sotto un sottile strato di pelle umana. 

Nei fatti ciò di cui credo di aver preso gradualmente coscienza è una impossibilità a comunicare in modo efficace i nostri connotati più nascosti e profondi. Ne consegue una conoscienza reciproca (in un rapporto) non completa e quindi, per me, non soddisfaciente. 

p.s. scusa davy hai postato in sincro con me.. ma la prima frase era rivolta all'intervento di FreakyFred non al tuo ovviamente.

Edited by Beppe_89
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LocoEmotivo
5 hours ago, Beppe_89 said:

Ossia far capire agli altri come siamo fatti e chi siamo, i vissuti che ci hanno cambiato e ci hanno portato in determinate situazioni, a fare determinate scelte ecc.

Perfetto.
Ma è davvero così importante?

Ormai sei nei trenta anche tu, Beppino, e credo ti starai accorgendo che il modo di intendere e sentire le relazioni non è più lo stesso di quando avevi dieci anni di meno.
Almeno, così è stato per me: è come se avessi fatto uno switch tra la qualità e la quantità delle informazioni fornite alle altre persone, così che non ho più così tanto da raccontare ma, quando lo faccio, sono sempre cose importanti.
In me è sparita l'ansia da condivisione, quella cosa per cui a vent'anni ti facevo un catalogo ragionato dei miei autori preferiti mentre oggi mi soffermo sulla particolare riuscita artistica, ed è apparsa la tranquillità del sentire insieme: in pratica, non m'interessa più raccontarti tutto di me ma voglio che questo momento sia il nostro e basta.
Forse il passato è davvero passato, ora, e la sua presenza viene percepita così poco ingombrante che possiamo parlare dell'adesso, dell'ora, di questo hic et nunc che se ne sbatte di tutto ciò che è accaduto e guarda solo a ciò che è.
Se partiamo da questo presupposto, ai miei occhi non appare più così fondamentale il tipo di condivisione di cui parlavi tu: il mio ragazzo non sa tutto di me come io credo di non sapere tutto di lui e forse, più che di comunicazione, ci interessiamo alla comunione, alla compartecipazione, alla complicità.

Fammi sapere se ti sono stato di utile confronto, Beppino.

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Visto che ormai ho 30 anni dovresti anche abbandonare il "Beppino" XD

Capisco che per i propri genitori non si cresca mai Loco..ma non ho ricordi di te come padre : P .. scherzo

Capisco quello che intendi ma la mia riflessione non voleva prendere quella direzione. Io poi sono sempre stato piuttosto riservato quindi ho sempre costruito i rapporti sulla sintonia e sulla complicità reciproca e mai su un reale accumulo di conoscenze di aspetti triviali dell'altro.. Nel senso.. Non me ne può fregar de meno di che musica ascolti..

La conoscenza di cui parlo è la conoscenza di noi stessi taciuta anche e soprattutto a noi stessi. Sono gli aspetti che non vorremmo gli altri vedessero.. Sono le convinzioni di cui ci siamo impossessati e che ci hanno guidato verso determinate scelte.

Quello di cui mi sto rendendo conto in sostanza è una incapacità di fondo a palesarci per ciò che siamo nella nostra complessità.. E quindi viviamo sempre schiavi di equivoci, di fraintendimenti, di silenzi, di cose di non dette, di sospetti... Di incompletezza.

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LocoEmotivo

Mi spiace di non aver centrato il punto col primo tentativo (e comunque, no, non smetterò di chiamarti "Beppino"!), quindi ci riprovo.

33 minutes ago, Beppe_89 said:

Quello di cui mi sto rendendo conto in sostanza è una incapacità di fondo a palesarci per ciò che siamo nella nostra complessità

Ma questo è inevitabile, ragazzo mio. La totale immersione dell'uno nell'altro può avvenire soltanto occasionalmente, a livello episodico, perché tu ed io siamo due persone fatte e finite, specifiche e distinte, e quella roba del "conoscersi come un guanto" non è altro che un obiettivo irraggiungibile (nella migliore delle ipotesi) o una pietosa bugia (nella peggiore).
Mi vengono in mente due riferimenti letterari: il primo è il titolo di un saggio di Umberto Eco sulla difficile arte della traduzione e si chiama "Dire quasi la stessa cosa"; il secondo è il primo distico di una poesia russa tanto bella quanto dolorosa ("C'è nell'intimità degli uomini un confine / che né l'amore né la passione possono osare"). A mio modesto parere, entrambi raccontano la realtà: tu ed io arriviamo quasi a capirci del tutto ma non ci riusciamo perché c'è qualcosa in noi che è solo ed esclusivamente nostro e che, quindi, falsa la nostra capacità di immedesimazione.

