Sogno a singhiozzi

[Wotan]

Apro gli occhi e il ventilatore mi guarda con la sua faccia di metallo, spruzzandomi in faccia l'aria bollente della notte. Il mio silenzioso compagno di stanza sembra un morto scolpito nel lenzuolo. Non penso a lui. E` ingombrante e fuori luogo come una suppellettile. Ed e` giusto che sia cosi.

 

Qualcosa mi ha svegliato nel buio.

 

Luce fioca, in pieno giorno. Attraverso l'aria azzurrognola della mia mente Paolo appare di fronte a me, dolce illusione di carne mentale. Emozionato come un bambino annaspo per non annegare nell'inaspettata dolcezza che mi riverso addosso. Crudele il mio pensiero.

 

Guardo fuori dalla finestra. I cinque centimetri di cielo, minimo sindacale della mia stanza, che scorgo attraverso i palazzi, sono di un cupo verdastro, pallidi e impregnati della luce malata dei lampioni al sodio. E` un cielo di cuoio marcito, attraversato solo da nuvole accidiose, invisibili dietro la coltre di malessere. Caminetti fuori luogo si stagliano come piccole torri di gnomi. Mi giro sull'altro lato. Lo specchio mi rimanda la mia immagine spettrale.

 

I suoi capelli lunghi sono sciolti, per la prima volta da quando l'ho conosciuto, e cadono morbidi sulle sue spalle bianche. Nessuno mi ha avvertito. Nessuno mi ha avvertito, che era il suo malvagio coraggio a schermire la polpa della sua anima. Nulla di morbido. E` un'anima levigata, ma impervia. Le sue mani enormi, per nulla incongrue nell'aria onirica fatta di nulla, mi sfiorano il viso.

 

Che squallido angolo di mondo. Dieci ore fa ho visto la fuga dalla mano dell'uomo. Alberi sradicati, cancelli arrugginiti, muri diroccati che nessuno raccogliera`. In questo piccolo ritaglio di esistenza addormentata, anche gli spettacoli della natura hanno un che di provinciale.

 

"Guarda quella nuvola, sai perche` vola cosi bassa?"

" Sta venendo a prenderci"

Ridiamo.

L'uragano miete mille vittime, offeso dalle nostre risa.

 

Mi giro e mi rigiro come una pietanza che deve insaporirsi bene. Il mio sapore e` piccante e esagerato. Mi alzo. I piccoli rumori della casa mi accolgono come bisbigli di vecchie signore bisbetiche. E` una casa ostile, lo e` sempre stata. Il mio perenne sentimento da un anno e` quello di essere accampato all'interno di un capannone abbandonato. Stessa sporcizia che si insinua, impossibile da eliminare, stesso perenne disagio non necessario, stessa percezione di lavori interrotti per un tempo che va poco fa all'eternita`. L'acqua del rubinetto deve scorrere per qualche secolo prima di tornare fredda. Mi sento quasi in colpa. Non vorrei aver fatto scorrere tutto l'acquedotto fino ad attingere all'acqua vergine dei ghiacciai.

 

Improbabile. I monti che potrebbero chiudere pietosamente lo sguardo su questa pianura senza senso sono talmente lontani che nei rari giorni di aria tersa in cui si mostrano sembrano solo dei fantasmi lontani.

 

La strada e` un contorcersi tortuoso tra alte pannocchie. Sono un bambino che si perde in quei campi come in un bosco fitto fitto. La cornice che urla il suo squallore mi sembra il piu` dolce dei paesaggi.

 

Bevo un'acqua disgustosa, anestetizzato dalla sua ingannevole freschezza. E` tutto cosi imminente, eppure sembra riguardarmi tutto cosi poco. Attraverso il corridoio polveroso, mi siedo sulla poltrona. Attimi di inutile attesa. Non succedera` niente per salvarmi. Tutto sara` inevitabilmente e senza conclusione costretto a continuare. Senza pieta`.

 

E di nuovo sono in piedi di fronte a lui. Lo stringo in un abbraccio che mi colma di lacrime. Le sue labbra sono di una morbidezza inaspettata. Non c'e` bisogno di chiudere gli occhi perche` mi guardo dall'esterno. Eppure non sono mai stato cosi a fondo dentro me stesso. Mormora parole che non appartengono a nessuna lingua, ma significano piu` di ogni sintassi.

Accarezzo il suo collo liscio.

Non voglio svegliarmi mai piu`.