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[ot] Vaticano: "No alla depenalizzazione dell'omosessualità da parte dell'Onu"


Alecs.

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Fu genocidio, ergastolo a padre Seromba.

 

Condannato alla massima pena il sacerdote cattolico ruandese accusato del massacro in chiesa di 1.500 tutsi

Athanase Seromba, un prete cattolico ruandese, è stato condannato

all’ergastolo per aver commesso atti di genocidio e sterminio durante

la mattanza che sconvolse il piccolo Paese africano nel 1994. La

sentenza della Corte d’appello del tribunale internazionale per il

Ruanda (che ha sede ad Arusha, in Tanzania) è durissima e ribalta

quella, mite, di primo grado con la quale i giudici avevano condannato Seromba a 15 anni di carcere.

La condanna di allora parlava di aiuto e sostegno agli assassini. Quella di oggi aver commesso egli stesso i massacri.

 

 

«NESSUN PENTIMENTO» - «Seromba – ha spiegato Silvana Arbia, l’italiana capo dei procuratori della corte,

voluta dall’Onu all’indomani del genocidio durante il quale furono

trucidati in cento giorni un milioni di tutsi e hutu moderati – non ha

mostrato alcun segno di pentimento e non ha riconosciuto le sue

responsabilità, evidenziate, invece, dai testimoni che hanno

partecipato al processo». Un altro imputato, l’italo-belga George

Ruggiu, speaker della Radio Television Libre des Mille Collines (RTLM)

che aveva incitato gli hutu a massacrare i tutsi, si era dichiarato

colpevole e dimostrato pentito. Aveva ottenuto le attenuanti e il 1°

giugno 2000 era stato condannato a una pena tutto sommato mite, 12 anni

di carcere. Dal 28 febbraio scorso Ruggiu sta scontando la pena in

Italia. Questi i fatti accertati dalla corte, dopo aver sentito

numerosi testimoni.

 

 

 

MASSACRO IN CHIESA - Durante la caccia all’uomo del 1994, Padre Seromba aveva

attirato all’interno della sua parrochia a Nyange, nella prefettura di

Kibuye, almeno 1500 tutsi. Aveva assicurato a tutti che lì, al cospetto

di Gesù e della Madonna, protettrice del Ruanda, sarebbero stati in

salvo. Le bande armate hutu non avrebbero osato entrare nella

cattedrale. Invece mentre i rifugiati pregavano, ha chiuso a chiave le

porte della chiesa, e ha ordinato all’autista di un bulldozer di

abbattere l’edificio mentre gli assassini sparavano e lanciavano

granate dalle finestre. Fu un massacro soprattutto di donne, vecchi e

bambini. «La corte – spiega la dottoressa Arbia – ha constatato che

senza la sua autorità morale quel massacro non sarebbe stato commesso.

I capi degli assassini e le autorità civili premevano per ammazzare i

rifugiati in chiesa, ma nessuno osava muoversi. Anche l’uomo che

operava sul bulldozer se era rifiutato di obbedire agli ordini e si è

mosso solo dopo che ha avuto l’ok dal sacerdote.

 

 

 

LE RESPONSABILITA' - Una sentenza giusta vista la

gravità dei fatti e il prestigio dell’imputato, massima autorità morale

in quel contesto. Nessuno avrebbe abbattuto una chiesa senza il

consenso e l’approvazione dell’autorità religiosa che la governa. E’

stato accertato che Seromba, addirittura, ha indicato all’autista del

mezzo meccanico il lato più debole dell’edificio in modo tale che la

demolizione fosse più efficace. Il comportamento del sacerdote, insomma

conferma la volontà di portare a termine il massacro.

 

 

 

LA FUGA IN ITALIA - Seromba – che si è sempre

dichiarato innocente - era poi scappato e con la copertura di amici

preti e delle gerarchie vaticane si era rifugiato a Prato, aveva

cambiato nome, padre Anastasio Sumbabura) e continuava a officiare

messa come se nulla fosse accaduto. Era stato riconosciuto e

denunciato, ma l’allora procuratrice del Tribunale dell’Onu, Carla del

Ponte, aveva avuto difficoltà a ottenere l’estradizione. Aveva accusato

il Vaticano di esercitare pressioni sul governo italiano per evitare

che prendesse una decisione in proposito. Infatti il sacerdote non è

mai stato estradato: si è costituito.

 

«MA LUI E' INNOCENTE» - L’avvocato di Seromba, il beninese, Alfred Pognon,

uno dei fondatori di Avvocati Senza Frontiere, durante un’intervista al Corriere

nel settembre del 2004 ad Arusha, mentre si stava celebrando il

processo era tranquillo. «Il mio cliente è una vittima – aveva

sostenuto sicuro – e il tribunale dell’Onu è politicizzato. Quei

giudici vogliono condannare gli accusati per giustificare la loro

esistenza e la loro burocrazia che costa milioni di dollari. Attraverso

Seromba intendono colpire la Chiesa e noi dobbiamo impedirlo.

Dimostrerò la sua innocenza». Ma le prove e le testimonianze sono state

schiaccianti e lui non è riuscito a farlo dichiarare innocente

nonostante - sostengono sottovoce alla procura del tribunale - le

pesanti pressioni del Vaticano per assolverlo.

 

A ricordare l' ipocrisia del vaticano. Non stupiamoci poi di fronte a cose come il "no" alla depenalizzazione dell' omosessualità da gente del genere.  :sisi:

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