Erano queste le premesse da cui partivo nel precedente post per parlarti dell'importanza di quello che sento in quel momento insieme a te rispetto al comunicarti qualcosa che comunque non potrai capire appieno. E spero che stavolta abbia risposto meglio alle tue questioni.

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3 hours ago, Beppe_89 said:

Ecco però questa conoscenza reciproca quanto mai potrà essere completa?

Mai

Per quello parlo di incomunicabilità.

Gli essere umani possono mai "spiegarsi" reciprocamente?

Per me no.

a parte che se Coniuge mi dovesse dire che ormai mi conosce a memoria, che per lui sono un libro stampato e amenità simili tenderei a turbarmi alquanto (e sì che son quasi 13 anni che conviviamo nel turpe peccato, quindi qualcosina di me ormai la dovrebbe sapere),

più che incomunicabilità (visto che dirsi tutto tutto mi pare francamente impossibile, oltre che sostanzialmente inutile e terribilmente noioso), hai descritto la continua scoperta dell'altr* (che sia amico, coniuge, amante o boh); ed è un'attività che ha un suo gran bel fascino.

sennò sai che palle se fossimo sempre tutti così prevedibili da sapere fin da subito quale possa essere la reazione dell'altr* a qsi cosa succeda, bella o brutta che sia!

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No freedog acqua acqua... Direi che il secondo intervento di Loco ha colto abbastanza il senso del mio intervento. (poi do un occhio ai riferimenti che hai citato)

Resto in attesa dell'intervento di FreakyFred perché ormai ha introdotto elementi di turbamento nella linearità della discussione.

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lol...

Beh, io sono esperto di incomunicabilità, visto che, dicono, sarei neurodiverso o comunque su quella struttura di personalità lì, per cui la difficoltà a capire come si sentono gli altri e, viceversa, a far capire come mi sento io (soprattutto quest'ultimo), è per me un elemento fisso della vita.

Il problema essenziale è che, come diceva Eco, il linguaggio è quella cosa che si può usare per mentire. Ognuno di noi vive uno stato in cui, teoricamente, ha a disposizione diretta tutti i propri stati interiori, pronti e limpidi, solo da esperire. Il sentire, in questo senso, è semplicemente una delle tante forme del fare. Non serve a nulla comunicarlo, trasmetterlo... quello che serve è concertare, riuscire a sincronizzare le azioni con gli altri orientandole a scopi comuni. Va da sé: per convincere l'altro a comportarsi in un modo coordinato al nostro una via è fare in modo che si senta proprio come noi... Ma non serve, strettamente, anzi, è più semplice se riusciamo a fare in modo che l'altro si senta subordinato a noi, se riusciamo a manipolarlo in qualche modo... se mentiamo. Il linguaggio è fatto per questo: dunque non travasa stati mentali da una mente all'altra, come si pretenderebbe nella filosofia antica, bensì permette la manipolazione dell'altro, e la sua peculiarità è proprio che rende possibile la menzogna.

Dunque è vero che le parole sono fonte di malintesi, ma perché sono in un certo senso fatte apposta per creare malintesi. 

Immaginiamo, dunque, che invece uno voglia usarle per il solo scopo di dire la verità, di trasmettere all'altro esattamente come si sente. 

Ci puoi provare, ma stai usando uno strumento che non è fatto per quello, non è fatto per trasmettere verità interiori, ma al massimo per creare un quadro di verità esteriore, come nel caso del discorso scientifico. Trasmettere il tuo stato interiore usando il linguaggio è come cercare di svitare una vite con un paio di forbici. Magari non è impossibile del tutto, ma parti con lo strumento sbagliato.

Nei miei rapporti con gli altri, specie coi ragazzi, la frase classica è "ci siamo fraintesi". Mi rifiuto di prendermene tutta la responsabilità, penso che molta gente e forse la maggior parte non abbia alcuna voglia o capacità di capire e farsi capire rettamente... ma i fraintendimenti raramente sono colpa di un lato solo e alla fine io posso agire solo dal mio. Proprio per questo un tempo io cercavo insistentemente di usare le parole per dire verità su di me, e questa rimane in parte ancora una mia tendenza naturale (che oggi tengo a bada iniettando una robusta dose di menzogne di quando in quando ? ) ma ciò non mi ha mai portato niente di buono. A volte mi sono esposto molto con dei ragazzi raccontandogli esattamente le mie sensazioni ed emozioni, con tanto di passato e di presente. L'idea era non sentirmi più dire quella frase (hai frainteso/ho frainteso). Riassunto di anni di sforzi in tal senso: non funziona. Non coi cosiddetti "neurotipici", almeno. Se guardando qualcuno negli occhi gli dici "sono molto triste" o "sono terribilmente arrabbiato" non trasmetti alcunché. Se piangi o gli fai una piazzata, allora sì, hai trasmesso qualcosa, sono strumenti molto più adeguati a raccontare il proprio mondo interiore, sono quelli che la biologia ci ha dato apposta per quello. Il linguaggio serve ad altro, serve per dire bugie. 

E d'altro canto, in effetti, si crede alle parole solo se esso sono specchio dei fatti. Se le parole e i fatti in qualche modo non corrispondono la comunicazione fallisce drammaticamente, abbiamo un fraintendimento. Quando questo fraintendimento viene utilizzato ad arte a proprio vantaggio parliamo di menzogna, altrimenti parliamo di semplice equivoco. Ma in ogni caso sono tutte cose per le quali il linguaggio si può usare con grandissima efficacia.

L'arte di usare il linguaggio per raccontare verità interiori si è nonostante tutto, in qualche maniera, sviluppata, col nome di "poesia". Ma se davvero la poesia dica la verità o non sia solo una menzogna ancora più raffinata è sicuramente punto aperto a dibattito. Quanto al fatto che funzioni, anche quello è molto dubbio. Come diceva il mio amore, "preferirei essere porcaro ad Amgerbro ed essere capito dai porci che essere poeta e venir frainteso dagli uomini". 

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Si può mentire se si ha intenzione di farlo; se si prova piacere, in qualche modo, nel farlo, o anche se si desidera, consciamente o inconsciamente, di soffrire, se mentendo ci si metta in una situazione difficile e quindi insostenibile e, spesso, dolorosa, oppure, come dice @FreakyFred, al contrario, per evitare la sofferenza. Mi viene in mente la frase di un personaggio de Le fate ignoranti che dice ad Antonia, Margherita Buy, sconcertata: ‘Io mento sempre alle persone che amo’, e spiega poi perché e cosa vuol dire.

Chi utilizza il linguaggio per esprimere, o per comunicare, che sono due cose diverse, fa una scelta diversa, forse opposta, e il linguaggio si piega anche a questa (perché si piega e si presta a tutto). Ma sia la perfetta espressione, sia la comunicazione instantanea e immediata sono l’eccezione, il caso atipico dell’uso del linguaggio. Quando si realizza tra due persone molto unite, sentimentalmente ad esempio, è certamente una cosa bella e preziosa, ma, starei per dire, è una grazia. Il caso normale del linguaggio è l'intendersi: un processo più lento, a volte faticoso, ma appassionante se i due locutori sono in grado di appassionarsi alla ricerca del difficile tentativo di farsi comprendere, e di appassionarsi a questa espressione, mediata, non immediata, per lo più, a volte fulminea, ma più spesso un racconto, una narrazione, una costruzione. Nell’amicizia, ma anche in un rapporto sentimentale, è una delle cose più belle, più esaltanti e sottili, che si possa provare.  

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Okay, con FreakyFred e Isher direi che abbiamo preso la direzione giusta (oltre a Loco). 

Il mio problema però credo sia l'opposto. 

Io credo di essere arrivato in passato ad avvicinarmi molto allo stato di perfetta sintonia con qualcuno. Troppo forse. 

Io e il senso del limite purtroppo viviamo in mondi diversi e spesso la mia tendenza è quella di andare oltre l'insondato e l'insondabile. 

Il punto è che ora che ho per forza di cose ridimesionato la mia brama di anime non mi sento più appagato dalle relazioni... è come se avessi visto il paradiso e ora penso "oh fuck, what is this?"...

Faccio spesso attenzione al modo in cui le coppie intorno a me interagiscono (o anche solo nei rapporti amicali) e percepisco un profondo senso di distacco tra i partecipanti. 

Gente sposata da anni che ha un livello di complicità minore a quello che io ho con la mia vicina di casa Monica (in Italia) con cui parlo due volte al mese quando ci troviamo in ascensore mentre lei porta il suo pastore tedesco Missy a fare i bisogni ai giardinetti. 

Questo però mi interessa fino ad un certo punto.. nel senso che gli altri possono fare quello che vogliono e dosare il loro bisogno di affettività come preferiscono. 

Resta il fatto che rimane in me un senso di perdita e di insoddisfazione, dovuto in gran parte al confronto con ciò che ho provato in passato e che sono arrivato a toccare, anche se solo con la punta delle dita, e che ora sembra non essere più raggiungibile. Forse proprio perché essendo già stato raggiunto..in qualche modo..ha perso fascino per me? 

Non so..

Se volete continuare mi fa piacere.. ma per ora ho spunti sufficienti per riflettere e mi ritiro nelle mie stanze. 

Edited by Beppe_89
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16 minutes ago, Beppe_89 said:

rimane in me un senso di perdita e di insoddisfazione, dovuto in gran parte al confronto con ciò che ho provato in passato e che sono arrivato a toccare, anche se solo con la punta delle dita, e che ora sembra non essere più raggiungibile. Forse proprio perché essendo già stato raggiunto..in qualche modo..ha perso fascino per me? 

non sarà allora che il tuo sbaglio sia proprio nel fà paragoni col passato?

premesso che probabilmente ieri avevo frainteso (tu chiamavi informazioni quello che in realtà intendevi con "livello di intimità" raggiunto), sai benissimo anche tu che ogni storia/rapporto è a sè, e non ha senso far paragoni con quel che è stato in passato con altr*

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Quando ci si innamora si vive nel presente

A meno che per evitare rimpianti, nostalgie o dolori, quando innamorati non si è più, non si trasformi tutte queste cose in un "senso di"

Cioè in un qualcosa che rispunta fuori quando non dovrebbe

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LocoEmotivo
45 minutes ago, Beppe_89 said:

Io credo di essere arrivato in passato ad avvicinarmi molto allo stato di perfetta sintonia con qualcuno.

Premessa: ora credo di prendere la tangente e di partire per una dimensione parallela dove tutto quello che dirò, probabilmente, non ha alcuna attinenza con il tema su cui stai cercando confronto. Però mi ci hai fatto pensare e, quindi, devo parlartene.

Anch'io ho notato un cambiamento nelle mie relazioni affettive di adesso rispetto a quelle di quindici anni fa: oltre ad essere più lunghe, più stabili e più appaganti, ho notato che si basano su presupposti completamente differenti - e su questo punto temo di dovermi dilungare un po' di più.
Quindici anni fa il mio target erano le ragazze dei tipi più disparati ma accomunate da una medesima tipologia: in tutte le mie storie di allora, la parte del leone la faceva la seduzione mentale, l'intreccio intellettuale, quella che tu potresti definire "sintonia". Di base c'era un forte sentire di entrambi i soggetti, una struggimento quasi sensuchtiano, una passione fedele alla sua etimologica sofferenza - tutti fattori che rendevano quello stare insieme qualcosa di tremendamente intenso. Non escludo che fossero i vent'anni a rendermi i miei sensi mentali più eccitabili di un relè ma, quale che fosse il motivo, quelle storie drenavano e catalizzavano una quantità enorme (fors'anche eccessiva) di energie e risorse.
Quando mi sono finalmente avvicinato ai maschietti, all'inizio ho riproposto quegli stessi schemi già ben collaudati - ma dev'essere successo qualcosa che ha modificato totalmente il mio modo di pensare perché, oggi, di quella tensione assolutizzante non rimane pressoché nulla.
Con questo non intendo certo sminuire l'amore che porto verso la mia metà quanto evidenziare come sia cambiata la qualità del sentimento: oggi mi sento diverso rispetto ad allora, più stabile e centrato su di me, meno incline a farmi stravolgere del tutto dalla prima tipa popputa che passa (e "popputa" va qui inteso in senso lato, eh). Non ho più avuto la stessa sintonia che avevo con le ragazze di allora con i ragazzi di oggi (intendendo il mio ex storico e il mio attuale ragazzo), è vero, ma il punto è che nemmeno la voglio o la cerco: ho scoperto che esiste un'altra qualità, un altro tipo di relazione che mi rispecchia molto di più e che mi rende più felice e più appagato. E non tornerei indietro per niente al mondo, proprio come la tizia col Dash che rifiuta i due fustini al posto di uno.

Dunque, è questo che intendevi? La sintonia che hai provato in passato era più simile alla passione che brucia, che arde, che ti consuma fino all'ultimo atomo (ed è per questo così incredibile e totalizzante) mentre quella di oggi è differente, apparentemente più incompleta e meno intensa?

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24 minutes ago, LocoEmotivo said:

mentre quella di oggi è differente, apparentemente più incompleta e meno intensa?

Quella di oggi non è differente... è indifferente XD 

Il motivo credo sia principalmente una sorta di "resa" da parte mia... dovuta al confronto col passato. 

è come se avessi la consapevolezza di essere arrivato a provare quello che volevo e ora non ho più interesse perché so quali sono i limiti, li ho raggiunti e forse sorpassati in passato e non ho stimoli a  farlo nuovamente perchè sarebbe solo una ripetizione di quanto già fatto. 

Il limite che volevo sfondare era proprio quella  incomunicabilità (da cui il titolo del topic) .... e ho sperimentato il grado entro cui tale limite può essere superato e le conseguenze che tale superamento ha... 

Quindi non c'è nulla di nuovo under the sun che mi motivi a buttarmi in nuove esplorazioni. 

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4 hours ago, Beppe_89 said:

Io credo di essere arrivato in passato ad avvicinarmi molto allo stato di perfetta sintonia con qualcuno. Troppo forse. 

...

Resta il fatto che rimane in me un senso di perdita e di insoddisfazione, dovuto in gran parte al confronto con ciò che ho provato in passato e che sono arrivato a toccare, anche se solo con la punta delle dita, e che ora sembra non essere più raggiungibile. Forse proprio perché essendo già stato raggiunto..in qualche modo..ha perso fascino per me? 

Ci hai detto che in passato hai avuto solo una relazione breve e ora ci vieni a dire che in passato eri in sintonia perfetta con lui.

sintonia perfetta perche' eravate fatti uno per l'altro (e allora questo dipende dal partner scelto, se e' fatto per te) o sintonia perfetta dovuta all'esservi plasmati in modo ottimale tra di voi col conoscervi ?

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23 minutes ago, marco7 said:

sintonia perfetta perche' eravate fatti uno per l'altro (e allora questo dipende dal partner scelto, se e' fatto per te) o sintonia perfetta dovuta all'esservi plasmati in modo ottimale tra di voi col conoscervi ?

nessuna delle due

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3 hours ago, Beppe_89 said:

ho sperimentato il grado entro cui tale limite può essere superato e le conseguenze che tale superamento ha... 

Detto così, sembra che vi siano "conseguenze"

Ed in genere per tali si intende qualcosa di negativo...

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Beh è una differenza non di poco conto, perchè se gli effetti danno felicità, creatività, benessere, o quel che tu vuoi è una esperienza che si desidera ripetere

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17 minutes ago, Hinzelmann said:

è una esperienza che si desidera ripetere

le esperienze non si ripetono solo se c'è possibilità di arrivare a nuove conclusioni? o a nuovi effetti.. o a nuove "conseguenze"?

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